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Page 1: Copyright©MMX · 2017. 9. 20. · “Non colsi tutta la drammaticità della primavera praghese”. Intervistaa Moni Ovadia - SECONDA PARTE – IL 1968 A PRAGA: PROLOGO, PRIMAVERA,
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Copyright © MMXARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A-B00173 Roma(06) 93781065

isbn 978–88–548–3144–5

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: marzo 2010

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TEMIMALEDETTA PRIMAVERA:

IL 1968 A PRAGA

Patrik Ouredník, Annoventiquattro. Progymnasma 1965-1989,

traduzione di Alessandro Catalanoi-xl

PRIMA PARTE – PRAGA DA UNA PRIMAVERA ALL’ALTRA: 1968-1969A cura di Annalisa Cosentino

Annalisa Cosentino, “Stagioni di Praga” -

PRAGA DA UNA PRIMAVERA ALL’ALTRA: 1968-1969

Alessandro Catalano, “Metamorfosi di un mito: Julius Fucík e

Milan Kundera tra stalinismo e normalizzazione”

-

Marie Klimešová, “Dalla liberalizzazione alla normalizzazio-

ne. Limiti e conquiste della libertà nell’arte ceca degli anni

Sessanta”, traduzione di Francesco Mauro

-

Jirí Pelán, “Echi e riflessi della Primavera di Praga negli scritti di

Angelo Maria Ripellino”

-

Jirina Šiklová, “La primavera di Praga del 1968 e il ruolo

nascosto delle donne”, traduzione di Elisa Renso

-

Silvio Pons, “Il comunismo italiano e il ’68 praghese” -

Augusto Illuminati, “La comprensione turbata. Praga e i

movimenti”

-

PRAGA SENZA PRIMAVERA

Francesco Pitassio, “Da una primavera all’altra e quel che ne

consegue”

-

Martin Machovec, “Letteratura senza primavera. Il motivo

dell’‘apocalisse’ come importante elemento strutturale della

letteratura underground del periodo della ‘normalizzazione”’,

traduzione di Alessandro Catalano

-

Marie Klimešová, “L’arte ceca dopo la fine della Primavera”,

traduzione di Francesco Mauro

-

Francesco Caccamo, “Una primavera lunga quaranta anni. Le

interpretazioni del 1968 cecoslovacco”

-

Pietro De Gennaro, “Da una primavera all’altra negli archivi

della Rai”

-

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-3ARTICOLI

Josef Alan, “La cultura alternativa come tema sociologico”,

traduzione di Ilaria De Paoli

-

Vladimír Just, “Il teatro: un tentativo di definizione. Prole-

gomeni a ogni futura storia del teatro alternativo che voglia

diventare scienza”, traduzione di Eleonora Tondon

-

Ivan M. Jirous, “La cultura ceca underground degli anni

Settanta e Ottanta”, traduzione di Daniela Marinuzzi

-

DIALOGHI, a cura di Pietro De Gennaro

“Longo nei miei ricordi è uno che avuto più coraggio di molti

altri”. Intervista a Rossana Rossanda

-

“Cercavamo salvezza nella notte”. Intervista a Pietro Ingrao -

“Non colsi tutta la drammaticità della primavera praghese”.

Intervista a Moni Ovadia

-

SECONDA PARTE – IL 1968 A PRAGA: PROLOGO, PRIMAVERA, EPILOGO

Alessandro Catalano, “Quella maledetta Primavera del 1968 a

Praga”

-

ARCHIVI

Alessandro Catalano, “Le esperienze della Primavera di Praga:

un progetto ingiustamente dimenticato”

-

Kvetoslav Chvatík, “La politica culturale in Cecoslovacchia dal

1945 al 1980”

-

Josef Hodic, “Opinioni politico-militari correnti nell’esercito

cecoslovacco negli anni tra il 1948 e il 1968”

-

TRADUZIONI & RISTAMPE

Il IV congresso dell’Associazione degli scrittori cecoslovacchi (27-

29 giugno 1967)

-

Il Programma d’azione del Partito comunista di Cecoslovacchia -

I mesi di Literární listy -

Václav Havel, “A proposito di opposizione”, traduzione di

Alessandro Catalano

-

Ludvík Vaculík, Duemila parole rivolte a operai, contadini,

impiegati, studiosi, artisti – e a tutti, traduzione di Annalisa

Cosentino

-

Josef Smrkovský, “Le mille parole” -

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-3I documenti -

La Primavera vista da Mosca -

Le ultime voci degli scrittori e i muri parlanti -

Praga è sola -

Le memorie di Josef Smrkovský -

Stefania Mella, “La polemica tra Milan Kundera e Václav Havel

sul destino ceco quarant’anni dopo”

