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76/77 sviluppo e ambiente Periodico trimestrale del Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati - Registrazione Tribunale di Roma - n. 374/89 del 21/06/1989 Anno XXIV - Numero 75/76 - ottobre 2012 / marzo 2013 - Poste Italiane SPA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Roma DA A L’economia verde inizia a fare sul serio E Q UILIBRI WALL ST GREEN ST

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Periodico trimestrale del Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati

Registrazione Tribunale di Roma n. 374/89 del 21/06/1989

Direttore Responsabile:Paolo Tomasi

Segreteria di redazione:Domenico Zaccaria

Anno XXIVNumero 76/77Ottobre 2012/Marzo 2013

Direzione, redazione, amministrazione: Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati Via Virgilio Maroso, 50 – 00142 Roma

Progetto grafico e realizzazione:eprcomunicazione Via Arenula, 29 – 00186 Roma

Stampa: Piramide ComunicationRoma

Stampato nel mese di aprile 2013

INDICEEDITORIALE 3Se la Green Economy inizia a fare sul serio

PRIMA PAGINA 4Prodotto interno verde

INTERVISTE 7Edo Ronchi“Risorse, occupazione e progresso:all’Italia serve una svolta verde”

Marco Frey“Semplificazione e norme chiare: le basi per investimenti duraturi”

Pietro Colucci“Il futuro è l’internazionalizzazioneora le imprese italiane sono mature”

DALL’ESTERO 10Stati Uniti, Obama tenta il rilancio il secondo mandato sarà più “green”

ISTITUZIONI 13Arturo Siniscalchi“Road show a sostegno delle impreseper favorire uno sviluppo sostenibile”

LIBRI 14Nuove professioni in un mondo più pulito il presente e il futuro dell’economia verde

FIERE 16“Navighiamo pulito per l’ambiente”Il COOU sbarca a Big Blu il salone della nautica e del mare

SCUOLE 18Gli alunni di Scuola Web Ambientenon vogliono lavarsene le mani!

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Che succede se la Green Economy inizia a fare sulserio? Questa è la domanda che ci poniamo in que-sto numero di Equilibri. Attraverso articoli e intervi-ste abbiamo cercato di capire fino a che punto un’e-conomia ispirata alla sostenibilità ambientale siadavvero una soluzione, non solo ovviamente perl’ambiente ma anche per la crescita, per l’occupazio-ne, per il contesto sociale. Le risposte sembranoandare tutte in un’unica direzione: il quadro – anchea causa della crisi – è rapidamente mutato e ora ilmondo della Green Economy sembra più maturo, esi candida a diventare il volano per la ripresa econo-mica del nostro Paese. Per molti anni la Green Economy è parsa esseresostanzialmente due cose. Innanzitutto un approcciopolitico-ideologico, animato da buone intenzioni,che però mascherava una critica radicale al sistemacapitalistico e alla globalizzazione. L’approccio“green” si riduceva in questo modo a essere unasorta di ideologia sostitutiva per larghe scuole dipensiero che avevano perso gli appigli tradizionalidella critica anti-capitalista. Sull’altro versante, laGreen Economy è stata intesa e applicata come unagiusta ma costosa metodologia per attenuare glieffetti della produzione sull’ambiente.

Una procedura fatta di tasse, incentivi e sgravi fisca-li che non solo aveva effetti negativi sulle tasche deicontribuenti e delle imprese, ma incideva su occu-pazione, efficienza e crescita in misura minore alleattese: quasi servisse solo a produrre in modo piùcostoso le stesse cose (prodotti, energia) con unminore impatto ambientale. Questo approccio, giàpiuttosto fragile in fasi economiche espansive, hacominciato a cedere sotto la pressione della crisieconomica planetaria e dell’affacciarsi di molti Paesidel terzo mondo a una loro “rivoluzione industriale”.Quando dunque ci chiediamo se e come la GreenEconomy possa iniziare a fare sul serio, parliamoproprio di questo: mettere da parte i pregiudizi ideo-

logici e trovare formule nuove per coniugare la tute-la dell’ambiente e le esigenze di società complesse eavanzate in termini di crescita, occupazione, benes-sere, valore per tutti.

Gli indizi che abbiamo raccolto e che proponiamoalla vostra riflessione ci dicono che in effetti le cosestanno cambiando: nel mondo dell’impresa e dellaricerca, si registra uno sforzo di immaginazione e dicreatività che non solo lascia ben sperare nel futu-ro, ma che già suggerisce risultati interessanti,senza tracciare percorsi obbligati o dividere ilmondo in buoni o cattivi. Negli ultimi anni abbiamovisto messi in dubbio molti miti della GreenEconomy: la corsa agli eco-carburanti da canna dazucchero o da granturco, che sembrava la via dellasalvezza per l’effetto serra, ha portato al vertiginosoaumento dei prezzi di quei prodotti a carico dellepopolazioni più povere; e allo stesso tempo l’inseri-mento di elementi biodegradabili derivati dall’olio dicanna al posto dei tensioattivi chimici nei detersiviha indotto la coltivazione intensiva della palma lìdove c’era foresta pluviale e gli ecosistemi appari-vano fragili e insostituibili. Non ci possiamo più per-mettere errori di questo genere: occorre che laresponsabilità ambientale sia un fattore condiviso atutti i livelli: governi, imprese, cittadini, istituzioninazionali e internazionali.

Paolo Tomasi

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Se la Green Economy inizia a fare sul serio

In questa fase di crisi il mondo dell’e-conomia verde è pronto a fare da trainoper il rilancio del nostro Paese“ “

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PRODOTTO INTERNO VERDELa Green Economy ha completato il suo processo di maturazionema per mettere tutti d’accordo deve fare i conti con la crescita

Serre solari fotovoltaiche a Merlino (Lodi)

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efinizioni di Green Economyse ne trovano tante, cambia-no a seconda di chi le abbia

coniate, se un economista o unambientalista convinto. Ovviamentela sostanza è la stessa, cerchiamo diafferrarla. L’oggetto di base rimane ilbene o il servizio, sempre di economiaparliamo, ma si introduce un’idea:non ci interessa solo il suo effetto sulProdotto Interno Lordo, ma il suocammino e l’effetto che questo pro-duce sul nostro pianeta. Il tuttonecessariamente ragionando a unascala temporale più ampia, non perforza geologica, ma che tenga alme-no conto delle generazioni future. Ciinteressa il bene dal reperimento dellematerie prime, passando per il ciclo ditrasformazione e la realizzazione delprodotto finito, che sia materia oenergia, senza trascurare – novità –tutto quanto concerne il suo smalti-mento una volta esaurito il suo com-pito. Ci interessa conoscere gli effettiche tutto il processo ha sull’ambiente,sull’aria, sull’acqua e sulla vita del pia-neta. Perché un effetto ce l’ha, e solochi non ha voluto guardare non se n’èaccorto. Possiamo quantificarlo sem-pre in termini di PIL, che diminuisce acausa delle ricadute su quelle attivitàche dipendono da una buona qualitàdell'ambiente come agricoltura, alle-vamento, pesca, turismo, spese per lasalute pubblica, danni dovuti a disa-stri naturali. Ma possiamo parlarneanche in termini di qualità della vitaumana o di progressivo e inesorabileesaurimento delle risorse naturali.Fino a ora è stato facile, risorse abuon mercato da Paesi poveri e inca-paci di una vera autonomia politica,ex colonie spesso... fornitori di mate-rie prime e accumulatori di rifiuti abasso costo. Alcuni magari si sonosvegliati lungo il cammino e, come iPaesi produttori di petrolio, hannopreso in mano parte dell’economiamondiale. Ma il picco del petroliopare proprio sia stato superato, ossiail livello massimo di produzione petro-lifera è passato e da ora in poi si puòsolo scendere. E si sa, diminuendo ladisponibilità di un bene aumenta ilsuo prezzo, e l’oro nero è sempremeno conveniente.Contemporaneamente i Paesi emer-genti cominciano ora a voler dire la

loro, la popolazione mondialeaumenta vertiginosamente (previsti 9miliardi di cittadini per il 2050) e tuttivogliono il livello di benessere fino apoco fa prerogativa delle economieoccidentali. Economie occidentali chedopo il crollo del sistema ideologicodel blocco sovietico, che comunquemai si è posto il problema degli effet-ti ambientali della sua economia, siavviano verso il crollo del sistema eco-nomico/ideologico basato sul consu-mismo incontrollato, messe in crisi daun capitalismo fraudolento dai piedid’argilla.E poi c’è l’evidenza dei fatti, non piùsolo materia di studio di scienziati, maormai dato di fatto per l’uomo comu-ne. Il clima del pianeta cambia. Cidicono che la colpa è in gran partedell’uso dei combustibili fossili: petro-lio e carbone. Il loro consumo produ-ce anidride carbonica, che immessa in

