pino, constitucion, positivismo y democracia

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     2014, Diritto e questioni pubbliche, Palermo.

    Tutti i diritti sono riservati.

    GIORGIO PINO 

    Costituzione, positivismo giuridico, democrazia

     Analisi critica di tre pilastri della filosofia del diritto di Luigi

     Ferrajoli

    ABSTRACT

    Te essa! dis"usses tree #e!$"on"e%ts in &ui'i (erra)oli*s le'al %iloso%!+

    tese "on"e%ts are "onstitution, le'al %ositivism, and demo"ra"!. (erra)oli

    arti"ulates tese "on"e%ts in an interestin'l! ori'inal -a! and, in is latest

     oo# La democrazia attraverso i diritti, also stresses teir inter"onne"tion. Te

    essa! "riti"all! assesses (erra)oli*s use o/ tese "on"e%ts, and in te %ro"ess

    also i'li'ts some %rolems -it (erra)oli*s /ormal de/inition o/

    /undamental ri'ts.

    Il sa''io dis"ute tre "on"etti$"iave della /iloso/ia del diritto di &ui'i (erra)oli

    "ostituione, %ositivismo 'iuridi"o, e demo"raia. Si tratta di tre "on"etti "e

    (erra)oli rielaora %ro/ondamente e in maniera ori'inale, e sulla "ui inter$

    di%endena insiste in %arti"olare nel re"ente liro  La democrazia attraverso i

    diritti. Nel "orso della analisi "riti"a di 3uesti tre "on"etti, inoltre, saranno

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    /ondamentale elaorata da (erra)oli.

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    "onstitution, le'al %ositivism, demo"ra"!

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    GIORGIO PINO∗ 

    Costituzione, positivismo giuridico, democrazia

     Analisi critica di tre pilastri della filosofia del dirittodi Luigi Ferrajoli

    1. Una filosofia dello Stato costituzionale, tra diritto e politica – 2.Sulla superiorità della costituzione – 2.1. Rigidità costituzionale,controllo di costituzionalità e gerarchie normative – 2.2. Lanormatività della costituzione (e dei diritti fondamentali) – 3. Ferrajoligiuspositivista, e innovatore del positivismo giuridico – 3.1. Validità

    formale, validità sostanziale, e la separazione tra diritto e morale – 3.2.Una chiosa sulla validità sostanziale – 4. Sulla teoria della democraziadi Luigi Ferrajoli – 4.1. Il concetto di democrazia messo a fuoco – 4.2.Questioni di metodo – 5. Sulla teoria dei diritti fondamentali – 5.1. Ela nomodinamica? – 5.2. I titolari dei diritti fondamentali – 5.3. Unamodesta (contro)proposta – Riferimenti bibliografici.

    1. Una filosofia dello Stato costituzionale, tra dirittoe politica 

    L’ultimo libro di Luigi Ferrajoli, La democrazia attraverso idiritti, è un ulteriore capitolo di un progetto tanto ambizioso

    ∗  Professore associato di Filosofia del diritto, Università di Palermo.

    E-mail: [email protected] Riccardo Guastini per aver commentato una versione

    precedente di questo saggio.

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    quanto rigoroso perseguito instancabilmente dall’Autore:costruire una teoria del diritto e della democrazia per loStato costituzionale – un ordinamento giuridico dotato dicostituzione rigida che codifica un catalogo di diritti eprincipi fondamentali1.

    Se il senso del costituzionalismo, nel senso più generaledel termine, riposa sull’esigenza della limitazione delpotere, Ferrajoli articola questa questione su diversi livelli,

    in vario modo collegati tra loro: con riferimento all’ambitodella politica (la limitazione dell’arbitrio della maggioranzatramite l’individuazione della sfera del “non decidibile”),del potere giudiziario (la limitazione dell’arbitrio inter-pretativo e decisionale tramite il principio di stretta legalità),dei poteri privati (la limitazione dei poteri sregolati delmercato tramite la sottrazione dei diritti fondamentali allasfera dell’autonomia privata, e la subordinazione dei diritti

    di autonomia civile ai diritti fondamentali sociali e dilibertà). Allo stesso tempo, peraltro, Ferrajoli avvertechiaramente che la dimensione statale è oggi solo un tassellodel mosaico: rilevantissime decisioni politiche e scelteeconomiche vengono ormai prese in contesti extra-statali, edagli stati sostanzialmente subite. Tuttavia, secondo Ferra- joli, il modello dello Stato costituzionale, lungi dal diventareobsoleto, svela qui tutte le sue potenzialità: essendo neces-

    sariamente destinato ad espandersi al di là dei confini statali,e a proiettarsi in un costituzionalismo mondiale. “Neces-sariamente”: a pena cioè di cancellare progressivamente,magari sotto lo scacco di parole d’ordine come “efficienza”,“mercato”, “rigore”, le conquiste di civiltà che hanno

    1  FERRAJOLI 2013a (nel testo le successive indicazioni di pagina,

    senza alcuna altra indicazione, si intendono riferite a quest’opera). L’im-mediato antecedente di questo libro è rappresentato ovviamente da FER-RAJOLI 2007a e 2007b; ma si vedano anche FERRAJOLI 2011 e 2013b.

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    caratterizzato il costituzionalismo della seconda metà delNovecento.Dunque il libro di Ferrajoli, così come gran parte della

    sua produzione scientifica, si muove su un doppio binario:una proposta  politica, talvolta di ampio respiro, talvoltamolto dettagliata (penso ad esempio alle pagine sul redditominimo garantito: 216-219); e una costruzione teorico-giuridica, che prosegue e allo stesso tempo rinnova la tradi-

    zione più nobile del positivismo giuridico (Hans Kelsen eNorberto Bobbio sono i maestri con cui Ferrajoli ingaggiaun continuo dialogo critico), ed è destinata a costituire laspina dorsale della proposta politica.

    In questo contributo, intendo sottoporre ad analisi criticail modo in cui Ferrajoli costruisce, utilizza e incrocia treconcetti-cardine dell’apparato teorico-giuridico, filosofico-giuridico e filosofico-politico della sua opera. Devo av-

    vertire subito che le mie critiche alla parte teorica (in sensoampio) dell’opera di Ferrajoli non intendono coinvolgereanche la parte  politica: sono pronto infatti a sottoscriveretutte o quasi tutte le proposte “politiche” di Ferrajoli,proposte che condivido nel merito e che ammiro per lagenerosità e per la passione civile con cui sono difese. Mapenso che sia possibile difendere e accettare tutte o quasitutte le proposte politiche di Ferrajoli senza doverne

    necessariamente utilizzare in blocco l’apparato teorico.I concetti che sottoporrò ad analisi critica sono quelli dicostituzione, positivismo giuridico, e democrazia (conalcune necessarie digressioni anche sulla definizione didiritto fondamentale). Sono tre cardini teorici del pensierogiuridico-politico di Ferrajoli, legati tra loro (nell’opera diFerrajoli) da un nesso inestricabile, o quantomeno da fortiinterdipendenze. Infatti, la costituzione (rigida, che positi-

    vizza diritti e principi fondamentali) è per Ferrajoli lagrande novità del XX secolo, che ha determinato un pro-fondo mutamento di paradigma nella forma di Stato: lo

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    Stato costituzionale, la legalità “in senso forte” o legalitàcostituzionale. Il mutamento di paradigma dello Stato costi-tuzionale determina a sua volta, secondo Ferrajoli, un neces-sario ripensamento del (“vecchio”) positivismo giuridico,rimasto modellato sullo stampo dello Stato legislativo otto-centesco, e il passaggio ad un nuovo giuspositivismo (“ga-rantista”, “costituzionalista”); e determina anche, secondoFerrajoli, un nuovo modo di concepire la democrazia: la

    democrazia costituzionale, che si articola in due dimensioni,formale e sostanziale. Inoltre, nell’opera di Ferrajoli non viè solo un rapporto assai stretto tra la costituzione e, per unverso, il positivismo giuridico e, per l’altro verso, la demo-crazia: vi è altresì uno stretto rapporto anche tra il positi-vismo giuridico e la democrazia. Dunque, costituzione,positivismo giuridico e democrazia sono non solo tre con-cetti “fondanti” nel pensiero di Ferrajoli, ma ciascuno di essi

    è anche strettamente collegato agli altri due.In particolare, allora, discuterò in primo luogo (§ 2) ilmodo in cui Ferrajoli costruisce la nozione di superiorità, origidità, o normatività, della costituzione. In secondo luogo(§ 3), discuterò in che senso Ferrajoli può essere consideratoun giuspositivista, e in che modo la sua – esplicita, convinta– adesione al positivismo giuridico sia davvero compatibilecon alcuni dei contributi più originali e duraturi che egli

    stesso ha offerto al dibattito teorico-giuridico contempo-raneo; in particolare mi chiederò se per caso Ferrajoli nonsottovaluti l’impatto che la costituzionalizzazione degli or-dinamenti giuridici contemporanei (ciò che Ferrajoli chiamail “costituzionalismo rigido”) ha su uno dei postulati delpositivismo giuridico, la separazione tra diritto e morale. Interzo luogo (§ 4), commenterò brevemente il concetto didemocrazia utilizzato e difeso da Ferrajoli, cercando di

    mostrarne alcuni limiti, che si possono riassumere nel fattoche Ferrajoli fa ricorso ad una nozione di democrazia nonchiara ed ipertrofica. Inoltre, la discussione sulla nozione

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    ferrajoliana di superiorità e normatività della costituzione, esulla dimensione sostanziale della democrazia, sarà ancheun’occasione per fare emergere alcune ulteriori questionirelative alla nozione di “diritto fondamentale” utilizzata daFerrajoli (§§ 2.2 e 5). Quello dei diritti fondamentali è, aben vedere, un tema trasversale a tutto il resto dell’impalca-tura filosofico-giuridica di Ferrajoli: è la presenza dei dirittifondamentali a determinare il nuovo modello di costituzione

    presente nello Stato costituzionale, e dunque a determinareuna nuova configurazione del positivismo giuridico e dellademocrazia (la democrazia costituzionale).