-

Le primavere e gli autunni cecoslovacchi. Dialogo con Václav

Havel, a cura di Martin Vidlák e Petr Jancárek, traduzione di

Alessandro Catalano

-

Patrik Ouredník, “Cecoslovacchia: le condizioni della cultura”,

traduzione di Maria Teresa Carbone e Marco Dotti

-

www.esamizdat.it

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La nascita di una nuova rivista avviene sempre con gioia e con dolo-

re. Con gioia, perche schiude nuove prospettive, desta nuove speranze

e cerca di creare una nuova situazione sociale e storica. Con dolore,

per le tante incertezze intellettuali e letterarie che affiorano durante la

sua progettazione, per l’inquietante presentimento di una battaglia in-

combente e della responsabilita che si assumono i promotori di un tale

progetto.

“Il nostro compito”, Kontinent 1975/1, Milano 1975, p. 9

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ALLA Primavera di Praga eSamizdat avrebbe dovuto dedicare, cosı come era avvenuto

un anno prima per Charta 77, una sezione dell’ultimo numero del 2008, ma la decisio-

ne di oltrepassare l’orizzonte del 1968 ha portato a un profondo ripensamento della strut-

tura del numero. Un ruolo importante in questa decisione e stato svolto dall’Universita di

Padova che ha concesso dei fondi per la realizzazione di un progetto di ricerca di Ateneo de-

dicato al samizdat (nell’ambito del quale e gia stata organizzata la sezione dedicata a Geor-

gij Ivanov nello scorso numero). Questo ha permesso non solo di realizzare un ulteriore

numero della rivista (il previsto numero unico del 2009 sarebbe infatti risultato decisamen-

te troppo voluminoso), ma anche di allargare il campo d’indagine alla fase di passaggio tra

la conclusione forzata della Primavera e l’inizio della stagione del dissenso. In qualche mo-

do questo numero rappresenta quindi la fine dell’eSamizdat nato nel 2003 e l’esordio di un

progetto diverso, intitolato Tra memoria e utopia: il samizdat come simbolo della cultura

europea. Storia, confini, prospettive <http://www.maldura.unipd.it/samizdat/>.

Abbiamo pensato questo numero cercando di colmare due lacune nella recente ricezione

italiana della Primavera di Praga. Da un lato allargando l’orizzonte alla totalita della cul-

tura ceca, dall’altro pubblicando una serie di documenti originali, ovvero i grandi assenti

nelle analisi degli ultimi due anni. La riproposizione di molti materiali pubblicati su rivista

o su volumi da tempo non piu disponibili in libreria dovrebbe permettere un piu semplice

accesso ai materiali originali, tanto piu necessario quando sugli avvenimenti storici si de-

posita una lunga serie di fraintendimenti e deformazioni mitologiche com’e avvenuto nel

caso della Primavera.

Naturalmente senza la collaborazione attiva di molte persone non sarebbe mai stato possi-

bile pubblicare una tale quantita di testi. I nostri ringraziamenti vanno in primo luogo ad

Annalisa Cosentino che ha curato la prima parte del numero, in cui vengono proposti i con-

tributi di due convegni internazionali, accompagnati dalla traduzione di alcuni saggi rivolti

a questioni concrete e da tre interviste tratte dal documentario realizzato da Pietro de Gen-

naro in occasione della mostra Praga da una primavera all’altra: 1968-1969. Ringraziamo

anche Luciano Antonetti, per i consigli e per l’autorizzazione a pubblicare le sue traduzio-

ni dei due lavori realizzati nell’ambito del progetto di ricerca Le esperienze della Primavera

di Praga, che speriamo acquisisca in questo modo maggior notorieta. Un grazie particola-

re va inoltre a Vaclav Havel che ci ha autorizzato a tradurre e ripubblicare i suoi testi. Un

ringraziamento finale va poi a Patrik Ourednık che ci ha concesso l’autorizzazione a tradur-

re Annoventiquattro, con cui apriamo il numero, e a ripubblicare l’analisi Cecoslovacchia: le

condizioni della cultura, con cui simmetricamente lo chiudiamo.

Finisce cosı l’avventura dell’eSamizdat che avete conosciuto finora. Cio che seguira sara

necessariamente una cosa diversa, non migliore o peggiore, semplicemente diversa. . .