atmosfera trasforma il pianeta in unaserra, aumentando le temperaturemedie a livello globale e con gli effet-ti più vari e devastanti a livello locale.E ormai a questa evidenza si sonoarresi tutti. Tanto da mettere indiscussione il sistema tradizionale dipensare la produzione, il consumo elo smaltimento. Pare però che se tuttise ne sono accorti molti fanno finta dinon capire. Gli accordi internazionali

sui cambiamenti climatici sonosostanzialmente fermi, Kyoto eRio+20 quasi un nulla di fatto, igoverni non pensano che in una fasedi crisi economica sia il momento diprendere impegni economicamentevincolanti. Nessuno ha veramentesposato uno dei paradigmi di chisostiene che un altro mondo è possi-bile: la crisi come opportunità!A voler rimanere appesi all’idea dell’e-conomia di mercato si tratterebbe insostanza di ottimizzare l’efficienza delsistema, ricorrendo a fonti di energiarinnovabili, i cui costi, a fronte di uninvestimento iniziale, sarebbero estre-mamente contenuti ed eliminerebbe-ro gran parte della dipendenza daiPaesi fornitori di materie prime, non-ché eliminando ogni spreco attraver-so un sistema accurato di riciclaggio.Ma inutile dire che chi sostiene apieno la Green Economy invita a con-siderare l’eventualità che il motoredella produzione non sia il profittofine a se stesso, che questo paradig-ma ideologico, questa presuntalibertà, sia messa in discussione, nonper contrapposizione ideologica, maper necessità di sopravvivenza.Magari non nostra, ma già dei nostrifigli.Ma cerchiamo di capire a questopunto di cosa stiamo parlando.Partiamo da uno dei punti più impor-tanti, quello energetico. Per parlare diGreen Economy dobbiamo averealcuni indispensabili requisiti: fontirinnovabili, infrastrutture legate allaproduzione e alla distribuzione chenon incidano in modo significativosull’ambiente, nessuna produzione discorie o rifiuti non riciclabili. E datoche parliamo di economia è indispen-sabile la loro accessibilità economica.In Italia è già sviluppato e stabile il set-tore idroelettrico, mentre sempremaggiore è la produzione da fontiquali eolico e fotovoltaico, tanto cheper il 2013 è previsto un 35% dellaproduzione nazionale elettrica da rin-novabili, contro un 24% dello scorsoanno. Per quanto riguarda l’energiasolare questa strada è stata intrapresada anni e sovvenzionata dallo Statotramite il Conto Energia, 6 miliardi dieuro erogati dal 2005 a oggi secondoil Gestore Servizi Elettrici (GSE): ogniitaliano in bolletta paga dal 1991 una

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Negli ultimi anni l’indu-stria italiana è stata solosfiorata dalle novità tec-nologiche “green” ancheper la mancanza di politi-che chiare sugli incentivi

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piccola quota per le energie rinnova-bili, che viene usata per sovvenziona-re chi utilizza pannelli fotovoltaici inbase alla quantità prodotta. Ora gliincentivi sono in calo progressivo e ilConto Energia agli sgoccioli e molti sene lamentano. Di fatto ha però dato ilvia a un processo che ha fatto sì chesi investisse nella ricerca tecnologica,portando alla realizzazione di pannel-li fotovoltaici a costi progressivamen-te più bassi, cosa che pare stia com-pensando il calo degli incentivi. Certola maggior parte di questo processotecnologico/produttivo è avvenutoall’estero, l’industria italiana ne èstata solo sfiorata, tanto che ci si ritro-va con pannelli cinesi o tedeschi.Secondo l'European Patent Office,per il numero di brevetti depositati,relativi alle tecnologie energetiche abasso impatto ambientale, l'Italia siposiziona a uno scarso 3,8% del tota-le, in forte calo rispetto agli ultimidieci anni. E questo perché non c’èstata una politica chiara e coerentesugli incentivi, e nessuno se l’è sentitadi intraprendere un’attività economi-ca le cui prospettive non erano chiare.È evidente che se nel nostro Paese ilsettore funzionasse lungo tutta lafiliera ne avremmo solo vantaggi:occupazione, qualità dell’ambiente,indipendenza energetica! Il messag-gio forse non è ancora arrivato a tutti,dato che ancora in Italia si cerca diinvestire sulle piattaforme off-shorealla ricerca di giacimenti sottomarini.Ma le recentissime norme europee, invia di ratificazione, prevedono lapiena responsabilità per i danniambientali a carico delle compagnie eprobabilmente ci metteranno al sicu-ro da brutte sorprese.Molti gli esempi possibili, le attivitàche conciliano il lavoro e la sostenibi-lità, la produzione e l’ambiente. Il turi-smo per esempio, esteso in Italiaanche al vasto patrimonio naturalisti-co, l’edilizia sostenibile, il riciclo, l’a-gricoltura biologica e a km zero, lamobilità sostenibile (auto elettrica etrasporti pubblici, car sharing e bikesharing). Nei Paesi dell’UnioneEuropea ha già un fatturato di circa2.000 miliardi di euro e impiega più di22 milioni di persone, pari al 9% del-l'occupazione totale. E l’UE da poco

più di un anno ha messo in piedi unastrategia comune sull’economia soste-nibile, con l’intento di spostare l'am-biente dai margini e metterlo al cen-tro delle politiche che influenzano ilcomportamento di produttori e con-sumatori, creando lavoro. Strategiache si basa sul minor uso delle risorsetramite la maggior efficienza, aiutatada tecnologia e maggior riciclaggio.La sfida è quella di mobilitare gli inve-stimenti per avere un'innovazione suuna scala abbastanza grande per farela differenza. La Commissione Europeacalcola che per ogni euro investito, laricaduta in valore aggiunto nei settoridel comparto bioeconomico sarà paria 10 euro entro il 2025.Tante in Italia le iniziative a sostegnodel settore. Da poco, promossi dallaFondazione per lo sviluppo sostenibile,si sono svolti gli Stati Generali dellaGreen Economy, un percorso portatoavanti da 39 organizzazioni di impreserappresentative della Green Economyitaliana. Da 8 gruppi di lavoro temati-ci sono uscite 70 proposte concreteper lo sviluppo del settore e successi-vamente è stato istituito un ConsiglioNazionale della Green Economy, inter-locutore stabile tra le principali sigleimpegnate nell’economia verde (orarappresentate da 53 organizzazioni diimprese) e il Governo, in particolare ilministro per lo Sviluppo Economico eil ministro per l’Ambiente. Purtroppola strada sembra in salita, perché se icittadini italiani sembrano crederci,secondo un recente sondaggio al que-sito se la Green Economy creerà nuovi

posti di lavoro ha risposto positiva-mente un 72%, non danno la stessaimpressione gli industriali. NelProgetto di Confindustria per rilancia-re la competitività e la crescitadell'Italia non c’è praticamente tracciadi Green Economy, tranne qualchedettaglio si rimane ancorati a unapproccio di sviluppo assolutamentetradizionale, tipico di una classe indu-striale da salotto. Secondo il rapportoGlobal Employment Trends 2013dell’ILO (Organizzazione internaziona-le del lavoro, un'agenzia delle NazioniUnite) l'incremento della disoccupa-zione, già a livelli preoccupanti con200 milioni di disoccupati nel mondo,continuerà nel 2013. Per i giovani iltasso di disoccupazione è del 12,6%,arrivando in Italia addirittura al 37,1%secondo l’ISTAT (a cui aggiungere 3milioni di precari). Nel rapporto si con-siglia il passaggio “verso una econo-mia più verde, che potrebbe generaretra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti dilavoro nel mondo nei prossimivent'anni e aiuterebbe decine di milio-ni di lavoratori anche per quantoriguarda l'Unione Europea”. Ma ilconsiglio sembra rimanere inascoltato.

Luca Scarnati

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Il fotovoltaico in Italia si avvicina ai 17GW di potenza installata, l’equivalente di 17 centrali nucleari

PER APPROFONDIRE

www.gse.it

www.epo.org

www.statigenerali.org

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n campagna elettorale il temadella Green Economy è statomesso in secondo piano e nel

paese regna l'incertezza politica.Quali prospettive si aprono per ilfuturo delle politiche verdi in Italia?Il tema della Green Economy, pur pre-sente nei programmi di diversi partiti emovimenti, non è diventato centralenell’ultima campagna elettorale che, ingenerale, non mi pare sia stata carat-terizzata da veri dibattiti su granditemi. In realtà la rilevanza della GreenEconomy continua a essere centrale.Certo il suo sviluppo, come dimostra-no alcune esperienze europee, potreb-be ricevere un impulso da buone poli-tiche (normative adeguate, fiscalità,incentivi e disincentivi) e l'incertezzasul futuro assetto politico, prodotta dalrisultato delle elezioni, non consente diavere un quadro di riferimento stabile,né di puntare sul medio termine, comesarebbe necessario. Detto questo, stia-mo attenti a non far dipendere tuttosolo dai governi centrali. Molte cosesono state fatte anche senza l'inter-vento degli esecutivi, attuando leggigià vigenti, oppure con iniziative diret-te di imprese, Comuni o Regioni.