    Quale sarà la morale della favola? In realtà, e sempre chele mie osservazioni critiche siano corrette, si tratterà dischermaglie in gran parte analitico-definitorie che non mipare incidano più di tanto sul progetto politico di Ferrajoli2 

    2  A questo proposito va comunque ricordato che per Ferrajoli lateoria del diritto ha anche una rilevante dimensione pragmatica: essaserve anche a modificare il suo oggetto (il diritto) (cfr. ix, 130; 2007a,32-38; 2012, 244). E dunque le schermaglie teoriche e anche quelledefinitorie hanno, per Ferrajoli, un impatto politico. Devo confessareche l’insistenza di Ferrajoli sulla dimensione pragmatica della teoriadel diritto, e sui suoi effetti performativi, mi ha sempre causato un po’

    di disagio. Perché per un verso credo che egli abbia ragione: il diritto èun linguaggio, e le pareti che separano il linguaggio del  diritto dailinguaggi sul  diritto (quello della dottrina, e della teoria del diritto)sono sottili e porose. Ma per altro verso non si deve né esagerarel’impatto performativo che una costruzione teorica può avere suldiritto positivo: il diritto si evolve sotto ben altre spinte che non idiscorsi dei teorici del diritto (Ferrajoli stesso, peraltro, ridicolizza unacerta tesi kelseniana, la congiunzione di diritto soggettivo e obbligo,«quasi che la teoria avesse funzioni legislative», 67); né abdicare a

    quello che considero il ruolo primario della teoria del diritto, che è unruolo di analisi e chiarificazione dei discorsi del diritto e dei giuristi.Insomma, non è distruggendo il termometro che passa la febbre. Il

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    – progetto che, ripeto, in larghissima parte condivido.Probabilmente, il nocciolo di quello che obietterò a Ferrajoliè che è meglio non aspettarsi, né dal positivismo giuridico,né dalla democrazia, più di quanto possano realmente dare.Peraltro, almeno su alcune questioni (la superiorità dellacostituzione, il concetto di validità sostanziale) è del tuttopossibile che un approccio diverso da quello di Ferrajoliassicuri meglio quella normatività forte della costituzione

    che Ferrajoli considera, giustamente, un grande valorepolitico e giuridico.

    2. Sulla superiorità della costituzione 

    Quella di Ferrajoli è, come ho già detto, una filosofia deldiritto per lo Stato costituzionale. Non è esagerato affermare

    che Luigi Ferrajoli abbia letteralmente costretto il dibattitoteorico-giuridico italiano (e del mondo latino in generale) afare i conti con le novità imposte dall’introduzione dellecostituzioni rigide negli ordinamenti contemporanei, e conla conseguente necessità di rinnovare l’apparato concettualedella teoria del diritto, a cominciare dalla nozione di validità(su cui tornerò più avanti). Gran parte dell’apparato teoricoelaborato da Ferrajoli negli ultimi quaranta anni è finaliz-

    zato dunque a dar conto non solo della presenza di un testocostituzionale nel panorama delle fonti del diritto, ma anchedella sua normatività, vale a dire del ruolo apicale efondamentale della costituzione rispetto alla legge, a tutto

    problema allora, è cercare il giusto equilibrio tra la funzioneconoscitiva e la funzione politica della teoria del diritto. Un problema

    per la cui soluzione, ovviamente, non servono (né esistono) formulematematiche ma semmai una gran dose di ragionevolezza e di onestàintellettuale.

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    l’ordinamento giuridico, e anche agli atti di produzionegiuridica tra privati – in breve, la superiorità dellacostituzione.

    Su questo aspetto della teoria del diritto di Ferrajoli faròprincipalmente due osservazioni: una per così dire di sin-tassi giuridica, o teorico-giuridica, relativamente al concettodi rigidità costituzionale (§ 2.1); l’altra relativa a quanto“normativa” sia effettivamente la costituzione così come

    concepita da Ferrajoli (§ 2.2).2.1. Rigidità costituzionale, controllo di costituzionalità

    e gerarchie normative 

    La prima osservazione riguarda dunque il modo in cuiFerrajoli ricostruisce la posizione “gerarchica” della costi-tuzione nel contesto dello Stato costituzionale. Ferrajoli a

    questo proposito utilizza la nozione di rigidità  della costi-tuzione, che identifica con la superiorità di quest’ultima, econ la sua normatività3; questa identificazione è tanto forteche Ferrajoli arriva a definire lo Stato costituzionale, o forseil modello gius-politico da esso incarnato, come “costi-tuzionalismo rigido”4. Giova ricordare che, nel linguaggio

    3

      Sul concetto di rigidità costituzionale v. 22, 56-59.Sull’identificazione tra rigidità e superiorità della costituzione, v. ades. 57 (la rigidità costituzionale è «un connotato strutturale dellecostituzioni legato alla loro collocazione al vertice della gerarchiadelle norme»; essa «si identifica, in breve, con il grado sopraordinatodelle norme costituzionali rispetto a quello di tutte le altre fontidell’ordinamento»). Sull’identificazione tra rigidità e normatività dellacostituzione, v. 57 (la rigidità «si identifica […] con la normatività»delle norme costituzionali rispetto a tutte le altre fonti), 59 («le

    garanzie della rigidità, cioè della normatività della costituzione»).4  Per questa espressione v. ix, 10, 16, 36, 45, 51, 52, 68, 71, 75, 79, 89,184, 185; v. anche 58 (sulla «rigida costituzionalizzazione» dei diritti).

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    corrente della teoria costituzionale e della dottrina costi-tuzionalistica, per rigidità della costituzione si intende lacaratteristica che la costituzione possa essere modificatasolo tramite procedure particolari, di solito piuttosto gra-vose, lunghe, e che richiedono il consenso di ampie mag-gioranze politiche: ed è esattamente a questa nozione cheFerrajoli si riferisce quando parla di rigidità della costi-tuzione. (Ferrajoli peraltro precisa, del tutto correttamente,

    che non si deve fare confusione tra la rigidità e la garanziagiurisdizionale della costituzione: 57.)Ora, il problema (un problema di sintassi teorico-giuri-

    dica, come ho detto) è che l’esistenza di una proceduraparticolare per l’approvazione, per la revisione o per lasoppressione di un tipo di atto normativo non rende di per séquell’atto normativo superiore  ad altri atti normativi. Sipossono fare vari esempi al riguardo: nell’ordinamento ita-

    liano all’interno del genere “legge”, vi sono alcuni tipi dileggi che richiedono procedure di approvazione particolari(c.d. leggi rinforzate), così come leggi ordinarie ma dotatedi ciò che i giuristi chiamano una particolare “forza passiva”(cioè, non soggette a deroga nelle procedure ordinarie): cheperò rimangono sullo stesso piano della legge, e degli attiaventi forza di legge, da un punto di vista della gerarchiadelle fonti5. Inoltre, nell’ordinamento italiano, la legge

    5  Come esempi di leggi rinforzate si pensi, nell’ordinamento ita-liano, alle leggi di amnistia e indulto, alle leggi che intendono ricono-scere a determinate Regioni «forma e condizioni particolari di auto-nomia» (art. 116 cost.), alle leggi di bilancio, e alle leggi diautorizzazione alla ratifica di trattati internazionali. Come esempi dileggi aventi particolare forza passiva (più intensa rispetto alle altre

    leggi ordinarie), nell’ordinamento italiano alcune leggi ordinarie sonosottratte ad abrogazione referendaria (v. art. 75, co. 2, cost.), dunquehanno una forza passiva superiore alle altre leggi ordinarie (che invece

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    ordinaria e gli altri atti aventi forza di legge (decreti-legge edecreti legislativi) hanno diverse procedure di approvazione(cioè diverse condizioni di validità  formale), ma la stessa forza passiva e pari rango nella gerarchia delle fonti.

    Il dato importante da rilevare al riguardo è che, da unpunto di vista di teoria delle gerarchie normative, unagerarchia tra atti normativi non è istituita dalla diversa, edeventualmente più gravosa, procedura di approvazione o

    revisione di un certo tipo di atto, e nemmeno da unaparticolare “forza passiva” di un certo atto normativo, madall’esistenza di un controllo di legittimità. Solo se un certotipo di atto normativo A è suscettibile di essere annullatoogni volta in cui possa essere giudicato in contrasto con unaltro tipo di atto normativo B, solo in questo caso B èsuperiore  ad A; e correlativamente, in questo caso, laconformità a B è condizione di validità di A (dal punto di

    vista della validità materiale  o, nel lessico di Ferrajoli,“sostanziale”)6. In altre parole, è il controllo di legittimità adistituire la gerarchia normativa tra gli atti normativi o lenorme coinvolti in quel controllo (la norma-parametro e lanorma-oggetto).

    Trasferendo questo discorso generale al rapporto speci-fico tra costituzione e legge, la superiorità della costituzione

    sono tutte soggette ad abrogazione referendaria). Ma non per questosono normalmente considerate come collocate su un gradino superioredella gerarchia delle fonti. Su “leggi rinforzate” e “fonti atipiche” sivedano in generale BIN, PITRUZZELLA 2005, 327-332.6  Quella sinteticamente indicata nel testo è una gerarchia materiale,che è a sua volta associata al concetto di validità materiale o sostan-ziale. La gerarchia materiale non rappresenta l’unico tipo di gerarchianormativa: negli ordinamenti giuridici si possono trovare anche

    gerarchie “formali” e gerarchie “assiologiche”. Per queste tipologie, v.GUASTINI  2010, 241-254; PINO  2010a, cap. II; PINO  2014a, 23-36;FERRER BELTRÁN, RODRÍGUEZ 2011, cap. III.

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    sulla legge deriva dall’esistenza di un controllo di costi-tuzionalità della legge, non dall’esistenza del procedimentoc.d. aggravato di revisione costituzionale. Il controllo dicostituzionalità, dunque, a ben vedere non è solo condizionedi effettività  della costituzione (cioè del fatto che in talmodo si rafforza la probabilità che la costituzione vengarispettata, introducendo uno strumento che sanzioni o eli-mini le violazioni della costituzione)7, ma anche condizione

    concettuale o strutturale della superiorità della costituzionesulla legge. Senza controllo di costituzionalità, legge ecostituzione sarebbero indistinguibili quanto a forza norma-tiva e a rango nella gerarchia delle fonti – la costituzionesarebbe, in effetti, flessibile, o più correttamente non potreb-be fungere da parametro di validità della legge e dunque nonsarebbe ad essa sovraordinata.

    Se tutto ciò è corretto, allora non risulta condivisibile

    l’affermazione di Ferrajoli secondo cui «la rigidità costitu-zionale [è] un connotato strutturale delle costituzioni legatoalla loro collocazione al vertice della gerarchia delle

    norme, sicché le costituzioni sono rigide per definizione, nelsenso che, se non lo fossero, non sarebbero in realtà costitu-zioni ma equivarrebbero a leggi ordinarie» (58, corsivoaggiunto). Le costituzioni contemporanee non sono rigideperché collocate al vertice della gerarchia delle norme;

    piuttosto, sono collocate al vertice della gerarchia dellenorme in quanto esiste il controllo di costituzionalità dellalegge. È l’esistenza del controllo di costituzionalità acambiare la struttura dell’ordinamento, e a porre struttural-mente la costituzione al di sopra della legge ordinaria.