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♦♦♦

Questo numero di eSamizdat e stato realizzato nell’ambito del progetto di ricerca di Ateneo dell’Universita di Padova CPDA087493.

www.esamizdat.it

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© Patrik Ouředník, 1995; 2002Tutti i diritti riservati

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Annoventiquattro

Progymnasma 1965-1989

Patrik Ouredník

♦ eSamizdat (VII) -, pp. i-xl♦

Bruto: Non è vero!

W. Shakespeare: Giulio Cesare

Jago: È una menzogna!

W. Shakespeare: Otello

Amleto: Che cos’è la verità?

W. Shakespeare: Amleto

Questa è la verità storica.

Rudé právo (Diritto rosso)

MI ricordo che durante le vacanze del 1969 mio padre rifletteva sulla possibilità di restare inFrancia. Mi ricordo che ha chiesto a noi bambini che cosa ne pensavamo e che la sua do-

manda mi ha fatto arrabbiare. Mi ricordo che mia sorella, di due anni più grande, gli ha risposto:“E perché noi? Sono i russi che se ne devono andare”.

I/2Mi ricordo il “menù” sui muri praghesi nel 1968 e alcuni dei piatti: gulash all’ungherese Kadárek,

bistecca alla tartara di Kolder e cervelletto di Brežnev in salamoia.

I/3Mi ricordo che Kolder (o era Indra?), abitava vicino a casa nostra, in Via del SottocolonnelloSochor.

I/4Mi ricordo Vlasta Trešnák “alla gogna” al Teatro all’aperto. Mi ricordo che ha cantato due canzoni.

I/5

Mi ricordo un verso di una delle canzoni: La falce sibila sulla terra. Mi ricordo che la sapevo amemoria e che una volta l’ho cantata a un amico, e che invece di “la falce sibila sulla terra” hoinvolontariamente cantato “l’alce sibila sulla terra”.

I/6

Mi ricordo che la “gogna” si faceva ogni mercoledì e il biglietto costava due corone. Mi ricordo cheera proibito ai minori di quindici anni. Mi ricordo che non era difficile scavalcare e confondersitra la folla.

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iv eSamizdat 2009 (VII) 2-3 ♦ Temi: Primavera di Praga ♦

I/7

Mi ricordo che confondevo le parole “forbito” e “inibito”.

I/8

Mi ricordo Renzo e Lucia, “la prima rivista per adolescenti”.

I/9

Mi ricordo che nel sessantotto io e un amico rubavamo in una drogheria sul Viale degli Eroi di

Dukla degli zampironi contro i ratti e poi sulla piana di Letná gli davamo fuoco e li tiravamocontro i carri armati russi.

I/10

Mi ricordo che i soldati si spaventavano. Mi ricordo che una volta sono risuonati degli ordini inrusso e i soldati si sono messi in posizione da combattimento con i mitra in pugno.

I/11

Mi ricordo che siamo corsi via e poi per diverse ore siamo rimasti nascosti nel Museo della tecnica,dove ci siamo messi d’accordo che avremmo confermato a vicenda nomi e indirizzi falsi.

I/12

Mi ricordo che io e mio padre un giorno camminavamo lungo i Viali degli Eroi di Dukla e deiDifensori della pace e leggevamo le scritte sui muri contro l’occupazione. Mi ricordo che mio

padre si divertiva.

I/13

Mi ricordo che mio padre cercava la rivista per bambini Margheritina sulla quale avevano stam-

pato una poesia antirussa. Dal giornalaio su Viale dei Difensori della pace era finita, ma la gior-nalaia ci ha regalato “un sorriso significativo”.

I/14

Mi ricordo che anni dopo qualcuno mi ha detto che la poesia l’aveva scritta Jirí Pištora.

I/15

Mi ricordo gli incontri di hockey contro l’URSS nel 1969 e i nomi dei giocatori Suchý, Nedoman-ský, Holík Jirí e Holík Jaroslav, Dzurilla. Mi ricordo i risultati: 2-0 e 4-3.

I/16

Mi ricordo un altro incontro di hockey contro l’URSS (1972?), giocato in Svizzera in uno stadiopieno di emigranti cechi che scandivano “Tornatene a casa, Ivan!”. Mi ricordo che la televisionee la radio hanno tolto l’audio e mi ricordo la voce rimbombante, che ha commentato il resto

dell’incontro dallo studio.

I/17

Mi ricordo che Nedomanský è poi emigrato in Canada.