Dagli Stati Generali della GreenEconomy di Rimini sono scaturitele 70 proposte per contribuire a faruscire l'Italia dalla crisi. Quante fraqueste sono immediatamente rea-lizzabili?I gruppi di lavoro sono stati riconvocatiproprio al fine di selezionare un nume-ro ristretto di proposte prioritarie eimmediatamente praticabili. Il lavorodei gruppi verrà poi trasmesso alConsiglio che deciderà sulle proposteprioritarie: sull’argomento ci stiamoconfrontando in maniera proficua earriveremo presto alla quadratura delcerchio.

Recentemente è stato costituito ilConsiglio nazionale della GreenEconomy. Quali obiettivi si prefig-ge? E che tipo di risposte vi atten-dete dal mondo politico? Il Consiglio nazionale è stato costituitoper dare seguito al successo dell’inizia-tiva degli Stati Generali del 2012 e perpromuovere lo sviluppo della GreenEconomy in Italia. Il Consiglio è unasede di confronto, di analisi, di propo-sta e di iniziativa che coinvolge orga-nizzazioni di imprese che svolgonoattività in diversi settori, e si propone didare più forza e peso a una visionecondivisa e ad un’azione comune. InItalia e in Europa sta crescendo la con-sapevolezza del fatto che, in una fasedi recessione, l’austerità non basta eche va data priorità anche a politichedi sviluppo. La Green Economy è fra lepossibilità più promettenti per attivareinvestimenti, occupazione e quindi svi-luppo. Ci attendiamo che il nuovoGoverno ne colga le potenzialità e siain grado di attuare almeno una partedelle nostre proposte.

L'impressione è che, in Italia piùche altrove, il tema dell’economiaverde incontri resistenze in vastisettori della società. Questo è vero, ma non bisogna cade-re nell’errore di considerare il nostroPaese solo per gli aspetti negativi. InItalia si sono fatte anche cose moltobuone in direzione della GreenEconomy: penso ai livelli di eccellenzaraggiunti nel settore del riciclo deglioli usati, degli imballaggi o delle bat-terie, mi riferisco al rapido sviluppodelle fonti energetiche rinnovabili,oppure al raggiungimento dell’obiet-tivo di riduzione dei gas serra del pro-tocollo di Kyoto. Le potenzialità per losviluppo della Green Economy in Italiasono elevate. Certo, si registranoancora forti resistenze: si va dallascarsa consapevolezza di una largaparte della classe dirigente politica,all’inerzia generata da consolidateproduzioni e consumi, fino alle caren-ze di un quadro normativo instabile ea una fiscalità che non favorisce unosviluppo “green”.

“Risorse, occupazione e progresso:all’Italia serve una svolta verde”ORMAI È CHIARO A TUTTI CHE IN FASE DI RECESSIONELE POLITICHE DI AUSTERITÀ DA SOLE NON BASTANO

Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile

In Italia il settore eolico occupa oggi circa 40.000 addetti, con una crescita media annua di 5.000 unità

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i parla tanto di “greenmanagement”. Certo èche negli ultimi anni si

sia assistito ad una decisaapertura delle aziende rispettoalle tematiche ambientali. Acosa è dovuto questo nuovoorientamento?Questo dipende da almeno tre fat-tori. In primo luogo, dalla crescentesensibilità rispetto alle tematiche“green” da parte di tutta una seriedi attori istituzionali, che ha in qual-che modo costretto le imprese atenerne conto. In secondo luogodalla regolamentazione: negli ultimiquarant’anni sono nate delle diretti-ve rigide a tutela dell’ambientecome bene pubblico, soprattutto suspinta della legislazione dell’UnioneEuropea. E infine da ragioni compe-titive, perché le tematiche ambien-tali costituiscono per le imprese unelemento di differenziazione all’in-terno dei mercati in termini di repu-tation, di prodotto e di efficienzadei processi di produzione.

L’impressione è che su questitemi le imprese italiane restinosostanzialmente indietro rispet-to al resto d’Europa. Ciò è dovu-to a limiti palesati delle aziendestesse o alle scarse sponde chetrovano nel sistema politico?Storicamente il nostro Paese risentedell’incapacità di dotarsi di una pia-nificazione di lungo periodo a tutti ilivelli, e questo a causa della scarsachiarezza delle prospettive e delleregole del gioco. Ciò si riflette inevi-tabilmente sui comportamenti deidiversi attori, dalle imprese alle isti-tuzioni finanziarie. Il nostro sistema,inoltre, è basato soprattutto su pic-cole e medie imprese che – proprioper la loro natura – tendono ad

assumere un atteggiamento più tat-tico che strategico. Nonostantequesti limiti, dal punto di vista dellapropensione verso le tematicheambientali il quadro in Italia è moltopiù significativo di quanto possaapparire, e la crisi economica hacontribuito ad accentuare questoorientamento.

Per le imprese esiste anche unproblema di accesso al credito.Ciò è dovuto al fatto che le ban-che, anche a causa della crisi,sono propense a finanziare i set-tori più conosciuti a discapito diquelli più innovativi della GreenEconomy? Il motivo è senz’altro questo. Leistituzioni finanziarie tendono asostenere attività che presentanoun buon livello di affidabilità, e laGreen Economy sconta anche lascarsa conoscenza di gran partedel mondo finanziario riguardo airischi di investimento. Non bisognaperò cadere nell’errore di genera-lizzare il discorso. Faccio un esem-pio emblematico, quello del mec-canismo delle incentivazioni nelsettore delle rinnovabili: quando ilquadro normativo relativo agliincentivi era chiaro, il sistema ban-cario ha elargito risorse consistenti;ma se il quadro diventa più incerto,è inevitabile che questa disponibi-lità si riduca.

In un momento di profonda crisicome quello attuale, esistonodei settori della Green Economyche sono anticongiunturali, eche continuano a crescere nono-stante il quadro economico siacosì difficile?In realtà è quasi l’intero settore dellaGreen Economy a essere anticon-

giunturale. A livello internazionale,gli investimenti in questo camposono in crescita costante. Il 2012, acausa della crisi economica, è ilprimo anno che ha registrato unacrescita minore rispetto al preceden-te, ma parliamo sempre di crescita inuna fase di depressione globale.

Dagli Stati Generali della GreenEconomy di Rimini sono scaturi-te le 70 proposte per contribuirea far uscire l'Italia dalla crisi.Quale andrebbe realizzata perprima?Le proposte sono tutte valide, maandrebbe realizzata immediatamen-te quella di carattere più generale,che riguarda la semplificazione e lachiarezza normativa. Il nostro Paesedeve dotarsi di regole chiare e ade-guatamente snelle, che consentanodi tutelare l’ambiente come benepubblico, e al contempo di svilup-pare le innovazioni necessarie inquesti ambiti, modificando l’orien-tamento dei sistemi di incentivazio-ne da una logica di stimolo alladomanda verso uno stimolo all’in-novazione.

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Dati del rapporto di Ernst&Young “Renewable energy country attractiveness indices” an

“Semplificazione e norme chiare:le basi per investimenti duraturi”VA RIPENSATO L’ORIENTAMENTO DEI SISTEMI DI INCENTIVAZIONEIN MODO CHE FAVORISCANO L’INNOVAZIONE DELLE AZIENDE

Marco Frey, Direttore dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

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RIPARTIZIONE DEGLI INVESTIMENTI MONDIALI SULLE ENERGIE RINNOVABILI IN MILIARDI DI DOLLARI

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“Il futuro è l’internazionalizzazioneora le imprese italiane sono mature”POSSIAMO FORNIRE SOLUZIONI VALIDE A PAESI CHE CRESCONOE SANNO DI DOVER COLMARE UN GAP SUL FRONTE AMBIENTALE

Pietro Colucci, imprenditore, Presidente di Sostenya e Kinexia

a tempo si sostiene chela crisi economica puòtrasformarsi in un’oppor-

tunità per le aziende “verdi”. Inche modo?Il sistema delle imprese italiane deverendersi conto del fatto che modelloindustriale adottato dal Paese alcuni

anni fa segna ormai il passo e variscritto. Lo scorso novembre, agli StatiGenerali della Green Economy diRimini, sono emerse potenzialità che,se perseguite con convinzione, con-sentirebbero alle imprese di crescere inun futuro non così lontano. Basti pen-sare che in Italia, in questo campo,abbiamo registrato un livello di investi-menti che ha superato i 35 miliardi dieuro e ha creato nuovi posti di lavorosu tutto il territorio nazionale.