    Ovviamente, la presenza di una procedura aggravata direvisione della costituzione è tutt’altro che irrilevante, sia da

    7  Sul controllo di costituzionalità come condizione di effettività della costituzione, v. 59-60.

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    un punto di vista giuridico, sia da un punto di vista politico.Da un punto di vista giuridico, perché incide sulle condi-zioni di validità formale delle leggi di revisione costitu-zionale e delle altre leggi costituzionali. Da un punto di vistapolitico, perché cerca di assicurare, per le modifiche dellacostituzione, condizioni di ampio consenso politico analo-ghe a quelle che hanno portato all’approvazione della costi-tuzione, e in generale tutela le minoranze. Ma non si tratta,

    come invece afferma Ferrajoli, di un dato strutturale  atti-nente alla collocazione gerarchica della costituzione.Nemmeno appare condivisibile (e tantomeno coerente

    con l’impostazione filosofico-giuridica dello stesso Ferra- joli) un’ulteriore definizione di rigidità della costituzioneche Ferrajoli suggerisce poco più avanti (78). La “natu-rale” rigidità della costituzione8  deriverebbe infatti,afferma qui Ferrajoli, dal fatto che la costituzione procla-

    ma una serie di diritti fondamentali, i quali – nella defini-zione di Ferrajoli – sono i diritti che sono attribuiti a tutti ea ciascuno. Essendo i diritti fondamentali “di tutti”, nonsono disponibili da parte di una contingente maggioranzapolitica; dunque, ecco che la costituzione (che quei diritti“ospita”) è necessariamente rigida.

    Questa seconda definizione della rigidità costituzionalesuscita invero numerose perplessità. In primo luogo, nulla

    nella definizione (“formale”) di diritto fondamentale elabo-rata da Ferrajoli richiede che tali diritti siano consacrati inuna costituzione9: sempre che ricorrano le caratteristiche

    8  L’idea che la rigidità sia una caratteristica “naturale” della costi-tuzione rinvia ovviamente a PACE 1993 e 1996, che Ferrajoli richiamaesplicitamente.

    9  Ferrajoli, come è noto, definisce i «diritti fondamentali comediritti universali, attribuiti a tutti in quanto persone o cittadini o capacid’agire, quali che siano in concreto, anche se futili o peggio

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    previste dalla definizione di Ferrajoli, tali diritti potrebberoben essere stabiliti in una legge ordinaria; coerentemente, nedovremmo allora concludere che anche una legge ordinariache proclama diritti fondamentali (così come definiti daFerrajoli) risulti sottratta ad abrogazione nei modi ordinari10:«la maggioranza, infatti, non può disporre di ciò che non leappartiene» (78; dovrò tornare nuovamente più avanti suquesto aspetto della teoria dei diritti fondamentali di Ferra-

     joli). In secondo luogo, affermare che la costituzione ènecessariamente rigida in quanto contiene una procla-mazione di diritti fondamentali suona come una tesi un po’giusnaturalistica – come, peraltro, anche la tesi precedente.Infatti, secondo questa tesi il regime giuridico di un attonormativo (in questo caso, la rigidità della costituzione) ver-rebbe derivato non dalle contingenti meta-norme vigenti inquell’ordinamento giuridico, ma dal suo contenuto; il conte-

    nuto di un atto normativo ne determinerebbe in manieranecessaria il regime giuridico.Che il rapporto tra superiorità della costituzione, rigidità

    e controllo di costituzionalità debba essere impostato in unamaniera differente da quella prospettata da Ferrajoli emerge,in realtà, da alcune precisazioni marginali che lo stessoFerrajoli apporta alla propria costruzione teorica – marginaliperché figurano in nota, o quasi en passant, ma che in realtà

    moralmente riprovevoli, le aspettative positive o negative con essistipulate» (90, note omesse). Ma si veda anche FERRAJOLI 2007a, 23-24, 725-731.10  Si noti che questa idea, cripto-giusnaturalista, fa talvolta capolinonella cultura giuridica italiana: si veda ad es. la tesi secondo cui le leggi(ordinarie) che attuano diritti fondamentali riconducibili all’art. 2 cost.

    sarebbero sottratte a revisione costituzionale o anche a declaratorie diillegittimità da parte della Corte costituzionale: cfr. ad es. RUGGERI 1993,spec. parr. 5 e 6.

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    mettono in discussione e quasi contraddicono il modo in cuiFerrajoli aveva precedentemente costruito i concetti rile-vanti. Qui, infatti, Ferrajoli afferma:

    «in assenza di controllo di costituzionalità e pur in presenzadi norme sulla revisione, la costituzione sarebbe di fattoflessibile, dato che nessun organo sarebbe in grado dicensurarne le violazioni» (63, n. 11). «È chiaro che qualora

    la costituzione non prevedesse nessun procedimento direvisione e tuttavia prevedesse il controllo giurisdizionaledi costituzionalità, la rigidità della costituzione sarebbeassoluta» (63-64).

    In questi brevi incisi emerge finalmente con chiarezza, e amio giudizio in maniera del tutto corretta, che a fare ladifferenza – a rendere la costituzione gerarchicamente supe-

    riore alla legge (impropriamente: a renderla “rigida”) – nonsono le procedure aggravate di revisione, ma l’esistenza delcontrollo giudiziario di costituzionalità. Il che però richiededi ripensare quanto precedentemente affermato da Ferrajolisull’identità tra rigidità della costituzione e sua collocazioneapicale nella gerarchia delle fonti.

    2.2. La normatività della costituzione (e dei diritti fonda-

    mentali) 

    Come abbiamo visto, Ferrajoli identifica la rigidità dellacostituzione non solo con la sua superiorità, ma anche con lasua normatività – con la sua attitudine a vincolare le fontisubordinate, in primo luogo la legge, e a prevalere su di essein caso di contrasto11. Nel paragrafo precedente, ho cercatodi mostrare che non è possibile identificare “rigidità” con

    11  Cfr. i passi citati supra, n. 3.

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    “superiorità” della costituzione. In questo paragrafo, daròsostanzialmente per scontato che non è possibile neppureidentificare “rigidità” con “normatività” della costituzione:la prima è semplicemente un dato relativo alla particolareprocedura di revisione della costituzione, la seconda ri-guarda invece la capacità della costituzione di penetrarenell’ordinamento, di essere rispettata dagli attori giuridici epolitici e dagli stessi cittadini. Volendo utilizzare un lin-

    guaggio metaforico, potremmo dire con qualche approssi-mazione che la rigidità è una nozione “difensiva”, che de-nota un certo meccanismo procedurale di protezione dellacostituzione dalle contingenti maggioranze politiche; mentrela normatività è una nozione “espansiva”, che denota lacapacità della costituzione di penetrare nell’ordinamentogiuridico e di influenzare i rapporti politici. Mi sembraevidente che si tratta di due nozioni distinte e non credo sia

    necessario argomentare diffusamente al riguardo (per unachiara distinzione tra rigidità e “forza vincolante” dellacostituzione v. comunque GUASTINI  2014, 192-195). Miinteressa però esaminare più da vicino in che modo Ferrajoliconcepisce la normatività della costituzione – e quanto“normativa” essa in effetti risulti essere.

    L’apparato teorico di Ferrajoli – una filosofia del dirittoper lo Stato costituzionale – è infatti ispirato proprio

    dall’ideale di assicurare la maggior normatività possibiledelle costituzioni rigide nel contesto dello stato costitu-zionale. Quindi: non solo la costituzione dello stato costi-tuzionale è di per sé “rigida” (cioè, nel lessico di Ferrajoli,realmente normativa, una vera e propria norma giuridica enon un mero manifesto politico), ma la teoria del dirittodeve individuare tutti gli strumenti necessari per rendereconto di questo mutamento di paradigma, cioè necessari al

    pieno dispiegarsi della normatività della costituzione all’in-terno dell’ordinamento. Da qui, ad esempio, una nuova (maormai consolidata, proprio grazie all’influenza dell’opera di

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    Ferrajoli) teoria della validità, che distingue la validitàformale dalla validità sostanziale; e anche la rivendicazionedi un ruolo critico e progettuale, anziché passivamente de-scrittivo, per la scienza giuridica (81-89).

    Bene, come ho già detto è impossibile ignorare l’impattoche l’opera di Ferrajoli ha avuto nel rinnovare gli studifilosofico-giuridici per portarli al passo dello Stato costi-tuzionale. Ma viene il sospetto che Ferrajoli abbia inserito

    nella sua costruzione teorica alcuni elementi che finisconoper indebolire, preterintenzionalmente, il progetto di suppor-tare sul piano teorico l’ideale della normatività forte dellacostituzione. Mi riferisco in particolare ad alcuni elementipresenti nella definizione di diritto fondamentale, ed èevidente che i diritti fondamentali sono gran parte dellamateria di cui sono fatte le costituzioni.

    Ferrajoli infatti, in primo luogo, insiste ripetutamente

    sulla circostanza che tutti i diritti fondamentali (e non solo,ad esempio, i diritti sociali) necessitano di una legislazionedi attuazione (68, 69, 113; FERRAJOLI  2012, 244). Questorimanda, certamente contro le intenzioni di Ferrajoli, allavecchia dottrina della natura “programmatica” di moltenorme costituzionali (tra cui quasi tutte quelle che procla-mano diritti fondamentali), dottrina che Ferrajoli stessoperaltro stigmatizza (115). Infatti, esattamente come nella

    teoria della natura programmatica delle norme costituzio-nali, in Ferrajoli è solo il legislatore che può dare “vita” adun diritto proclamato in costituzione, introducendo lanecessaria legislazione di attuazione. Ferrajoli non sembracontemplare la possibilità che un diritto costituzionale sia“self-executing” (per mutuare una nota espressione invalsanel diritto comunitario), che sia suscettibile di applicazionediretta in sede giudiziaria: il giudice applica la legge, non la

    costituzione, e in mancanza di apposita interpositiolegislatoris  (che secondo Ferrajoli è necessaria, ripeto, pertutti i diritti fondamentali) il giudice deve solo rassegnarsi a

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    constatare una deprecabile lacuna. Poco importa che, comeFerrajoli sa perfettamente (anche per aver vissuto in primapersona quella stagione; e v. qui p. 115), dalla storia dellacultura giuridica italiana specialmente degli anni ’60 e ’70emerga con evidenza che la normatività della costituzione èstata assicurata, nell’inerzia del legislatore, proprio grazieallo strumento dell’applicazione diretta di principi costitu-zionali da parte dei giudici comuni, che ha consentito di

    superare alcuni aspetti particolarmente retrivi dell’ordina-mento italiano su cui il legislatore non aveva ritenuto diintervenire12.