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Metamorfosi di un mito: Julius Fucík e Milan Kundera tra

stalinismo e normalizzazione

Alessandro Catalano

♦ eSamizdat (VII) -, pp. -♦

“IL malumore, la polemica, l’avversione re-

ciproca tra gli intellettuali e il regime so-

no ormai una nota costante del paesaggio ce-

coslovacco. Sono cinque mesi che la letteratura

cecoslovacca si batte contro il potere politico”,

scriveva all’inizio di dicembre del 1967 Angelo

Maria Ripellino, iniziando a raccontare l’acce-

lerazione che avevano subito negli ultimi me-

si la cultura e la politica della Cecoslovacchia1.

All’estero la Primavera di Praga è stata percepi-

ta in modo molto più intenso nella sua dimen-

sione politica che in quella culturale e, anche

se ben conosciuto è stato il ruolo degli scritto-

ri (e più in generale degli artisti cechi) nel pro-

cesso di liberazione, è stato anch’esso spesso ri-

dotto alla sua sola dimensione “politica”. Nel-

la ricezione italiana però, benché sia piuttosto

noto che sono stati gli scrittori a porre a livello

pubblico le domande più imbarazzanti e ad af-

frontare i nodi irrisolti del recente passato ceco,

raramente la conoscenza concreta dei percor-

si individuali dei singoli intellettuali va oltre la

lettura del Manifesto delle 2000 parole.

Per molti intellettuali che avevano contribui-

to alla costruzione del comunismo a partire da-

gli anni Quaranta la riflessione sulla propria re-

sponsabilità ha rappresentato invece un mo-

mento essenziale dell’acquisizione di una co-

scienza critica rispetto alla storia recente. Per

certi versi si potrebbe persino dire che uno dei

1 A.M. Ripellino, “Gli esiliati di Praga”, Idem, L’ora di Praga.

Scritti sul dissenso e sulla repressione in Cecoslovacchia e nel-

l’Europa dell’Est (1963-1974), a cura di A. Pane, Firenze 2008,

pp. 31-35 (la citazione è a p. 31).

problemi di fondo che la Primavera di Praga ha

cercato invano di risolvere prima dell’arrivo dei

carri armati sia stato proprio quello dei legami

con un “prima” più semplice da rimuovere che

da spiegare. Paradossalmente, mentre a livello

culturale nel 1968 si rivelerà possibile affronta-

re in modo più o meno esplicito una lunga serie

di questioni complesse e contraddittorie, com-

presa quella della legittimità del potere comu-

nista a vent’anni dal 1948, sul piano politico la

possibilità di un’analisi adeguata resterà inve-

ce, anche al culmine del percorso del sociali-

smo dal volto umano, molto più limitata. An-

che un lettore italiano, che conosca anche solo

superficialmente la produzione della letteratu-

ra ceca della seconda metà degli anni Sessan-

ta (e pensiamo non soltanto ai volumi di Bohu-

mil Hrabal, Milan Kundera, Josef Jedlicka espo-

sti nella mostra Praga da una primavera all’al-

tra 1968-19692, ma anche a diversi libri di Jo-

sef Škvorecký, Ivan Klíma, Pavel Kohout, Ludvík

Vaculík e tanti altri), ha una discreta percezio-

ne del fatto che l’analisi, spesso impietosa, de-

gli anni dello stalinismo e dei processi politici

abbia rappresentato uno dei temi centrali della

cultura ceca di quel decennio irripetibile.

Basta del resto sfogliare il settimanale Re-

portér, che con una certa approssimazione po-

trebbe essere definito l’equivalente del nostro

Espresso dell’epoca, diretto dall’aprile del 1968

da Stanislav Budín, giornalista esautorato da

2 Si veda il catalogo curato da A. Cosentino, Praga da una

primavera all’altra 1968-1969, Udine 2008.

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eSamizdat 2009 (VII) 2-3 ♦ Temi: Primavera di Praga ♦

ogni carica prima negli anni Trenta e poi di

nuovo negli anni dello stalinismo ceco, per tro-

varvi tutti i segnali di una sete di notizie e spie-

gazioni impensabile pochi anni prima: repor-

tage investigativi sugli episodi poco chiari del

passato, l’esercizio di una pressione costan-

te sulla politica, la continua apertura ad alcu-

ni temi tabù (prima di tutto quello della ses-

sualità), una grande attenzione alla situazio-

ne internazionale, tavole rotonde sui proble-

mi scottanti dell’epoca, e perfino un allegato

di informazioni turistiche sui paesi in cui era

improvvisamente diventato possibile viaggiare.