Perché è ormai imprescindibile,per un Paese come il nostro pove-ro di materie prime, puntare sulleenergie rinnovabili?Quando Tremonti presentò il proget-to sulla ri-nuclearizzazione del Paese,spiegò che l’importazione di energiadall’estero ha un impatto negativo

immediato sul calcolo del PIL. In que-sta prospettiva, l’energia rinnovabilepuò giocare un ruolo di primo pianoperché consente di importare menoenergia, con contributi benefici sullabilancia commerciale del Paese esulla capacità interna di creare indot-to. Certo, nessuno spera di riuscire a

coprire l’intero fabbisogno energeti-co italiano con le rinnovabili. Non acaso, la strategia energetica naziona-le varata dal Governo Monti ha profi-lato uno scenario di convivenza fra idue sistemi, quello fossile e quellorinnovabile. Il piano prevede di arriva-re nel 2020 al 38% di energia pro-dotta da fonti rinnovabili, e si tratte-rebbe di un sorpasso storico: per laprima volta, quella “verde” sarebbela prima fonte energetica del Paese.

Quali sono i problemi che incontraun imprenditore che intende inve-stire in questo settore in Italia?Fino a qualche mese fa il quadro nor-mativo appariva incerto, mentre orale imprese che vogliono investire nelcampo della Green Economy hannodavanti uno scenario di contributi e

incentivi decisamente più chiaro.Resta però aperto il tema della buro-crazia. La riforma del Titolo V dellaCostituzione, che ha assegnato alleRegioni una competenza esclusiva sualcune materie, continua a creare dif-ficoltà alle imprese. E al contempo ilnuovo sistema di concessione delletariffe attraverso il Registro, rendecomplicate le stime sui tempi neces-sari alla realizzazione di un investi-mento, e ciò scoraggia l’arrivo di capi-tali, soprattutto dall’estero.

Green Economy vuol dire anchenuove figure professionali e quin-di nuovi posti di lavoro. In Italia siamo ormai alla soglia dei300.000 addetti, con le rinnovabili –saldamente in testa – che hannofavorito la creazione di posti di lavorosoprattutto nel campo del fotovoltai-co, con la riconversione di impreseche si occupavano di elettricità. Oggiperò il discorso va ampliato: le nostreimprese hanno sviluppato un know-how importante in questo campo ehanno iniziato a esportarlo all’estero.Perciò il grande tema del futuro nonè tanto quello dell’occupazione fina-lizzata all’indotto nazionale, ma quel-lo legato all’internazionalizzazione.

Quali sono i Paesi più interessan-ti da questo punto di vista?Gli obiettivi importanti già raggiuntiin Italia oggi sono alla portata inCina, Brasile, Russia, Turchia o inSudafrica: Paesi che crescono ad unritmo spesso vertiginoso e sanno didover colmare un gap sul fronteambientale. Le imprese italiane atti-ve nel campo della Green Economypossono dare una risposta a questeesigenze, ed è proprio questa lascommessa con la quale si può vin-cere in futuro.

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es” anno 2012

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Page 12: Cover76-77-3 equi 48•30/1/06 17/04/13 15:58 Pagina 1 EQUILIBRI · ne, per il contesto sociale. Le risposte sembrano andare tutte in un’unica direzione: il quadro – anche a causa

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n questi giorni negli Stati Uniti,con il discorso sullo stato dell’u-nione del Presidente Obama, è

riemerso in modo significativo il tren-tennale dibattito di una efficace piani-ficazione e successiva realizzazione dipolitiche ambientali sostenibili in unPaese dove, questo tema, ha sempreavuto scarso interesse nell’opinionepubblica.Barack Obama, nel programma che loportò a essere eletto Presidente nel2008, aveva già in modo stupefacenteriservato uno spazio rilevante alle poli-tiche della cosiddetta “GreenEconomy”, sfidando apertamente lemultinazionali petrolifere che pureerano sempre riuscite a incidere inmodo determinante sulle elezioni pre-sidenziali. Ben presto però, a causadella più grande crisi economica dal1929, i propositi del Presidente, a trat-ti visionari e tacciati anche dalla gran-

de stampa come irrealizzabili, subironoun affossamento significativo. Le falli-mentari elezioni di mid-term poi, chedeterminarono la maggioranza deirepubblicani alla Camera dei rappre-sentanti, hanno rappresentato unaautentica pietra tombale su ogni pro-posito di progressiva erosione delpotere delle multinazionali a favore diuna più stringente regolamentazionedelle politiche e dello sfruttamentodell’ambiente. Non a caso, nelle recenti elezioni presi-denziali, dove, ancora una volta, latotalità delle multinazionali si è schiera-ta contro Obama, egli è stato costrettoa sbandierare in campagna elettorale,con tanto di spot televisivo, l’accordocon la Chrysler di Marchionne allaquale era stato concesso dal Governofederale un prestito ponte subordinatoalla realizzazione di nuove motorizza-zioni a bassa cilindrata e con impatto

ecologico notevolmente ridotto; eraquesto, forse, l’unico tassello discreta-mente riuscito nel puzzle comunquecarente della politica della “GreenEconomy” di Obama, il quale, temen-do di alienarsi ancora più consensi nellaincerta campagna elettorale, ha riser-vato molto meno spazio a questotema, storicamente poco sensibile allamaggioranza dell’opinione pubblicaamericana. Ma, sorprendendo nonpochi addetti ai lavori, nel discorsodello stato dell’unione, il Presidente ètornato a sorpresa alla carica su questoaspetto del suo programma: ha ricono-sciuto che nel primo mandato troppopoco si era fatto e ha promesso solen-nemente che la “Green Economy” saràuno dei pilastri dei suoi prossimi quat-tro anni alla Casa Bianca. Uno dei pro-blemi maggiori per la sua amministra-zione è stato come spiegare alla recal-citrante “middle class”, decisiva nelle

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Stati Uniti, Obama tenta il rilancio il secondo mandato sarà più green

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elezioni, l’importanza della realizzazio-ne di anche costose politiche ambien-tali a lungo termine. Ecco che il Presidente ha spiegatocome i vantaggi che possono derivareda questo programma non sarannosolo di tipo prettamente ambientale eclimatico ma anche, e soprattutto, dicarattere economico. Investire in politi-che sostenibili, spiega Obama, incidesulla microeconomia, sul bilancio fami-liare e sui consumi quotidiani. Conmassicci investimenti sui gasdotti ilcosto delle utenze sarà ancora inferio-re, con l’avanzamento delle tecnichedi raffinazione la benzina dei super-motorizzati americani sarà meno carae, nel complesso, l’immissione nell’at-mosfera di carbonio si ridurrà ancoradi più, avvicinandosi maggiormentealle discusse percentuali del protocollodi Kyoto, approvato da Clinton ma rin-negato dal suo successore George W.Bush. Non solo, ma l’intero indotto diquesto programma nazionale creerà,secondo il Presidente, nuovi posti dilavoro in una America che mai avevaviaggiato alle attuali percentuali didisoccupazione. Ma Obama è andato oltre, e a diffe-renza che in altre parti del suo discor-so, ha citato anche i dati climatici inmodo analitico: ha ricordato come 12degli anni più caldi mai registrati sianostati tra gli ultimi 15, ha cercato dismuovere le coscienze sottolineandocome le tragedie provocate dall’uraga-no Sandy, o dai grandi incendi o, anco-ra, dalla terribile siccità ormai frequen-te nei mesi estivi, non siano solamentecoincidenze climatiche ma la conse-guenza di politiche senza controllodegli anni precedenti. Ha citato ancheil lavoro del suo ex competitor McCain,il quale, fatto strano per un repubbli-cano, si impegna da anni per una ridu-zione di immissioni di CO2 nell’atmo-sfera. Infine, quasi minacciosamente,afferma che se non vi sarà collabora-zione da parte del Congresso, saràcostretto a intervenire motu propriocon gli strumenti che la Costituzioneattribuisce al Governo. Ma il vero colpolo assesta alla fine del punto, chieden-do che il finanziamento di tutti gli inve-stimenti sull’eolico, sul solare e sullasicurezza energetica provenga dai pro-venti del petrolio e del gas.Insomma, per l’antistatalista America,

si tratta di una doppia rivoluzione: laprima è senz’altro rappresentata daun vigoroso passo in avanti rispettoalle politiche delle amministrazioniprecedenti, poco inclini a rivoluziona-re in modo così incisivo il delicatoequilibrio tra le influenti multinaziona-li e il loro mercato di riferimento cherisulta essere, da sempre, un bacinoimportante per i consensi delle varieamministrazioni. La seconda è, invece,una rivoluzione di tipo politico: inquesto modo l’intervento governativonell’economia nazionale, aborrito persecoli nella liberista e capitalistaAmerica, diminuirà notevolmente imargini di manovra dei privati, che

hanno potuto contare, fino a oggi, suleggi e regolamenti favorevoli ad ognisfruttamento delle risorse di un Paeseche ne è ricchissimo come gli StatiUniti. Non solo le multinazionali, infat-ti, sono restie ad un cambiamentocosì radicale del programma di svilup-po, ma la stessa opinione pubblicanon comprende a sufficienza le ragio-ni che giustificano un così enorme