    12  Si pensi al famoso “caso Gennarino” (Tribunale di Milano,18.1.1971, in «Giurisprudenza di merito», 1971, I, pp. 209 ss.), in cuial figlio di un manovale rimasto vittima di un incidente fu risarcito ildanno alla persona assumendo come parametro il reddito di unmanovale, posto che si riteneva che il figlio avrebbe seguito la mede-sima carriera del padre; vicende di questo tipo hanno poi indotto lagiurisprudenza più innovativa ad escogitare la figura del dannobiologico, per mezzo dell’applicazione diretta del diritto alla salute dicui all’art. 32 cost. In generale su questa evoluzione giurisprudenzialesi veda MARINI 2008; sul “caso Gennarino” si vedano GALOPPINI 1971a e 1971b; RODOTÀ 1971.

    Si pensi poi all’applicazione diretta dell’art. 36, in base al quale

    «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantitàe qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ealla famiglia un’esistenza libera e dignitosa», oggetto di applicazionediretta da parte della giurisprudenza ordinaria al fine di dare efficaciageneralizzata alle clausole retributive dei contratti collettivi (Corte diAppello l’Aquila, 24 ottobre 1950, in «Rivista giuridica del lavoro»,1951, II, p. 1; Corte di Appello Genova, 18 gennaio 1954, in «Orienta-menti di giurisprudenza del lavoro», 1954, p. 460; Cassazione 21febbraio 1952, n. 461, in «Rivista giuridica del lavoro e della previ-

    denza sociale», 1952, II, p. 95; 13 settembre 1954, n. 3046, citatadallo stesso Ferrajoli, p. 115). Vedi in proposito BARTOLE 2004, 166ss., e GUASTINI 2014, 202-203.

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    La differenza principale tra la posizione di Ferrajoli e lavecchia dottrina delle norme programmatiche sembra alloraessere la seguente: mentre in quest’ultima la legislazione diattuazione rientra in una piena e incontrollata discrezionalità politica del legislatore, in Ferrajoli il legislatore è soggetto adun obbligo giuridico  di dare attuazione ai (a tutti i) dirittifondamentali. Il che però rimanda alla questione di qualisiano gli strumenti giuridici per rendere tale obbligo effettivo:

    e Ferrajoli ammette che la questione della sanzione delcomportamento omissivo del legislatore (cioè delle lacune“strutturali”) è di tutt’altro che facile soluzione (114) – unobbligo sostanzialmente privo di garanzie secondarie, almenonella maggior parte degli Stati costituzionali a noi noti.

    Forse si potrebbe ipotizzare a tal fine un ruolo “sostitu-tivo” della Corte costituzionale, che interverrebbe a seguitodell’accertamento dell’indebita lacuna, cioè dell’inerzia del

    legislatore. Ma non sembra che Ferrajoli sarebbe disposto adammettere questo tipo di attivismo giudiziario – in effetti,Ferrajoli sembra in generale aderire ad un ideale di giustiziacostituzionale come puro legislatore negativo. Una possi-bilità che invece Ferrajoli sembra contemplare, ispirandosiall’esperienza brasiliana, è quella di introdurre in costitu-zione un obbligo di destinare una quota del bilanciopubblico alla soddisfazione dei diritti sociali (70, 220); in tal

    modo, una legge che violasse tale obbligo sarebbe passibiledi annullamento da parte di una corte costituzionale, il che ècoerente, appunto, con l’idea della Corte costituzionalecome legislatore solo negativo. Ma una simile strumenta-zione potrebbe valere, a ben vedere, solo per i diritti sociali,e peraltro si risolverebbe solamente nella “giustiziabilità”

    Infine, si pensi all’area dei diritti della personalità (riservatezza,identità personale), inizialmente introdotti nell’ordinamento italianoper via puramente interpretativa: cfr. PINO 2003.

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    dell’obbligo del legislatore di predisporre la relativa prov-vista finanziaria (con conseguente annullamento di unalegge che non rispettasse gli equilibri finanziari a garanziadei diritti sociali), il che dice ancora poco su come i dirittisociali in questione verranno effettivamente attuati13; questastessa strumentazione non potrebbe invece valere, palese-mente, anche per l’eventuale assenza della legislazione diattuazione che per Ferrajoli, si ricordi, è necessaria per tutti i

    diritti fondamentali: in tal caso, infatti, non ci sarebbealcuna legge da annullare, ma solo una lacuna.In secondo luogo, Ferrajoli costruisce la nozione di diritto

    fondamentale in modo che ad ogni diritto corrisponda unobbligo, che ne rappresenta la “garanzia primaria”. In tal modoegli si è però trovato a far fronte alla seguente, potenteobiezione: se – come abbiamo appena visto – è il legislatore adover emanare la legislazione di attuazione dei diritti fonda-

    mentali, cioè le garanzie primarie di ciascun diritto (gliobblighi richiesti per soddisfare o rispettare quel diritto), e se inipotesi accade che il legislatore rimane indebitamente inerte alriguardo, allora si deve concludere che il diritto pur proclamatoin costituzione in realtà non esiste, almeno fino a quando illegislatore non si deciderà ad emanare la legge di attuazioneche introduce le necessarie garanzie primarie. Questo discendedirettamente dalla stipulazione di Ferrajoli, secondo cui ad ogni

    diritto corrisponde necessariamente, concettualmente un obbli-go (la garanzia primaria): se l’obbligo non c’è allora, per neces-sità concettuale, non c’è neanche il diritto14.

    13  Il che, intendiamoci, in tempi di attacco frontale al welfare state non sarebbe certo un risultato da buttar via. Ma da un punto di vista diteoria del diritto, ciò conferma che Ferrajoli ricade ancora una volta in

    una concezione  programmatica  dei diritti fondamentali: perchél’attuazione dei diritti è interamente nelle mani del legislatore.14  Per questa obiezione v. ad es. GUASTINI 2001; JORI 2001; ZOLO 2001.

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    È evidente che Ferrajoli non può accettare questa con-clusione, che contraddice clamorosamente il suo assuntofilosofico-giuridico che promette di assicurare il maggiorgrado possibile di normatività alla costituzione. Ferrajoliallora suggerisce, qui, un chiarimento che consente di farsalva la sua definizione originaria di diritto fondamentale(ogni diritto è concettualmente connesso ad un obbligo chene rappresenta la garanzia primaria), senza dover concludere

    che il diritto esiste solo se il legislatore introduce l’obbligocorrispondente. Il chiarimento è il seguente: anche nel casodei diritti costituzionali esiste sempre, sin dall’origine, unobbligo corrispondente – e dunque esiste concettualmenteanche il diritto; si tratta infatti dell’obbligo del legislatore diconfigurare in sede legislativa gli obblighi che servono arendere effettivo il diritto stesso (69). Così, la connessionenecessaria diritto-obbligo è salva.

    Sfortunatamente, questa replica ha tutte le sembianze diuna vittoria di Pirro: perché rende abbastanza contorta econtrointutiva la grammatica dei diritti fondamentali, eavvicina nuovamente Ferrajoli ad una concezione “program-matica” dei diritti costituzionali. Infatti, accogliendo questaprecisazione di Ferrajoli si finisce per sostenere che, adesempio, il contenuto del diritto fondamentale riconosciutodall’art. 21 o dall’art. 19 della costituzione sia non, rispetti-

    vamente, il vero e proprio diritto di manifestare liberamenteil proprio pensiero, o il vero e proprio diritto di professareliberamente una fede religiosa, ma piuttosto  l’aspettativache il legislatore legiferi in maniera tale da rendere possibilemanifestare liberamente il proprio pensiero, o in manieratale da rendere possibile professare liberamente una federeligiosa – aspettativa a cui corrisponde l’obbligo dellegislatore di legiferare ecc. ecc. In tal modo, mi pare, non si

    fa che ribadire ancora una volta il carattere solo program-matico dei diritti costituzionali (di tutti  i diritti costitu-zionali), introducendo un “obbligo” del legislatore la cui

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    attuazione non sembra assistita da strumenti giuridici reali-sticamente praticabili, come abbiamo già notato pocosopra (salvo ipotizzare, nuovamente, l’intervento “sostitu-tivo” da parte di un potere distinto rispetto al legislatore,cosa che Ferrajoli sembra escludere). E inoltre si offre unarappresentazione abbastanza tortuosa del contenuto deidiritti costituzionali, i quali ad occhio e croce sembrereb-bero effettivamente poter “funzionare” (cioè essere “nor-

    mativi” o, più semplicemente, applicabili) anche nell’iner-zia del legislatore, come in effetti ritengono pressoché tuttele giurisprudenze ordinarie e costituzionali degli Staticostituzionali contemporanei, tramite costruzioni argomen-tative come la  Drittwirkung, e la diretta applicabilità dellenorme costituzionali.

    Insomma, per concludere su questo punto, si possonoavanzare numerose riserve sulla possibilità che la defini-

    zione teorica dei diritti fondamentali elaborata da Ferrajolisia uno strumento effettivamente idoneo a far emergere lanormatività forte dei diritti fondamentali, e delle costituzioniche li proclamano. A conferma di ciò non è senza signifi-cato, mi pare, che lo stesso Ferrajoli indichi incidentalmentecome esempio notevole di normatività forte dei principicostituzionali la vicenda già ricordata poco sopra dell’appli-cazione diretta dell’art. 36 cost. (115-116; v. supra, n. 11),

    vicenda che però sembra contraddire in un colpo solo sia latesi della necessità di una legislazione di attuazione, essendoin questo caso il diritto fondamentale attuato direttamente insede giudiziaria; sia la tesi che l’obbligo corrispondente adun diritto costituzionale ricada sul legislatore, visto che inquesto caso l’obbligo in questione (l’obbligo di corrispon-dere una “giusta” retribuzione) ricade direttamente su sog-getti privati – i datori di lavoro.

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    3. Ferrajoli giuspositivista, e innovatore del positivismogiuridico 

    Come è ampiamente noto, Ferrajoli è un profondo e corag-gioso innovatore della tradizione filosofico-giuridica giu-spositivista.