La simultanea apparizione di voci differenti,

ma autorevoli e originali, che ha caratterizza-

to gli anni Sessanta era in gran parte dovuta al-

la reazione nei confronti del brutale interven-

to precedente del potere nel sistema sociale e

culturale, che aveva represso l’originalità e l’in-

dividualità a vantaggio di una sterile uniformi-

tà ideologica, riducendo al silenzio molti intel-

lettuali3. L’esplosione culturale degli anni Ses-

santa è senz’altro, da molti punti di vista, an-

che una reazione a quel deprimente periodo di

stagnazione che intercorre tra il 1948, quando

i tamburi del realismo socialista hanno appe-

na cominciato a battere, fino al 1963, quando,

per dirla con Ripellino, Praga “torna alla luce

e dispiega la sua vitalità esuberante: vi riaffio-

ra la giovinezza, un nuovo fervore vi palpita, di

iniziative, di impulsi, di imprese, una smania

di riannodare i fili spezzati, di ritrovare i lega-

mi con la vecchia Europa”4. In effetti, gli an-

ni che precedono la Primavera di Praga sono

pervasi da un’insolita ansia di comprendere, di

riappropriarsi e di correggere il passato recente.

3 Per un quadro d’insieme in italiano si vedano A. Catalano,

“La Cecoslovacchia nella guerra fredda: da centro dell’Eu-

ropa a frontiera dell’Europa dell’est (1945-1959)”, eSamizdat,

2005 (III), 2-3, pp. 309-331, e Idem, Sole rosso su Praga.

La letteratura ceca tra socialismo e underground (1945-1959).

Un’interpretazione, Roma 2004.4 A.M. Ripellino, “È l’ora della Cecoslovacchia. Fogli di diario

praghese”, Idem, L’ora di Praga, op. cit., pp. 3-17 (la citazione

è a p. 3).

Tutto ciò renderà possibile, già a partire dal III

Congresso dell’Unione degli scrittori cecoslo-

vacchi del 1963, una profonda differenziazione

tra i singoli intellettuali (e di conseguenza al-

l’interno dell’estetica marxista), che poi culmi-

nerà nel celebre IV congresso dell’Unione degli

scrittori del 19675. A cavallo tra il 1967 e il 1968,

come ha scritto Antonín J. Liehm nella prefa-

zione a un’antologia in italiano degli interven-

ti usciti su Literární Listy, gli intellettuali han-

no ricoperto “la funzione di demistificatori, di

distruttori di miti, di resuscitatori della cono-

scenza seppellita sotto la superstizione, di re-

stauratori della morale, di riabilitatori della co-

scienza umana”6, determinando così un duali-

smo tra potere e intellettuali, fonte di continue

frizioni a livello estetico, filosofico e ideologico.

Non è certo un caso, del resto, che nella di-

scussione risulterà centrale soprattutto la que-

stione dei processi politici e delle deformazio-

ni degli anni Cinquanta, vero e proprio nervo

scoperto di tutta la Primavera, come ha egregia-

mente messo in scena Milan Kundera nel 1967

in Žert [Lo scherzo]. Naturalmente una discus-

sione così radicale sul piano politico si sarebbe

rivelata invece impossibile, malgrado il tenta-

tivo di Alexander Dubcek, assurto in seguito a

simbolo mondiale dell’irriformabilità del siste-

ma comunista. Da questo punto di vista la con-

trapposizione tra intellettuali e potere permette

di individuare un preciso limite a livello politi-

co nella pur sincera volontà di reinterpretare il

passato, senza però poter mettere in discussio-

ne il tema centrale della legittimità di chi quel

sistema lo aveva instaurato.

Nei propri impietosi diari, una delle più lu-

5 IV. sjezd Svazu Ceskoslovenských spisovatelu (Protokol), Praha

27.-29. cervna 1967, Praha 1968. Una selezione degli interven-

ti più interessanti in italiano è in G. Pacini, La svolta di Praga

e la Cecoslovacchia invasa, Roma 1969, pp. 113-234.6 [A.J. Liehm], “Nel cuore della mischia”, Praga 1968. Le idee del

“Nuovo corso”. “Literární Listy” marzo-agosto 1968, a cura di J.

Cech [A.J. Liehm], Roma-Bari 1968, pp. IX-XXXV (la citazione

è a p. XXI).