dispendio di denaro, con conseguen-ze onerose sotto il punto di vista fisca-le, per risultati di cui solo le futuregenerazioni potranno godere.Rimane, in tutto ciò, un dubbio cheincide come un macigno nel futuroambientale e finanziario degli StatiUniti: è davvero realizzabile tutto ciò?Dubitare della rivoluzione verde è piùche mai lecito, stante la complessaarmonizzazione tra queste nuoveregole e quelle previste dal WTO(World Trade Organization), in mate-ria di sussidi di Stato, di politiche diimportazione ed esportazione.Ma forse, la auspicata rivoluzioneverde di Obama, qualora vincente,sarà destinata a cambiare anche gliequilibri geopolitici del pianeta. Unosbocco, questo, che affonda le proprieradici negli ultimi trent’anni di storiaamericana. Nel 1980, nella competi-zione tra Carter e Reagan, una delleprincipali differenze era proprio rap-presentata dalla diversa interpretazio-ne dello sfruttamento delle risorsepetrolifere americane. Mentre Carteraveva in mente di cominciare a realiz-zare un programma di controllo dellerisorse e del loro sfruttamento,Reagan, favorevole a decisioni aimpatto immediato, sicuramente nelbreve raggio più redditizie, decise diconcedere ampia libertà di azione allevarie multinazionali, senza particolaricontrolli circa il livello di produzione einquinamento. Anzi, il petrolio diveni-va il perno centrale della nuova politi-ca economica liberista del Presidente

Le difficoltà economichee il flop alle elezioni di mid-term avevanoaffossato i buoni propositidel Presidente durante il suo primo mandato

Gli impianti fotovoltaici degli Stati Uniti sono in grado di produrre 3,2 GW di potenza

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che segnerà profondamente l’econo-mia degli anni ’80. Ecco che si rendevano giustificate leguerre per il petrolio o le azioni di rove-sciamento di governi che,in qualchemodo, impedivano alle multinazionaliamericane di accedere alle risorsepetrolifere a condizioni a dir pocofavorevoli. In pochi forse sanno che ilsud degli Stati Uniti (Texas in primis)attuale granaio di voti per il partitorepubblicano, era invece, ancora neglianni ‘60 dello scorso secolo, il bacinoelettorale del partito democratico. Fuproprio uno dei maggiori petrolieri,George H. Bush a drenare i consensi infavore dei repubblicani che, propriograzie a quel nuovo tessuto economi-co ed imprenditoriale, divennero inpochissimi anni i padroni elettorali diquelle terre. Tutto ciò proprio durantela presidenza di un texano e democra-tico, Lyndon Johnson. Ebbene, alla luce di tutto ciò, un mag-giore sfruttamento delle risorse ameri-cane con la progressiva diminuzionedelle importazioni sempre più sconve-nienti da Paesi esteri ridurrà fisiologica-mente l’interesse politico in zone caldecome l’Iraq o l’Afghanistan dove, oltrealla politica, hanno contato moltooleodotti e trivellazioni. Ecco comel’annunciata politica di smobilitazionedella presenza americana nelle missio-ni estere andrebbe, nei piani diObama, a braccetto con un investi-mento massiccio di politiche ambien-

tali sostenibili. Come a dire: il petrolioce lo abbiamo, il lavoro lo creiamo incasa, le guerre per il petrolio, costosis-sime, non ci serviranno più. Il proble-ma, non poco rilevante, è ora rappre-sentato dall’effettiva sostenibilità diuno dei progetti più ambiziosi dellastoria degli Stati Uniti. Il Presidentegode di un relativo consenso nell’opi-nione pubblica “cittadina” più infor-mata e attenta alle questioni ambien-

tali ma di scarsa simpatia negliambienti finanziari, legati a doppio filoalle multinazionali che da tempohanno manifestato la loro contrarietàa questa annunciata rivoluzione. Unaltro nemico è invece proprio quel“carpe diem” che aveva fatto la fortu-na elettorale di Reagan: l’attuale situa-zione della disoccupazione negli StatiUniti, richiederebbe un interventoimmediato sulle politiche lavorative,essendo un progetto a lunga scadenzacome la “Green Economy” inadatta arisolvere le più attuali contingenze. In questi giorni, l’amministrazioneObama ha finalmente dato il suo pare-

re favorevole per la costruzione delmega oleodotto Keystone XL, che col-legherà gli Stati Uniti al Canada per-correndo quasi 3.500 km. Perché que-sta apparente retromarcia rispetto alrecente discorso sullo stato dell’unio-ne? Il potente vicino è infatti, come gliStati Uniti, ricco di materie prime, manon possiede la strumentazione adat-ta per renderla utilizzabile nell’imme-diato. Strumentazioni che, viceversa,l’America dispone e che, sfruttando lerisorse canadesi, porterebbero migliaiadi posti di lavoro in più nell’immediato.Quasi a giustificarsi, il Dipartimento diStato, ha affermato che l’impattoambientale sarà minimo ma le associa-zioni ambientaliste già gridano al tra-dimento e annunciano battaglia.Questo è ovviamente il primo di unaserie di problemi sociali più che tecnicidi un politico che vuole consegnarsialla storia come un pioniere. Moltopresto si vedranno gli effetti di questadecisione che, all’apparenza, sembrastroncare alla nascita il sogno di unasvolta nel segno dell’economia verde:se un ritorno al passato o l’ultimo attodi una politica del passato.

Simone Santucci

La nuova sfida sarà convin-cere la classe media ameri-cana a sostenere costi oggiper ottenere dei vantaggiin un futuro non così vicino

L'ultimo autobus diesel della flotta di 2.228 veicoli gestiti direttamente dalla Los Angeles County Metropolitan Transportation Authority (Metro) è stato ritirato dalla circolazione il 12 gennaio 2011, facendo della Metro la prima azienda di trasporto pubblico al mondo a utilizzare solo autobus elettrici a zero emissioni

PER APPROFONDIRE

www.whitehouse.gov/energy

www.keystonepipeline-xl.state.gov/

http://www.metro.net/

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“Road show a sostegno delle impreseper favorire uno sviluppo sostenibile”SPESSO LE AZIENDE ITALIANE NON COLGONO LE OPPORTUNITÀCHE L’EUROPA E IL GOVERNO METTONO LORO A DISPOSIZIONE

Arturo Siniscalchi, direttore dell’Area Politiche Settoriali di Formez PA

avorire la promozione, laconoscenza e l’accessibilitàalle opportunità offerte dai

provvedimenti adottati dal Governoper la promozione dello svilupposostenibile, la riduzione delle emis-sioni di anidride carbonica, la certifi-cazione dell’impronta ambientale diprocessi e prodotti, la semplificazio-ne delle procedure in materiaambientale. È questo l’obiettivo delroad show “Sviluppo sostenibile eGreen Economy”, sottoscritto dalministero dell’Ambiente, Formez PAe Confindustria, che tra febbraio emarzo ha raggiunto diversi capoluo-ghi di provincia del territorio italiano.Arturo Siniscalchi, Direttore dell’AreaPolitiche Settoriali di Formez PA,spiega quali sono le difficoltà cheincontrano le aziende ad accederealle opportunità offerte.

Che cos’è e come lavora Formez PA?Formez PA è un’agenzia dellaPresidenza del Consiglio dei Ministri,che ha il compito di diffondere tuttele tematiche relative alla moderniz-zazione, all’assistenza e all’affianca-mento nei confronti delle PubblicheAmministrazioni a tutti i livelli digoverno: opera quindi indistinta-mente sia a livello centrale sia a livel-lo locale.

L’idea di un road show per farconoscere alle imprese le nuoveopportunità offerte dai provvedi-menti del Governo nasce dallaconsapevolezza di una scarsa pre-parazione delle aziende stesseriguardo queste possibilità?Direi proprio di sì. L’idea del roadshow è nata dalla necessità di diffon-dere maggiormente presso le piccolee medie imprese i provvedimentiemanati da Governo e Parlamento a

favore dello sviluppo sostenibile edella Green Economy. Il compito diFormez PA, infatti, è quello non solodi far conoscere, ma anche di accom-pagnare le imprese nell’approfittaredi queste risorse finanziarie che ilGoverno mette a disposizione, oppor-tunità che spesso non vengono colte.

Questo avviene perché spesso lepiccole e medie imprese non tro-vano la sponda che cercano nelleistituzioni locali?Spesso la motivazione è proprio que-sta. La morfologia stessa del territo-rio italiano fa sì che molte impresesiano più avvantaggiate rispetto adaltre. Non mi riferisco alle differenzefra Nord e Sud, che pure innegabil-mente ci sono, ma di territori che inqualche modo sono “storicamente”più emarginati.