    Per un verso, infatti, Ferrajoli rivendica con orgoglio lapersistente superiorità epistemologica e “politica” della filo-

    sofia del diritto giuspositivista rispetto alle alternative stori-camente proposte, in primo luogo rispetto al giusnatura-lismo. Da questo punto di vista, Ferrajoli individua iprincipali meriti del positivismo giuridico nella circostanzache esso ha accompagnato e incoraggiato un processo disecolarizzazione e laicizzazione del diritto (la distinzione trareato e peccato; auctoritas non veritas facit legem, 7); ilpositivismo giuridico poi ha reso possibile concepire il

    diritto come una costruzione interamente artificiale, in talmodo demistificando la maestà del diritto e rimarcando ilprimato del “punto di vista esterno” (il punto di vista dellagiustizia) rispetto al “punto di vista interno” (l’obbedienzaall’ordinamento giuridico: 26, 100-102); e inoltre, secondoFerrajoli, il positivismo giuridico ha anche reso possibile lademocratizzazione degli ordinamenti giuridici moderni(20, 23-26).

    Per altro verso però Ferrajoli ha anche portato avanti,instancabilmente, un programma di rinnovamento dell’appa-rato teorico giuspositivista: un rinnovamento finalizzato,come ho detto più volte, a rendere il positivismo giuridicoadeguato alla mutata realtà giuridica rappresentata dalloStato costituzionale. E anche per il proprio giuspositivismo“costituzionalista”, o “garantista”, Ferrajoli rivendica nu-merosi vantaggi rispetto alle alternative offerte dall’attuale

    dibattito filosofico-giuridico internazionale – cioè, segnata-mente, rispetto al costituzionalismo “principialista” o neoco-stituzionalismo di Ronald Dworkin, Robert Alexy, Manuel

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    Atienza, e Gustavo Zagrebelsky. (Il principale vantaggio,come abbiamo visto anche nel paragrafo precedente, con-siste nella maggiore normatività che esso riconoscerebbealle norme costituzionali; di contro, le concezioni alternativeindebolirebbero la normatività delle norme costituzionali,poiché affermano che tali norme sono soggette a bilancia-mento legislativo o giudiziale.)

    Nuovamente, non è possibile ignorare la profonda

    influenza che Ferrajoli ha esercitato sul dibattito filosofico-giuridico internazionale. Tuttavia, in questo paragrafo inten-do sollevare un dubbio: fino a che punto le innovazionimostrate da Ferrajoli sono realmente compatibili con ilpositivismo giuridico? Forse, nel contesto dello Stato costi-tuzionale, alcune tesi – centrali – del positivismo giuridicorichiedono un ripensamento ancora più profondo di quantonon ci abbia mostrato Ferrajoli? Vediamo un po’.

    Le coordinate minime del positivismo giuridico sono,notoriamente, due: la tesi secondo cui tutto il diritto è dirittopositivo, cioè creato da atti umani (principalmente, ma nonnecessariamente, atti di creazione intenzionale); e la tesidella separazione tra diritto e morale. Sottoscrivendo con-giuntamente queste due tesi si ottiene la tessera dell’ambitoclub del positivismo giuridico.

    La prima tesi è chiaramente condivisa da Ferrajoli, il

    quale indica ripetutamente il principio di positività (11, 14,131), o di (“mera”) legalità (20-21), o la struttura dinamicadell’ordinamento giuridico, come elementi imprescindibiliper comprendere il diritto moderno.

    Anche la seconda tesi è da Ferrajoli accettata e difesa,respingendo peraltro come premoderni e sostanzialmenteoscurantisti i tentativi promossi da alcuni autori “neocostitu-zionalisti” di confutare la tesi della separazione tra diritto e

    morale. Ma è proprio su questa seconda tesi, la tesi dellaseparazione tra diritto e morale, che è necessario spenderequalche parola in più.

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    Il problema, ovvio, è che la tesi della separazione tradiritto e morale è una tesi ambigua, che può avere diversisignificati, alcuni del tutto banali, altri meno (GREEN 2008;PINO  2014b; ma v. già HART 1958). E Ferrajoli riconoscequesto con grande chiarezza, quando distingue un signifi-cato assertivo e un significato normativo della tesi dellaseparazione, e quando indica anche vari tipi di rapporti tradiritto e morale che nessun giuspositivista si sognerebbe di

    negare (96-102). Peraltro, una (deprecabile) caratteristica digran parte del dibattito internazionale, e segnatamenteanglosassone, sulla separazione tra diritto e morale è di averassunto le fattezze di una discussione estremamente sottile esofisticata, pressoché iniziatica, talvolta più simile ad unapartita a scacchi che ad una impresa animata da genuiniscopi conoscitivi (cioè di migliorare la nostra comprensionedel fenomeno giuridico)15.

    Ad ogni modo, mi pare si possano isolare tre profilidistinti, e sufficientemente riconoscibili, della tesi positivi-stica della separazione o separabilità tra diritto e morale.Non sono gli unici, ma sono quelli certamente più rilevantiper la filosofia giuspositivistica, e hanno particolare rilievoper l’argomento che intendo sviluppare qui.

    Un primo profilo della tesi della separazione tra diritto emorale è una tesi sullo statuto epistemologico della scienza

    giuridica: in base a questa tesi, la scienza giuridica (se vuoleessere, appunto, scienza e non propaganda) deve esseredescrittiva e “avalutativa”. Si tratta di una tesi presente inKelsen (la dottrina “pura”, l’interpretazione “scientifica”),Ross, Bobbio (il positivismo “metodologico”), e secondoFerrajoli rappresenta un elemento costante della “scolastica

    15  Per un’ottima presentazione del dibattito contemporaneo, si vedaSCHIAVELLO  2004; per una critica alquanto caustica dello stato deldibattito, cfr. DWORKIN 2002.

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    giuspositivista” (82; ma si veda VILLA 1999  e  2004; ingenerale comunque si può notare che questa versione“epistemologica” della tesi della separazione ha animato ladiscussione dei positivisti europei-continentali, mentre èabbastanza ignorata dal dibattito anglosassone). Ferrajolirespinge esplicitamente questa declinazione della tesi dellaseparazione, affermando che nello Stato costituzionale lascienza giuridica deve necessariamente assumere un ruolo

    critico e progettuale; necessariamente, cioè a causa dell’ine-vitabile presenza, a livello infra-costituzionale, di antinomiee lacune rispetto al progetto costituzionale (83-84; v. ancheGIANFORMAGGIO 1992 e, in senso critico, GUASTINI 2004).E questo è, in effetti, un esempio di quel programma diaggiornamento che Ferrajoli propone rispetto al positivismotradizionale.

    Un secondo profilo della tesi della separazione tra diritto

    e morale è una tesi (o definizione) della validità giuridica. Inquesto senso, la tesi consiste nell’affermare che la validità diuna norma giuridica non è funzione della sua giustizia, eviceversa: una cosa è la validità, altra cosa è il valore moraledi una norma giuridica. Di conseguenza, è possibile – oforse necessario16 – accertare la validità di una norma giu-ridica senza far uso di valutazioni morali. Questo èprobabilmente il significato più diffuso e immediato della

    tesi della separazione nella letteratura giuspositivista (ne hodato più diffusamente conto in PINO  2014b), e lo stessoFerrajoli sembra riferirsi esattamente a questo significatodella tesi della separazione, come tesi sulla validità, quando

    16  Sull’alternativa possibile/necessario si basa la distinzione trapositivismo giuridico “inclusivo” (che imposta la questione in termini

    di possibilità) ed “esclusivo” (che imposta la questione in termini dinecessità). V. al riguardo nuovamente lo studio di Schiavello citatonella nota precedente.

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    fa ad essa riferimento senza ulteriori specificazioni (100: «lagiustizia di una norma non è né una condizione necessariané una condizione sufficiente della sua validità»17; v. ancheFERRAJOLI  1989, 204; FERRAJOLI  2012, 234; sul rapportotra il concetto di validità e la tesi della separazione tra dirittoe morale, in Ferrajoli e nel positivismo giuridico in generale,v. anche GIANFORMAGGIO 1993, 27 ss.).

    Un terzo profilo della tesi della separazione tra diritto e

    morale infine consiste, potremmo dire, nella difesa di unasorta di atteggiamento laico, disincantato nei confronti deldiritto. Si tratta dell’idea seguente: il diritto, in quantodiritto positivo, non ha niente di misterioso, né di sacrale: èun prodotto umano, una “specifica tecnica sociale” (Kelsen),uno strumento di organizzazione sociale prodotto da chi hail potere di imporlo all’interno della società. Di conse-guenza, il diritto non solo è qualcosa di moralmente fal-

    libile, come tutto ciò che gli esseri umani fanno, ma è anchequalcosa su cui dobbiamo sempre tenere aperto il nostroscrutinio morale: il punto di vista giuridico non deve maiconfondersi con il punto di vista morale (parafrasandoBobbio, potremmo chiamare questo un anti-legalismo etico,cioè il rovesciamento di quel positivismo “ideologico” che,come è noto, per Bobbio come anche per Ross rappresentain realtà una variante del giusnaturalismo). Anche a questo

    riguardo, Ferrajoli si mostra in linea con la miglioretradizione di ricerca giuspositivista18: Ferrajoli infatti, come

    17  Sfortunatamente, in altri luoghi del libro Ferrajoli associa talvoltala tesi della separazione non alla validità, ma alla “esistenza” o alla“positività” del diritto – nozioni, queste ultime, che in Ferrajoli nonsono del tutto equivalenti a “validità”. V. in proposito infra, § 3.1.

    18  Per amore di argomento, noto che Ferrajoli ascrive al filone dipensiero che rifiuta il positivismo ideologico anche Bentham e Kelsen(12, n. 9). Purtroppo, si tratta di due esempi un po’ infelici. Di

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    abbiamo già visto, rivendica la superiorità del punto di vistaesterno sul punto di vista interno, e l’autonomia di Anti-gone, «portatrice del punto di vista morale e politico irri-ducibilmente esterno, critico e progettuale nei confronti deldiritto vigente» (26). E peraltro basta uno sguardo cursorioalla sterminata produzione di Ferrajoli in ambito penalisticoper rendersi conto che nulla è più alieno al pensiero diFerrajoli di un atteggiamento di acritica deferenza verso il

    diritto positivo, o dell’idea che il diritto positivo abbia unintrinseco valore morale.

    3.1. Validità formale, validità sostanziale, e la separazionetra diritto e morale 

    Bene: abbiamo individuato tre significati prominenti dellatesi positivistica della separazione tra diritto e morale, e

    abbiamo visto che Ferrajoli respinge recisamente il primo(relativo alla avalutatività della scienza giuridica), mentremantiene con decisione gli altri due (relativi rispettivamentealla teoria della validità, e al “distacco morale” verso ildiritto positivo).

    Il problema che intendo sollevare è il seguente: fino ache punto Ferrajoli può coerentemente affermare la tesi

    Bentham, infatti, Ferrajoli stesso ricorda il famoso slogan «obbedirepuntualmente, criticare liberamente» (87, n. 41): che, nella misura incui invita alla puntuale obbedienza alla legge, incarna l’atteggiamentoche Bobbio denomina “positivismo etico moderato” (BOBBIO  1961,280, 151 ss.; BOBBIO 1965, 101 ss.). Quanto a Kelsen, è noto che variaspetti della sua teoria del diritto (la concezione normativa della

    validità come obbligatorietà, la teoria della norma giuridica comegiudizio di dover essere) hanno portato a definirlo come un “quasi-positivista” (ROSS 1961; CELANO 1999).

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    della separazione tra diritto e morale, intesa specificamentecome tesi sulla validità delle norme giuridiche?Il problema emerge con maggiore chiarezza se si ricorda

    che uno dei più importanti e originali contributi di Ferrajolial rinnovamento delle categorie concettuali del positivismogiuridico consiste nella distinzione tra validità  formale  evalidità sostanziale: distinzione resa necessaria, secondoFerrajoli, dalla struttura dello Stato costituzionale, che pone

    non solo condizioni formali-procedurali, ma anche restri-zioni contenutistiche, sulla produzione giuridica – inclusa eanzi in primo luogo la produzione legislativa. Così, la vali-dità formale dipende dal rispetto delle metanorme pro-cedurali e di competenza relative alla produzione di queltipo di atto normativo (in ipotesi, la legge); e la validità so-stanziale consiste nella circostanza che delle norme infra-costituzionali possa essere predicata la «coerenza o compa-

    tibilità con i principi di giustizia stabiliti dalla costituzione»(73, 95): una norma infracostituzionale è valida in sensosostanziale se è coerente con le norme costituzionali (che, sibadi, sono «principi etico-politici», 84).

    Ora, l’accertamento della validità sostanziale, in quantoaccertamento della compatibilità della norma subordinatacon quella sovraordinata, è palesemente dipendente dall’in-terpretazione: sia della norma subordinata che di quella

    sovraordinata; dire che la norma N1  è valida (in senso so-stanziale) perché coerente con la norma N2  presuppone diaver prima esperito un’interpretazione di entrambe. E pre-suppone altresì una valutazione sostanziale di coerenza tral’una e l’altra. Ma la norma N2 è, nel nostro caso, una normacostituzionale, cioè una norma che esprime, come abbiamoappena visto, «principi etico-politici». Ebbene, il puntocruciale è il seguente: non sembra possibile né interpretare

    una norma che esprime un principio etico-politico, névalutare la coerenza rispetto ad essa delle norme subordi-nate, senza con ciò esperire corpose valutazioni sostanziali.

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    Valutazioni che, contrariamente a quanto afferma Ferrajoli,non possono essere di tipo prettamente ed esclusivamentegiuridico19, ma saranno anche – e necessariamente – di ca-rattere etico-politico: proprio perché etico-politica è lasostanza delle norme in considerazione. A ciò si aggiungache, come Ferrajoli ammette chiaramente, l’attività inter- pretativa in sé , a qualunque livello, è condizionata da sceltemorali ed opzioni etico-politiche20.

    La conclusione mi sembra scontata, e ineludibile: l’ac-certamento della validità sostanziale impone (anche) scelte evalutazioni morali. E dunque, quantomeno  al livello dellavalidità sostanziale, la tesi positivistica della separazione tradiritto e morale non tiene21. (Si ricordi che per Ferrajoli la

    19  Cfr. 83: la dimensione valutativa che la teoria del diritto sug-gerisce alle discipline giuridiche positive «è solamente e puramentegiuridica». Questa affermazione è condivisibile se intesa nel senso cheè lo stesso diritto positivo che impone al giurista di far ricorso avalutazioni sostanziali. Ma non è accettabile se intesa nel senso chetali valutazioni sono a loro volta puramente giuridiche.20  Cfr. 97: nessuno si sognerebbe di negare, osserva Ferrajoli, che«nell’interpretazione dei testi delle leggi e soprattutto delle costitu-zioni intervengano inevitabilmente, a suo sostegno, scelte orientate da

    opzioni morali o comunque etico-politiche delle quali deve essere ar-gomentata razionalmente la conformità ai principi costituzionali».21  Quantomeno: perché anche l’accertamento della validità formale èuna questione interpretativa (cfr. FERRAJOLI 2007a, 577, n. 23: «ancheil vigore e, più in generale, la conformità e la difformità, che più oltrechiamerò “validità formale” e “invalidità formale”, non sono soloquestioni di fatto, essendo riconoscibili come tali sulla base (dell’in-terpretazione) delle norme formali di cui sono l’osservanza o l’inos-servanza»). E dunque anche a tale livello si dovrebbe porre quella

    connessione interpretativa necessaria tra diritto e morale, che Ferrajoliammette (v. n. precedente). Ma in questa sede non approfondirò taleultimo profilo.

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    tesi positivistica della separazione è anche, e forse soprat-tutto, una tesi sulla validità.)Che su questo specifico punto ci sia qualcosa che non

    fila del tutto liscio, per così dire, nella posizione giusfilo-sofica di Ferrajoli emerge, a mio giudizio, da un paio diindizi abbastanza eloquenti. Il primo indizio consiste nelfatto che, pressoché tutte le volte in cui introduce la tesipositivistica della separazione tra diritto e morale, Ferrajoli

    finisce per riferirla, di fatto, alla sola positività o validità formale, o perfino a ciò che egli chiama “esistenza” (vale adire, il fatto che un certo atto normativo sia stato prodotto inmodo da rispettare almeno alcune delle metanorme formalie procedurali rilevanti per quale tipo di atto)22. In buonasostanza, in questi casi, Ferrajoli si richiama ad unadefinizione di diritto non dissimile da quella che egli stessoriferisce al contesto dello stato legislativo23. Ma è stato

    proprio Ferrajoli ad insegnarci che nel modello “costitu-zionale”, o “neo-giuspositivista”, la validità delle norme «si

    22  La tesi della separazione tra diritto e morale «vuol dire soltantoche “diritto”, in un ordinamento nomodinamico, è tutto e solo ciò cheè posto come tale dalle autorità giuridicamente abilitate a produrlo,quale che sia – piaccia o non piaccia, sia esso considerato giusto o

    ingiusto – il suo contenuto normativo»; «la positività di una norma, siapure di rango costituzionale, non ne implica la giustizia […], mentrela sua giustizia, inversamente, non ne implica affatto l’esistenzagiuridica positiva» (100).23  Cfr. 7 «Di qui [nel modello legislativo, o paleo-positivista, ndr ] laseparazione tra diritto e morale, o tra validità e giustizia […]: sel’esistenza delle norme dipende unicamente dalla loro positività,possono ben darsi norme positive ingiuste e tuttavia esistenti e normegiuste e tuttavia non positive e perciò inesistenti»; in tale modello, la

    validità delle norme «si riconosce e si identifica con la loro positività,legata unicamente alla conformità delle loro forme di produzione allenorme formali sulla loro produzione» (9, corsivi nell’originale).

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    riconosce e si identifica, oltre che con la conformità delleloro  forme, anche con la coerenza della loro sostanza  osignificato con le norme non più solo formali ma anchesostanziali sulla loro produzione» (9, corsivi nell’originale).Dunque, per un verso Ferrajoli ha mostrato con forza chenello Stato costituzionale la validità è una nozione com-plessa, che deriva dalla congiunzione di validità formale evalidità sostanziale. Ma per altro verso, quando difende la

    tesi positivistica della separazione tra diritto e morale, egliutilizza formulazioni che rimandano in effetti alla solavalidità formale tipica dello Stato legislativo. Ora, non cisarebbe nulla di male a voler difendere, eventualmente,l’idea che nello Stato costituzionale la tesi della separazionesi applica solo alla validità formale: ma allora sarebbeopportuno avvertire il lettore che, nel contesto dello Statocostituzionale, la tesi della separazione è un altro di quegli

    aspetti del positivismo giuridico che richiedono un serioripensamento – cosa che Ferrajoli fa a proposito di altre tesipositivistiche (il concetto di validità, la descrittività dellascienza giuridica…), ma si guarda dal fare in questo caso.

    Un secondo indizio riguarda il trattamento che Ferrajolifa del problema del conflitto tra diritti fondamentali – untema tipico dell’argomentazione costituzionale nello Statocostituzionale contemporaneo. Ebbene, a questo riguardo

    Ferrajoli afferma che gran parte dei conflitti tra diritti sonoconflitti solo apparenti, la cui soluzione non richiede affattoun bilanciamento: in verità, secondo Ferrajoli, si tratta solodi individuare i limiti «impliciti nella struttura logica deglistessi principi o diritti, talora esplicitati dalle stesse normecostituzionali e comunque riconoscibili in via generale edastratta  in sede di interpretazione giudiziaria o dottrinale»(122, corsivi miei); Ferrajoli aggiunge peraltro che «non si

    tratta di limiti dettati da opzioni morali o ideologiche»(122). Ora, a parte il fatto che non è chiaro in che modo sipossa conciliare quest’ultima affermazione con la già

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    menzionata tesi, difesa in via generale dallo stesso Ferrajoli,secondo cui «nell’interpretazione dei testi delle leggi esoprattutto delle costituzioni intervengano inevitabilmente, asuo sostegno, scelte orientate da opzioni morali o comunqueetico-politiche» (97); a parte questo, dicevo, Ferrajoli fal’esempio di un presunto limite “logico” ad un diritto fonda-mentale: infatti, «la libertà di manifestazione del pensieroincontra certamente il limite della dignità della persona»

    (123). Bene: non si vede come la dignità della persona possaessere considerata un limite puramente logico alla libertà dimanifestazione del pensiero, anziché un limite individuatosulla base di considerazioni sostanziali anche di carattereetico-politico – cosa resa ancora più evidente dal fatto che sitratta di un limite nemmeno espressamente menzionato daltesto della costituzione24.