In tempo di crisi, quanto è impor-tante per le imprese diventare“sostenibili”, e quindi puntare suefficienza e rinnovabili?Si tratta di una grande opportunità,ancor più in un periodo di crisi in cuiil Paese fa enorme fatica a crescere.Oggi investire sulle tematicheambientali significa investire duevolte: sia per ottenere benefici nel

medio e lungo periodo sia perchétutte le risorse che saranno prossima-mente a disposizione – come peresempio nuove programmazioni deifondi comunitari – avranno un richia-mo particolare proprio alle tematicheambientali. Ciò significa che chi arri-verà per primo, potrà beneficiare ditutte le possibilità che le varie ammi-nistrazioni mettono loro a disposizio-ne; chi si muove in ritardo, invece,rischia di essere tagliato fuori.

Nel campo dei rifiuti esistonoancora potenzialità inespresseche si traducono in un costo acausa del ritardo infrastrutturaledel nostro Paese? In questo campo il nostro Paese devecompiere un percorso difficile, manon impossibile, che parta da unprofondo mutamento culturaleriguardo l’approccio e la gestione deirifiuti, che non possono essere vistisolo in chiave di business. Noi, primadi arrivare a questo, dobbiamo ripen-sare alla gestione dei rifiuti in ambitoresidenziale e industriale e alle poten-zialità che derivano dalle filiere cheriescono a operare al meglio.

Cosa può e deve fare il mondopolitico in più per incentivare leimprese a questa auspicata svolta“green”?Mettere da parte la logica tipica dellelobby politiche, e quindi attuare unavera e propria programmazione amedio e lungo termine. Spesso, infat-ti, si è assistito a continui stravolgi-menti delle politiche ambientali, chesi sono ripercossi in maniera negativasu tutti gli attori, dalle imprese ai cit-tadini. Bisogna definire una lineachiara per il medio e lungo periodo,che sia seguita da tutti, indipenden-temente dal colore politico.

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Arturo Siniscalchi

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Nuove professioni in un mondo più pulito il presente e il futuro dell’economia verdeINVESTIRE SULLE ENERGIE RINNOVABILI VUOL DIRE GUARDARE AL DOMANI CREANDO OPPORTUNITÀ, POSTI DI LAVORO E VANTAGGI PER L’AMBIENTE

Blue Economy10 ANNI. 100 INNOVAZIONI. 100 MILIONI DI POSTI DI LAVORO

di Gunter Pauli

alene, libellule, zebre, coleotteri, felci, pomodori.In che modo possono aiutarci a uscire dalla crisieconomica? La natura, nella sua enorme ricchez-

za, ha già risolto in modi ingegnosi e sorprendenti moltedelle sfide che il mondo ci pone. È sorprendente rilevare quanto le logiche che applichiamonelle nostre attività economiche siano lontane da quellenaturali. Per raffreddare un edificio i sistemi di condiziona-

mento pompano aria fred-da verso l’alto. Per depura-re l’acqua immettiamosostanze chimiche che viannientano tutte le formedi vita. Per produrre unabatteria impieghiamoun’energia di gran lungasuperiore a quella che for-nirà. Produciamo e consu-miamo intaccando risorsenon rinnovabili o danneg-giando in modo perma-nente l’ambiente. La BlueEconomy di cui GunterPauli traccia i principi edescrive la concreta attua-

zione è quella delle tecnologie ispirate dal funzionamen-to della natura e che opera materialmente attraverso lestrategie della biomimesi.Diversamente dalla Green Economy, non richiede alle azien-de di investire di più per salvare l’ambiente. Anzi, con mino-re impiego di capitali è in grado di creare maggiori flussi direddito e di costruire al tempo stesso capitale sociale.Coltivare funghi sui fondi di caffè, usare un cellulare senzabatteria, che sfrutta il calore prodotto dal corpo e le vibra-zioni della voce umana o, ancora, imitare i sistemi di raccol-ta dell’acqua di un coleottero per ridurre il riscaldamentoglobale, sostituire le lame in metallo dei rasoi “usa e getta”con fili di seta. Fantascienza? No, realtà. In natura non esi-stono disoccupati e neppure rifiuti. Tutti svolgono un com-pito e gli scarti degli uni diventano materia prima per altri,in un sistema “a cascata” in cui niente viene sprecato.

Green EconomyPER USCIRE DALLE DUE CRISI

di Edo Ronchi e Roberto Morabito

he quello verso la Green Economy sia un orienta-mento fondamentale – anzi, obbligatorio – per dareun futuro al sistema produttivo del nostro Paese è

qualcosa che dovrebbe essere chiaro a tutti. Se non lo èancora, significa che il concetto rimane troppo vago nellapercezione delle persone, della politica ma anche delle stes-se forze economiche: le imprese, il credito, le organizzazio-ni dei lavoratori. Significa che troppe domande rimangonotuttora aperte. Domande come: che cosa fa di un’attivitàeconomica un’attività “green”? Cosa significa esattamen-te Green Economy? Chi la sta facendo in Italia? Con qualirisultati? Quali sono i settori dell’economia attuale che inquesta prospettiva hanno un futuro? Quali sfide e ostacolipone il “sistema paese” sulla strada di un’economia soste-nibile? Colmare questo importante vuoto di informazionee di riflessione è l’obiettivo del primo rapporto sull’econo-mia verde in Italia, realizzato dalla Fondazione per loSviluppo Sostenibile e da ENEA. Il volume offre la più det-

tagliata analisi prodottafino a oggi sulla posizionedell’Italia in un processoche sta investendo le eco-nomie mondiali, metten-do a fuoco i nodi irrisolti egli ambiti rispetto ai qualiè più urgente un decisocambio di marcia da partedella politica e dell’econo-mia nazionale. In questoprimo rapporto si indivi-duano sei settori strategicidi sviluppo: l’eco-innova-zione; l’efficienza e ilrisparmio energetico; lefonti energetiche rinnova-

bili; gli usi efficienti delle risorse, la prevenzione e il riciclodei rifiuti; le filiere agricole di qualità ecologica; la mobilitàsostenibile. L’analisi, arricchita da dati, riferimenti e con-fronti con i trend internazionali ed europei, evidenzia comeuna svolta economica in chiave “green” sia necessaria eabbia rilevanti potenzialità proprio nel nostro Paese.

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Guida ai Green JobsCOME L’AMBIENTE STA CAMBIANDO IL MONDO DEL LAVORO

di Tessa Gelisio e Marco Gisotti

a nuova mappa dei lavori verdi in Italia, la situazio-ne attuale e le prospettive della nuova economia. Adistanza di tre anni dalla prima edizione, ecco la

versione completamente aggiornata e rivista della Guidaai “green” jobs, libro che nel nostro Paese è diventato unriferimento ineludibile per ragionare di lavori verdi.

Energie rinnovabi-li, chimica verde,risorse e rifiuti,mobilità sostenibi-le, industria agroa-limentare, ecofi-nanza, GreenBuilding, foreste,sicurezza del terri-torio, GreenMarketing eAdvertising, GreenFashion, benesserenaturale, giornali-smo e editoriaambientale, turi-smo sostenibile...Non c’è compartoproduttivo che

non sia stato investito dalla rivoluzione della GreenEconomy: la riduzione degli sprechi e la sostenibilitàambientale e sociale dei processi produttivi sono infatticonsiderati gli elementi chiave della strategia per supera-re la crisi, come dimostrato anche dal numero crescentedi cittadini e clienti che si orientano verso aziende e pro-dotti verdi. Oltre a un’analisi approfondita dei vari settoridella Green Economy e alla lista dei 125 lavori verdi piùrichiesti, per ognuno dei quali vengono descritti i percor-si di formazione, la Guida ai Green Jobs è arricchita da piùdi 50 interviste ai protagonisti della trasformazione chesta investendo anche il nostro Paese, e che potrebbeproiettarlo nell’economia del futuro. Le prospettive dell’e-conomia “verde” sono commentate, fra gli altri, daLuciano Balbo, Angelo Ballarini, Ugo Cappellacci,Francesco Carcioffo, Corrado Clini, e Ferruccio De Bortoli.

Economia dell’abbastanzaGESTIRE L’ECONOMIA COME SE DEL FUTURO CI IMPORTASSE QUALCOSA

di Diane Coyle

are sacrifici, ma per ottenere cosa? Gli scenari che sivanno configurando per l’Italia, come per gran partedel mondo che fino a oggi abbiamo definito “ricco”,

sono caratterizzati da politiche di rigore fiscale e austeritànelle spese e nei consumi. Quando va bene. Ma più spessosi parla di sacrifici da “lacrime e sangue”. Come è possibiledare un senso a queste prospettive? Cosa le può rendereaccettabili? La crisi finanziaria sta spingendo molte personea interrogarsi su aspetti fondamentali dell’economia e, inparticolare, sulle relazioni tra questa, la realtà sociale cheviviamo e quella in cui vorremmo vivere. Il cambiamento piùurgente e importante, sostiene l’autrice, è iniziare a pensa-re al futuro. Se per le crisi in atto (economica, finanziaria,ambientale) si volesse cercare un tratto d’origine in comune,lo si potrebbe con certezza identificare nell’incredibiledisprezzo per il domani, che emerge in modo clamorososoprattutto se si guarda a come viene gestita l’economia.