    3.2. Una chiosa sulla validità sostanziale Concluderò questa sezione dedicata al positivismo giuridicodi Ferrajoli con un’ulteriore notazione relativa al concetto divalidità sostanziale: concetto strategico, come ormai sappia-mo, nel rinnovamento del positivismo giuridico proposto daFerrajoli, e anche (come vedremo tra breve) nella sua teoriadella democrazia. Generalmente parlando, abbiamo detto, la

    validità sostanziale è data dalla conformità di una norma allenorme ad essa superiori. Ferrajoli, tuttavia, propone ancheuna definizione (stipulativa) più precisa di validità sostan-ziale, «che richiede che all’atto normativo sia associabile

    24  Peraltro, che l’individuazione di tale limite sia frutto non dellalogica, ma di apprezzamenti sostanziali appare chiaro in virtù del fatto

    che «tale limite può essere ritenuto più o meno rigido, dando luogo asoluzioni diverse nei casi concreti a seconda, per esempio, del ruolopubblico della persona di cui viene violata la riservatezza» (123).

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    almeno un significato coerente con tutte le norme sostanzialiad esso sopra-ordinate», mentre si parlerà di invaliditàsostanziale «se nessun  significato normativo associabileall’atto è compatibile con le norme sostanziali sulla suaproduzione» (41, n. 56, corsivi nell’originale; cfr. ancheFERRAJOLI 2007a, 527-530).

    A dire il vero, non è chiara la ragione teorico-generale diquesta qualificazione («almeno un significato»), che peraltro

    sembra anche controproducente per gli obiettivi di politica deldiritto di fondo perseguiti dallo stesso Ferrajoli. Infatti, da unpunto di vista teorico-generale, si consideri che Ferrajoliaccetta la comune (e imprescindibile) distinzione tra attonormativo (composto a sua volta da enunciati linguistici –“disposizioni”, o “segni”) e norma (cioè il significato deglienunciati linguistici contenuti nell’atto normativo; 40, 131).Ebbene, applicando coerentemente la distinzione standard tra

    atto normativo, disposizione e norma al problema dellavalidità sostanziale, si dovrebbe affermare che gli enunciatilinguistici (le disposizioni) inclusi in ciascun atto normativosono solitamente suscettibili di plurime interpretazioni, cioèpossono essere interpretati in modo da esprimere, alterna-tivamente, diverse norme – ad esempio le norme N1, N2, N3,N4; di queste norme, alcune, ad esempio N1  e N2, sarannocoerenti con le norme sostanziali sopra-ordinate, e dunque 

    saranno valide in senso sostanziale; e altre, ad esempio N3 eN4, saranno incompatibili con tali norme, e dunque  sarannoinvalide in senso sostanziale. E questa sembrerebbe unaraffigurazione abbastanza lineare del rapporto tra gli enunciatinormativi, i loro possibili significati, e le norme sostanzialisopra-ordinate.

    Invece la stipulazione di Ferrajoli, anziché dire che unostesso atto normativo può esprimere tanto norme valide

    quanto norme invalide, come pare ovvio, afferma che unatto normativo è valido in senso sostanziale se almeno unadelle norme che esprime è coerente con le norme superiori.

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    Ma in tal modo Ferrajoli produce una sorta di “sanatoria”, insede teorica, di quegli atti normativi che esprimono allostesso tempo sia norme valide sia norme invalide – perfino,in ipotesi, di quegli atti normativi che, pur potendo espri-mere norme conformi a costituzione, nella prassi risultinocostantemente ed esclusivamente interpretati e applicatidagli organi dell’applicazione in un senso che è incompa-tibile con le norme superiori (ipotesi tutt’altro che peregrina,

    visto anche che l’accertamento della coerenza tra normeinferiori e superiori è, come ogni questione interpretativa,opinabile); applicando coerentemente la stipulazione diFerrajoli, infatti, dovremmo dire che in tale ultima situa-zione siamo comunque in presenza di un atto normativovalido in senso sostanziale, anche se il significato compa-tibile con la costituzione è di fatto costantemente ignoratodagli organi dell’applicazione – i quali si trovano invece ad

    applicare l’atto normativo attribuendogli significati contrarialla costituzione25.Davvero non si capisce quale utilità teorica abbia questa

    stipulazione, che consente di qualificare come valido insenso sostanziale un atto che esprime (anche) norme inva-lide. Forse Ferrajoli dà semplicemente per scontato che, in

    25

      La situazione descritta nel testo è in effetti quella che si verifica,nell’ordinamento italiano, quando la Corte costituzionale dichiaral’incostituzionalità del diritto vivente. In tali casi, infatti, la Corteprende atto del fatto che, pur essendo astrattamente disponibili deisignificati conformi a costituzione, la giurisprudenza costante si è difatto assestata su un significato non compatibile con la costituzione. E,non avendo il potere di imporre una propria interpretazione alle altrecorti, alla Corte costituzionale non resta che dichiarare incosti-tuzionale l’atto normativo in sé . Utilizzando la stipulazione di Ferra-

     joli, dovremmo concludere che in questi casi la Corte costituzionaleannulla una norma valida in senso sostanziale, il che non sembra unadescrizione particolarmente perspicua di ciò che in effetti accade.

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    presenza di quell’unico significato conforme a costituzione,gli interpreti debbano  senz’altro sceglierlo, ignorando deltutto i possibili significati (cioè le possibili norme) inco-stituzionali («i giudici sono pur sempre sottoposti alla legge,ma solo alla legge ritenuta costituzionalmente valida», 54);e ciò spiegherebbe perché per avere un atto normativovalido in senso sostanziale è sufficiente che esso possaesprimere anche un solo significato coerente con la costitu-

    zione. Si tratterebbe in buona sostanza della tacita cristal-lizzazione, all’interno di una definizione stipulativa divalidità, di una direttiva interpretativa, quella dell’interpre-tazione conforme a costituzione.

    Ma, oltre a non “quadrare” molto con la logica delladistinzione standard tra atti normativi, disposizioni e norme,questa stipulazione sottovaluta anche il fatto che talvolta èpiù opportuno, da un punto di vista di politica del diritto

    (ovvero, dal punto di vista di quel ruolo critico che Ferrajoliassegna ai giuristi), mettere in evidenza esattamente lapossibilità che un atto normativo dia luogo a norme incosti-tuzionali, pur potendo esso esprimere anche norme conformia costituzione – ad esempio, nel caso in cui l’interpretazioneincostituzionale appaia più ovvia mentre quella conforme acostituzione sarebbe più cervellotica: spesso, è megliochiedere alla Corte costituzionale la rimozione di un atto

    normativo  prima facie  incostituzionale, anziché affidarsialla vaga speranza che esso venga interpretato in sensoconforme a costituzione.

    4. Sulla teoria della democrazia di Luigi Ferrajoli

    In questa sezione discuterò alcuni aspetti della teoria della

    democrazia di Luigi Ferrajoli. Come ho già detto, la teoriadella democrazia è, in Ferrajoli, del tutto integrata sia con ilmodello dello Stato costituzionale, sia con il positivismo

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    giuridico rivisitato alla luce di quello stesso modello (20,23-26, 34-38, 45).Il concetto di democrazia che si conviene allo Stato

    costituzionale è, per Ferrajoli, la “democrazia costituzionale”(v. in generale il cap. I). Quest’ultima si compone di duedimensioni: una “formale” e una “sostanziale”. La dimensioneformale della democrazia, o democrazia formale, riguarda leforme, le procedure e i soggetti abilitati a prendere le decisioni

    pubbliche (il “chi” e il “come”). La dimensione sostanzialedella democrazia, o democrazia sostanziale, riguarda le restri-zioni sostanziali al contenuto delle decisioni pubbliche (il “checosa”, “l’indecidibile”), e si riferisce alle decisioni pubblicheche devono essere prese (ad esempio in relazione all’attuazionedi diritti di prestazione) e alle decisioni pubbliche che nondevono  essere prese (ad esempio, decisioni che violino dirittifondamentali) – rispettivamente, “l’indecidibile che non” e

    “l’indecidibile che” (25, 35-37, 48).Inoltre, Ferrajoli disarticola ciascuna di queste due dimen-sioni della democrazia in due ulteriori dimensioni (risultandonecosì un modello “quadridimensionale” di democrazia”, 45): ladimensione formale si distingue in una dimensione “politica”,costituita dall’insieme dei diritti politici e che incarna l’auto-determinazione nella sfera pubblica; e in una “civile”, costituitadall’insieme dei diritti civili e che si esplica nell’attività

    negoziale dei privati capaci di agire (46). La dimensionesostanziale della democrazia si distingue per un verso nell’in-sieme dei diritti di libertà e di autonomia, che non devonoessere lesi dalle decisioni pubbliche (la “democrazia liberale”),e per altro verso nell’insieme dei diritti sociali, che devonoessere attuati  dalle decisioni pubbliche (la “democraziasociale”)26. Per Ferrajoli queste quattro dimensioni della

    26  Ma si ricordi che, in realtà, secondo Ferrajoli tutti  i dirittifondamentali necessitano di leggi di attuazione: v. supra, § 2.2.

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    democrazia sono «tutte necessarie e congiuntamente suffi-cienti» (49) per aversi una democrazia costituzionale. Le quat-tro dimensioni della democrazia dunque corrono in parallelo aquattro classi distinte di diritti fondamentali: diritti politici,diritti civili, diritti di libertà e diritti sociali.

    Ferrajoli, infine, istituisce un parallelo tra le dimensionidella democrazia e quelle della validità normativa: le tecni-che e le procedure che integrano la democrazia formale sono

    funzionali alla validità formale degli atti normativi, mentrele restrizioni che integrano la democrazia sostanziale sonofunzionali alla validità sostanziale delle norme.

    Ora, a me pare che la definizione di democrazia utiliz-zata da Ferrajoli sia per certi versi troppo ampia, e per altriversi troppo ristretta (§ 4.1). Inoltre, non mi sembracondivisibile il modo in cui Ferrajoli argomenta a favoredell’inclusione di una dimensione sostanziale nel concetto di

    democrazia (§ 4.2).4.1. Il concetto di democrazia messo a fuoco 

    La definizione di democrazia utilizzata da Ferrajoli è troppoampia perché include nel concetto di democrazia (seppuredemocrazia “costituzionale”) alcune cose che a ben vederesi fa fatica a ricondurre al concetto di democrazia come

    normalmente intesa. Questo salta all’occhio, in particolare, aproposito della democrazia “sostanziale” (di cui parlerò trapoco). Ma già nel campo della democrazia formale c’èqualcosa di strano: qui infatti troviamo non solo i tradi-zionali diritti politici, ma anche l’insieme dei diritti (civili)di autonomia privata, che Ferrajoli chiama democrazia“civile”. Orbene, secondo le più correnti definizioni didemocrazia, essa si riferisce ai metodi di adozione delle

    decisioni collettive: e non è evidente in che modo la con-clusione di un qualsiasi contratto tra soggetti privati possaessere ricondotto a questo ambito.