Crearne una sostenibile, incui tutti abbiano il neces-sario senza compromette-re il futuro, non sarà facile.In “Economia dell’abba-stanza”, Diane Coyle avviauna profonda riflessionesu come si possa dare ini-zio a questo cambiamentoe su quali siano i primipassi da fare. Prima di for-mulare delle risposte, cipropone di comprendere afondo i nodi, i meccanismie le contraddizioni nelmodo in cui fino a oggi èstata gestita l’economia.

Le indicazioni operative a cui l’autrice conduce i lettori sonoperciò l’esito di un “viaggio dentro l’economia” e del rico-noscimento dell’incredibile disprezzo per il futuro che con-diziona e orienta il sistema attuale. E le risposte che arriva-no sono chiare e radicali come poche altre.

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ensibilizzare gli appassionatidella nautica sull’importan-za di adottare comporta-

menti corretti in difesa dell’ambien-te: con questo obiettivo il ConsorzioObbligatorio degli Oli Usati ha par-tecipato per la prima volta a Big Blu,il Salone della Nautica e del Mare,che si è tenuto alla Fiera di Romadal 20 al 24 febbraio.Big Blu ha aperto la stagione deiSaloni Nautici con segnali finalmen-te positivi per il settore. La manife-stazione ha confermato di essereuno dei punti di riferimento pertutto il comparto, con un buon suc-cesso di pubblico e soddisfazioneda parte delle imprese e degli ope-ratori: 7 padiglioni per 530 imbar-cazioni in mostra, 512 espositori,decine di conferenze, workshop,eventi, approfondimenti e convegniseguiti dagli oltre 500 giornalistiaccreditati.“Salviamo l’ambiente, navighiamopulito” è stato lo slogan scelto dalConsorzio, al cui stand i visitatorihanno potuto conoscere il ciclo divita dell’olio usato e approfondire lepratiche adatte alla sua gestione.“Abbiamo scelto di essere presentia questa rassegna – spiega ilDirettore Strategie, Comunicazionee Sistemi del COOU, AntonioMastrostefano – perché il mondodella nautica deve diventare sempredi più uno dei nostri interlocutoriprivilegiati.” Se smaltito in modoimproprio, l’olio lubrificante usato

può essere estremamente dannosoper l'ambiente e per la salute:bastano 4 chili di olio lubrificanteusato sversati in mare per inquinareuna superficie d’acqua grandecome sei piscine olimpioniche. Acontatto con l’acqua, l’olio lubrifi-cante crea una sottile patina cheimpedisce alla flora e alla fauna sot-tostante di respirare. “Proprio nel‘fai da te’ nel settore della nautica – continua Mastrostefano – sinasconde una parte di quel 5% diolio esausto che ancora non riuscia-mo a recuperare su scala nazionale.Una percentuale piccola che peròequivale a circa 10.000 tonnellateche, se fossero tutte sversate inmare, inquinerebbero una superfi-

cie pari a 200 volte il lago diBracciano.” La questione della gestione di unrifiuto pericoloso come l’olio lubrifi-cante usato interessa sia la nauticadi grandi dimensioni (mercantile,passeggeri) sia quella da diporto,costituita dagli amanti del mare chelo solcano per passione più che perlavoro. “Per quanto riguarda lanautica professionale – spiega ilDirettore della Comunicazione delCOOU – il nostro settore di raccoltaè ben coperto, perché l’olio usatoviene recuperato direttamente dalleautofficine che effettuano la manu-tenzione su questi mezzi. Il proble-ma riguarda i privati che possiedo-no una piccola imbarcazione, devo-no cambiare periodicamente l’olio enon sempre si trovano in condizio-ne di smaltirlo correttamente.” Inrealtà una soluzione c’è, anche semolti appassionati del mare non nesono a conoscenza: “Pochi sannoche in una trentina di porti turisticiitaliani sono presenti delle struttureche si chiamano ‘isole del porto’,dove il privato può portare l’oliousato in suo possesso, consegnarloa titolo gratuito e comportarsi cosìin maniera corretta. Questo rifiutopericoloso viene poi raccolto dalnostro Consorzio e destinato all’in-dustria della rigenerazione, dovel’olio lubrificante usato si trasformain olio nuovo che può tornare asvolgere la propria funzione all’in-terno dei motori delle barche.”

“NAVIGHIAMO PULITO PER L’AMBIENTE”IL COOU SBARCA ALLA FIERA BIG BLUIL SALONE DELLA NAUTICA E DEL MARE S

A Big Blu hanno partecipato 512 espositori suddivisi in 7 padiglioni

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Mauro Mannocchi, dal 2011 Presidente della Fiera di RomaBig Blu è una fiera che si rivolge alsettore della nautica, ma non solo.

Si tratta di un even-to che vuole coprirea 360 gradi tutte lequestioni legate almare e che non sirivolge quindi aun’utenza specializ-

zata, ma ha da sempre l’obiettivo di farconoscere questo mondo anche algrande pubblico. Il Salone, infatti, spa-zia dalla cantieristica all’enogastrono-mia, all’abbigliamento nautico e alleattrezzature per il turismo all’aria aper-ta, alla fotografia subacquea e alla stru-mentazione tecnologica di ultimagenerazione.

Quanto pesa la crisi economica suun settore come la nautica e qualisono le strade obbligate da intra-prendere per risollevare la filiera?Per comprendere il peso della crisibasta citare un dato: 50.000 barche sisono allontanate dai nostri porti.Questo si traduce in opportunità dilavoro diretto e di indotto che abbia-mo perduto, perché intorno al mondodella nautica ruotano tutte le attivitàlegate al mare e, per quanto riguardail fisco, tutte le entrate legate al con-sumo di carburante. Bisogna esseremolto più cauti e non criminalizzarealcuna categoria sociale, e mi auguroche la classe politica voglia rivederealcune scelte che sono state prese inpassato sulla filiera economica chevive intorno al mare. Se riusciamo aricreare una forte capacità attrattiva,riavvicinando gli appassionati delmare alle nostre coste, possiamo gua-dagnarne tutti.

Quanto è stata importante la pre-senza alla Fiera di un ente come ilCOOU, che si occupa della salva-guardia del mare in particolare edell’ambiente in generale?

È stata molto importante. Più c’è fre-quentazione, condivisione e cultura delmare, più c’è attenzione rispetto allasua salvaguardia. E il ConsorzioObbligatorio degli Oli Usati è propriouno degli attori che può contribuire alladifesa di questo elemento, che significaricchezza in termini economici ma rap-presenta al contempo un bene da pre-servare per le generazioni future.

Cosimo Nicastro, ufficio relazioni esternedella Guardia CostieraQuali sono le azioni messe incampo quotidianamente dallaGuardia Costiera per la tutela del-l’ambiente marino?

La Guardia Costierasi avvale di unacomponente aero-navale molto spe-cializzata che con-sente di monitorarei nostri mari per

prevenire gli inquinamenti, e questograzie alle motovedette che svolgono laloro attività costante lungo le coste e inparticolare nelle 27 aree marine protet-te che esistono nel nostro Paese, dove visono dei delicati equilibri che vannopreservati. Allo stesso tempo vi è unacomponente aerea che consente diindividuare attività illecite come gli sver-samenti, sia quelli che avvengono viaterra, sia quelli che vengono effettuatidirettamente in mare. In ambito euro-peo, invece, grazie anche all’utilizzo deisatelliti, si va verso una condivisione deidati sempre maggiore che è fondamen-tale nell’azione di prevenzione.

All’interno dei porti, invece, svol-gete una delicata azione di media-zione fra molteplici soggetti.La Guardia Costiera è presente inmare ma nasce nei porti, dal momen-to che ha come compito principalequello di garantire la sicurezza nel-l’ambito portuale e la salvaguardia

del suo habitat. In un porto entranoin gioco tanti interessi che devonoessere moderati, tenendo sempre alprimo posto la sicurezza e il controllopreventivo in ambito ambientale.Con tutti coloro i quali lavorano alla

tutela del nostro mare, come ilConsorzio Obbligatorio degli OliUsati, vi è un rapporto stretto e con-solidato, una grande sinergia che sisviluppa fino ai porticcioli turistici,dove i controlli sono destinati ai pic-coli pescherecci e ai diportisti, chesono anch’essi chiamati a rispettaredelle regole.

Quello del cambio dell’olio “fai date” sulle piccole imbarcazioni è unodei settori più difficili per il COOU.Credo che per migliorare le cose esistauna strada obbligata: il diportista vaeducato, è necessario che conosca leregole e che comprenda quali conse-guenze può avere sul mare un suocomportamento non corretto. Lacomunicazione è fondamentale perarrivare a evitare anche i più piccolisversamenti in mare.