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    Ma, come dicevo, l’ipertrofia della definizione ferra- joliana di democrazia è più evidente nel campo dellademocrazia sostanziale. Infatti, secondo Ferrajoli, nelladimensione sostanziale della democrazia (o “democraziasostanziale”) rientrano tutti i limiti sostanziali al potere diproduzione normativa: «ciò che da un lato è vietato edall’altro è obbligatorio decidere, quali che siano le contin-genti maggioranze» (35); tali limiti coincidono, evidente-

    mente, con le norme sostanziali della costituzione (37).Questo causa alcune difficoltà, mi pare. In primo luogo, trale norme sostanziali della costituzione (e dunque nel campodella democrazia sostanziale) figurano cose che si faveramente fatica a ricondurre al concetto di democrazia (ilprincipio del carattere personale della responsabilità penale,la tutela della famiglia come società naturale, la tutela delpaesaggio e del risparmio), e anche cose che probabilmente

    Ferrajoli considera – giustamente – pressoché un affrontoalla democrazia stessa (il c.d.  fiscal compact , costituzio-nalizzato all’art. 81)27. In secondo luogo, non è del tuttochiaro quale sia il posto dei diritti politici nell’elegante rap-presentazione quadridimensionale della democrazia elabo-rata da Ferrajoli. Ferrajoli infatti afferma che i diritti politicicostituiscono la “democrazia politica”, e dunque afferisconoalla dimensione formale della democrazia. Ma è del tutto

    27  Inoltre, qui e ora il legislatore nazionale italiano non può violareuna serie di norme e principi derivanti dall’adesione italiana all’Uni-one europea: alcune di queste cose fanno parte, letteralmente, di ciòche è indecidibile da parte delle maggioranze politiche. E questoderiva, oggi, da una precisa norma costituzionale (art. 117). Se nedovrebbe concludere che il diritto comunitario è parte della demo-

    crazia sostanziale del nostro Stato costituzionale – il che, dopodecenni di dibattiti sul deficit democratico dell’Unione europea, suonaquantomeno paradossale.

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    evidente che, nello Stato costituzionale, i diritti politici sonoanche altrettanti diritti fondamentali sottratti alla disponi-bilità delle contingenti maggioranze politiche (maggioranzeche peraltro si formano proprio grazie all’esercizio di queglistessi diritti politici), e dunque dovrebbero integrare anchela dimensione sostanziale della democrazia.

    Il caso dei diritti politici è interessante, perché rivela unacrepa, a mio parere, non solo nella distinzione tra le varie

    dimensioni della democrazia, ma anche nella quadri-partizione dei diritti fondamentali elaborata da Ferrajoli (enon è un caso, ovviamente, visto che le due cose vanno inparallelo). Infatti, se guardiamo al caso specifico del dirittodi voto, non solo non sappiamo se ricondurlo alla demo-crazia formale o a quella sostanziale (o, più probabilmente,ad entrambe, come molti altri diritti politici: si pensi aldiritto di associazione politica); ma, guardando alla tipo-

    logia ferrajoliana dei diritti fondamentali, non sappiamoneanche se metterlo (solo) sotto la voce dei diritti politici o(anche) sotto quella dei diritti sociali: infatti il diritto di votoè certamente un diritto politico; ma può essere consideratoanche un diritto sociale, perché il suo esercizio necessita dicorposi interventi pubblici (seggi elettorali, arruolamento discrutatori, ecc.)28.

    Questo non è un caso isolato: Ferrajoli stesso infatti

    mostra che anche il diritto a un reddito di base ha «unaduplice natura. È innanzitutto, come è ovvio, un dirittosociale a una prestazione vitale da parte della sfera pubblica.Ma è anche un diritto civile di autodeterminazione e undiritto di libertà» (218). E la Corte costituzionale italiana

    28  Per Ferrajoli, «i diritti sociali (o positivi), […] consistono in

    aspettative positive di prestazioni» (FERRAJOLI 2007a, 743) («Chiame-rò sociali i diritti fondamentali ‘a’ o positivi, consistenti in aspettativepositive (di prestazioni)», ivi, 742, corsivo nell’originale).

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    afferma ad esempio che anche il diritto fondamentale allasalute ha un duplice volto: come diritto sociale, e comeimmunità da lesioni all’integrità psico-fisica (Corte cost. n.445/1990) – e a questi due potremmo aggiungerne anche unterzo: la libertà di autodeterminazione in materia sanitaria(Corte cost. n. 438/2008).

    Queste osservazioni per un verso hanno un valore pocopiù che “estetico”, perché mettono in crisi l’eleganza

    euclidea della quadripartizione di Ferrajoli. Ma per altroverso offrono uno spunto ben più importante, relativo allastruttura dei diritti fondamentali: che sono entità complessee proteiformi, e ingabbiarli in rigidi schematismi produce“distorsioni come prezzo dell’uniformità”29. C’è poco daguadagnare, nell’analisi dei diritti fondamentali, ad erigererigide distinzioni e dicotomie (Ferrajoli parla ad esempio diuna «grande divisione» tra diritti di libertà e diritti sociali:

    FERRAJOLI  2007a, 743), e molto da guadagnare invece adindagare sulla complessità interna di ciascun (tipo di) dirittofondamentale, e sulle complesse interazioni, sovrapposi-zioni, e anche collisioni, tra (tipi di) diritti (PINO  2010b,spec. 302-304).

    Ma la definizione di democrazia proposta da Ferrajoli èanche troppo ristretta: perché Ferrajoli riferisce di solito lademocrazia all’ambito delle decisioni pubbliche, ma in

    realtà si riferisce alle forme e ai contenuti della produzionenormativa: questo è reso particolarmente evidente dal nessoche Ferrajoli istituisce tra dimensioni della democrazia econdizioni di validità degli atti normativi. (Peraltro, unaspetto notevole della democrazia formale è il suffragiouniversale, ma non è chiaro in che modo quest’ultimo siacondizione di validità formale degli atti normativi.) Ma

    29  L’espressione è notoriamente di HART  1961, 48 (ma a tutt’altroproposito).

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    ovviamente l’ambito della democrazia è molto più ampio diquello che si incarna specificamente in atti di produzionenormativa: nei regimi presidenziali o semipresidenziali, adesempio, la democrazia si estende alla elezione diretta delcapo dell’esecutivo, il quale in tale ruolo non ha necessa-riamente poteri di produzione normativa (che anche in queisistemi sono solitamente riservati, o attribuiti in manierapreponderante, al parlamento); e anche nei regimi parla-

    mentari il fatto che il governo debba godere della fiducia delparlamento è una istanza di democrazia. Inoltre, e perconverso, anche nell’ambito specifico della produzionenormativa la dimensione  formale della democrazia includecose (come ad esempio le procedure stabilite dai regola-menti parlamentari) che non sembra abbiano direttamente ache fare con i diritti politici intesi come diritti fondamentali– quantomeno se si utilizza la definizione di diritti fonda-

    mentali elaborata da Ferrajoli (diritti che spettano a tutti inquanto persone, o cittadini, o capaci di agire). E dunque tuttiquesti aspetti della democrazia formale sembrano restarefuori dalla definizione di democrazia di Ferrajoli.

    4.2. Questioni di metodo 

    Oltre al merito del modo in cui Ferrajoli costruisce l’ambito

    della democrazia, non mi sembra nemmeno molto convin-cente il modo in cui Ferrajoli difende la scelta di metodo,per così dire, di includere una dimensione sostanziale accan-to a quella formale di democrazia. Da questo punto di vistaFerrajoli ricorre a tre argomenti che sconsigliano di utiliz-zare una definizione solo formale-procedurale di democra-zia, e militano in favore di una definizione anche sostan-ziale: una definizione solo formale-procedurale, infatti,

    1) è affetta da «mancanza di portata empirica a causadella sua inidoneità a dar conto delle odierne democraziecostituzionali, nelle quali il potere del popolo o dei suoi

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    rappresentanti non è affatto illimitato ma è sottoposto ailimiti e ai vincoli imposti dai diritti fondamentali costituzio-nalmente stabiliti»;

    2) tali limiti e vincoli sono necessari, «quali condizionidella stessa effettività della democrazia politica, cioè dellaformazione di una volontà degli elettori consapevole einformata»;

    3) tali limiti sono inoltre «una garanzia di sopravvivenza

    della stessa democrazia politica, la quale in loro mancanzapuò essere manomessa dall’onnipotenza delle maggioranze,come hanno dimostrato il fascismo e il nazismo del secoloscorso che conquistarono il potere con mezzi legali eformalmente democratici e poi soppressero la democrazia»(tutti i brani a p. 27).

    Nessuno di questi argomenti sembra risolutivo in favoredella scelta di includere una dimensione sostanziale

    all’interno  del concetto di democrazia. In particolare,l’argomento sub 1) sembra fuori bersaglio, giacché nulla inuna definizione formale-procedurale di democrazia implicache non siano concepibili limiti sostanziali a ciò che puòessere democraticamente deciso; le definizioni formali-procedurali dicono solo come  si prendono le decisionidemocratiche (suffragio universale, regola di maggioranza),e nulla in ciò suggerisce che gli organi che decidono

    secondo tali modalità siano anche onnipotenti.Gli argomenti sub  2) e 3), poi, dicono solo che certilimiti e vincoli sono necessari per l’effettività  e per lasopravvivenza della democrazia, ma non si vede perché ciòche è necessario all’effettività o alla sopravvivenza diqualcosa debba essere incluso nella definizione  di quellacosa. Si pensi, per capirci meglio, al caso del diritto diproprietà: ci sono molte cose che sono necessarie

    all’effettività del diritto di proprietà (strade, opere di urba-nizzazione, accessibilità a relazioni di mercato), e alla suasopravvivenza (forze di polizia, tribunali); ma per quale

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    ragione dovremmo considerare tutte queste cose come partedel concetto di proprietà?Insomma, e per evitare qualunque dubbio, è vero che ci

    sono alcune cose che contribuiscono all’effettività dellademocrazia: senza un tasso di scolarizzazione diffuso, senzala libera circolazione delle informazioni e delle opinioni,senza un livello minimo di libertà dai bisogni materiali,senza tutte queste cose (e probabilmente altre ancora) le

    regole democratiche sarebbero solo una facciata per formedi oppressi