TRE DOMANDE A…

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nvitare gli studenti a confrontar-si sul tema dell’acqua comebene da tutelare, realizzando

lavori incentrati sul suo utilizzocome risorsa e come fonte di ener-gia, sui diversi possibili impieghi esulla necessità di evitarne gli sprechi.È questo l’obiettivo di “Io non mene lavo le mani”, il concorso nazio-nale per le scuole italiane realizzatodal Consorzio Obbligatorio degli OliUsati con il patrocinio del Ministerodell’Ambiente, in accordo con ilMinistero dell’Istruzione e in colla-borazione con Legambiente.

I giovani delle scuole primarie esecondarie di primo grado sonochiamati a sfidarsi a colpi di fantasia,realizzando filmati, documentari,ricerche, spot o racconti corredati difoto e disegni. Le classi che realizze-ranno i lavori più originali ed effica-ci, saranno premiate con buonispesa per l’acquisto di materialeutile alla scuola o per visite didatti-che. Per i bambini under 6 è inveceprevisto un concorso specifico,“Oggi riciclo io”, incentrato sull’ar-gomento della raccolta differenziatadei rifiuti. I bandi dei concorsi sonopubblicati sul sito www.scuolawe-bambiente.it e per aderire bastainviare un’e-mail all’indirizzo [email protected],indicando il nome dell’istituto, deldocente di riferimento e i recapiti

telefonici, e caricare i lavori entro il30 aprile. Scuola Web Ambiente èuno dei progetti di educazioneambientale del ConsorzioObbligatorio degli Oli Usati: le classiche ne fanno richiesta vengonodotate gratuitamente di un sito webper approfondire – con l'aiuto degliinsegnanti – diverse tematicheambientali attraverso interviste,indagini, lavori di gruppo, foto,video. In questo modo si crea una

grande comunità virtuale fra gli stu-denti di ogni parte d’Italia, all’inter-no della quale proporre azioni con-crete in difesa del proprio territorio.Da quest’anno, per aumentare l’in-terazione fra i docenti, il Consorzioha introdotto una forum-chat dedi-cata alle proposte, alle opinioni ealle domande dei professori; in que-sto modo gli insegnanti hanno adisposizione ulteriori spazi per “direla loro” e dialogare con altre scuole.

Gli alunni di Scuola Web Ambientenon vogliono lavarsene le mani!NEL SUO PROGETTO PER I PIÙ GIOVANI, IL COOU HA INVITATO I RAGAZZI A CONFRONTARSI SUI TEMI DELL’ACQUA COME BENE DA TUTELARE E SULLA RACCOLTA DIFFERENZIATA DEI RIFIUTI

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Tra le tematiche affron-tate nell’ultima edizionedel concorso il cambia-mento climatico, il ricicloe il risparmio energetico

Al progetto Scuola Web Ambiente hanno aderito centinaia di classi di tutta Italia

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“Investire nell’educazione ambientale oggi porterà a uno sviluppo più sostenibile domani”

Il Decennio dell’Educazione alloSviluppo Sostenibile (DESS) è statoproclamato per il periodo 2005-2014 dall’Assemblea Generaledelle Nazioni Unite, che ha affida-to all’UNESCO il compito di coordi-narne e promuoverne le attività. Aun anno dalla fine, quanti passi inavanti sono stati fatti in Italia nellasensibilizzazione delle istituzioni edella società civile? Innegabilmente sono stati fatti deipassi in avanti, che però si scontranocon una situazione un po’ paradossa-le. Questo perché mentre i consorzi,le imprese private e il mondo dell’as-sociazionismo hanno investito e con-tinuano a investire nell’educazioneambientale, contemporaneamente siassiste a un disinvestimento da partedello Stato, soprattutto laddovesarebbe necessario uno sforzo mag-giore, ovvero all’interno della scuolapubblica. Ciò nonostante, in questianni la tematica dell’educazioneambientale è rimasta vivace nellascuola, anche se quasi esclusivamentegrazie agli sforzi degli insegnanti.

Quanto possono contribuire con-corsi come Scuola Web Ambientee altre iniziative simili per perse-guire questi obiettivi? Questi progetti offrono occasioni diapprofondimento e specializzazione

su tematiche importanti come ilrispetto dell’ambiente. Già nel passa-to decennio, l’Unione Europea avevaindicato alcune competenze di basecome fondamentali per spingere i cit-tadini ad attuare comportamenti chefossero in linea con uno svilupposempre più sostenibile. Portare questivalori all’interno degli istituti, come fail COOU attraverso Scuola WebAmbiente, è fondamentale per edu-care le nuove generazioni e per sti-molare il dibattito su queste temati-che in un momento importante dellacrescita dei ragazzi.

Nel 2004 le Indicazioni Nazionaliper i piani di studio personalizzatiintroducevano l’educazione ambi-entale nel primo ciclo di istruzio-ne, nell’ambito della materia Con-vivenza Civile. Quanto è impor-tante il contributo di soggettiterzi, come il COOU, per supporta-re le finalità che il Ministero del-l’Istruzione indirizza alle scuole?L’indicazione di costituire la materiaConvivenza Civile ha avuto il pregio diproporre una sorta di scatola, sia pursostanzialmente vuota, basata però suobiettivi fondamentali che sono quellidell’educazione alla Costituzione, allavirtù civica e alla partecipazione. Se inItalia questa scatola si è riempita, èperché il nostro Paese ha alle spalle15-20 anni di storia di educazioneambientale che si è sviluppata inmaniera trasversale fra diverse discipli-ne, con specificità diverse nelle scuoleelementari, piuttosto che nelle medieo nelle superiori. Rispetto a questetematiche, l’Italia può vantare una sto-ria e una tradizione culturale forteche, fortunatamente, continua a esse-re presente in molti progetti sviluppatianche da soggetti terzi. Il ruolo di que-sti ultimi oggi è ancora più importan-te, visto che i temi ambientali sonodiventati di stringente attualità pertutti i cittadini: basta pensare all’im-

patto mediatico di argomenti quali icambiamenti climatici, il dissesto idro-geologico, l’inquinamento urbano, ilcaos del traffico, la mobilità o la rac-colta differenziata dei rifiuti.

Una delle tematiche trattate nelconcorso di Scuola Web Ambienteè quella della tutela dell’acqua.L'Italia, pur essendo uno tra iPaesi più ricchi di questa essenzia-le risorsa, è anche in testa alleclassifiche per il suo spreco, conuna media nazionale di dispersio-ne idrica che ha raggiunto il 47%.Un progetto come quello del COOUha, tra le altre cose, il merito di con-tribuire a far sì che gli insegnanti e iloro alunni pensino all’ambientecome a un sistema unico, dove ciòche viene abbandonato finisce spessonei fiumi e successivamente in mare.Da questo punto di vista, l’acqua rap-presenta una sorta di filo conduttoreche consente di affrontare molte que-stioni ambientali che restano irrisoltenel nostro Paese: dalla necessità dirisparmiare l’acqua potabile al proble-ma della depurazione, risalendo finoalle sorgenti e arrivando a ragionaresul sistema idrico nel suo complesso.

Da questo punto di vista, il fattoreculturale quanto può essere di sup-porto a quello infrastrutturale?È chiaro che in Italia ci siano carenzedi tipo culturale, a partire dalla consi-derazione che l’acqua ha un costoinferiore rispetto al suo valore ecolo-gico, cosa che ne favorisce gli sprechi.Certo è che al lavoro culturale vaaggiunta una grande operazioneinfrastrutturale, dal momento che nel30% dei Comuni italiani mancanoimpianti di depurazione. Forse è arri-vato anche il momento di ampliare lafamosa detrazione fiscale del 55%per interventi di riqualificazione ener-getica anche a interventi di risparmioidrico dei condomini.

INTERVISTA A VITTORIO COGLIATI DEZZA, PRESIDENTE DI LEGAMBIENTE

Vittorio Cogliati Dezza

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La informiamo infine che il Titolare del tratta-mento complessivo è il Consorzio Obbligatoriodegli Oli Usati nella persona del presidente consede in Roma in Via Virgilio Maroso, 50.

www.coou.it

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A volte basta poco per inquinare tanto: un cambio d’olio dell’auto gettato in un tombino o in un prato. Un gesto insensato che rischia di inquinare unasuperficie enorme di 5.000 metri quadri. Invece se raccolto correttamente l’o-lio usato è una preziosa risorsa perché con il riciclo diventa nuovo lubrificante. Così si risparmia sull’importazione del petrolio e anche l’ambienteci guadagna. Aiutaci a raccoglierlo, non mandare a fondo il nostro futuro: numero verde 800.863.048.

RACCOGLIAMO L’OLIO USATO. DIFENDIAMO L’AMBIENTE.

SE GETTI VIA L’OLIOUSATO DELLA TUA AUTO

INQUINI UNO SPAZIO GRANDECOME SEI PISCINE OLIMPICHE.

L A NAZIONALE ITALIANA DI PALLANUOTO HA DEVOLUTO IL COMPENSOAL FONDO TERREMOTO ABRUZZO DELLA PROTEZIONE CIVILE NAZIONALE.

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