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A. Catalano, Metamorfosi di un mito: Julius Fucík e Milan Kundera tra stalinismo e normalizzazione

cide analisi del vuoto culturale che caratterizza

la “normalizzazione” degli anni Settanta e Ot-

tanta, il traduttore e poeta ceco Jan Zábrana

ha affrontato ripetutamente la questione della

pesante eredità lasciata dall’esperienza storica

dello stalinismo degli anni Cinquanta. Per chi

era stato schiacciato dalla violenta instaurazio-

ne del sistema comunista, quella stagione non

sarebbe mai stata superata: “io sono un prigio-

niero che non ha lasciato la prigione dopo l’a-

pertura delle porte”7, scriveva ad esempio Zá-

brana nel luglio del 1979. Nel marzo di quattro

anni prima sottolineava invece il fatto di non

aver visto nella primavera del 1968 “soltanto

persone felici; ho visto anche persone bianche

di paura per la libertà che si stava avvicinando.

E non si trattava solo degli anziani, ma anche

di molti miei coetanei. E non si trattava nem-

meno di quei delinquenti dichiarati che avreb-

bero giustamente dovuto aver paura di espiare

le malefatte commesse. Nemmeno per sogno.

Si trattava invece di quelle persone soddisfatte

di una vita che corre su binari prestabiliti, dei

cosiddetti pratici della vita”8.

Spesso l’analisi di casi concreti e ben deter-

minati permette di illuminare le trasformazioni

dei codici simbolici delle epoche caratterizza-

te da forti rotture (e senz’altro questo è il ca-

so della Cecoslovacchia tra gli anni Quaranta

e gli anni Sessanta) in modo complementare

alle pur sempre indispensabili ricerche storio-

grafiche di ampia portata. Per comprendere la

complessità dei fenomeni che hanno attraver-

sato la Primavera di Praga è infatti essenziale

osservare da vicino in che modo i singoli autori

abbiano preso parte alla creazione/distruzione

di quei codici simbolici. E per far questo biso-

gna tornare a occuparsi del modello di sociali-

smo reale istituito in Cecoslovacchia a partire

dal 1948, non tanto nei termini di sistema pe-

7 J. Zábrana: Celý život. Výbor z deníku 1948-1984, Praha 20012,

p. 683.8 Ivi, p. 353.

rennemente in crisi, come spesso fa negli ultimi

anni certa storiografia, quanto nella sua dimen-

sione utopica di radicale trasformazione socia-

le, progetto che, nell’atmosfera del dopoguerra,

era peraltro condiviso da ampie fasce sociali.

Questo ambizioso, ancorché sanguinario, ten-

tativo di creare un nuovo modello di società, un

nuovo sistema di rapporti e quello che nella lin-

gua dell’epoca sarebbe stato chiamato l’“uomo

nuovo”, per quanto utopistico e crudele, non

era tuttavia mai stato portato avanti con tan-

ta concretezza. Il modello sociale comunista

era fondato, almeno nell’epoca dello stalinismo

trionfante, su continui gesti di identificazione

con i “modelli” proposti, che nelle intenzioni

avrebbero dovuto provocare profonde trasfor-

mazioni sociali, mentre nella realtà diedero il

via per lo più a una lunga serie di comporta-

menti conformisti. In questo processo un posto

di primo piano era naturalmente riservato al-

la trasformazione delle nuove generazioni, per

le quali il modello da imitare sarebbe presto di-

ventato quello di Julius Fucík (1903-1943), non

soltanto eroe nazionale, ma una delle icone più

pervasive dello stalinismo9.

Gli ultimi decenni hanno offuscato molti dei

miti della resistenza, e questo non soltanto nel-

la ex Cecoslovacchia, quindi non c’è troppo da

stupirsi se a molti il nome di Fucík non risulte-

rà oggi troppo familiare, e potrà magari anche

sembrare strano l’accostamento a Milan Kun-

dera. Completamente diversa era però la si-

tuazione alla fine degli anni Quaranta, quan-

do il testo di Fucík Reportáž, psaná na oprát-

ce [Reportage scritto sotto la forca]10, accorata

9 Alla trasformazione della figura di Fucík in “leggenda”, al suo

ruolo di modello sociale da imitare e alle manifestazioni let-

terarie di un culto attraverso il quale la società socialista si

identificava con la propria proiezione ideale, ha dedicato nel

1992 un bel saggio V. Macura: “Fucík”, Idem, Št’astný vek (a

jiné studie o socialistické kulture), Praha 20082, pp. 85-100.10 Si veda la prima edizione critica integrale, J. Fucík: Reportáž,

psaná na oprátce. První úplné, kritické a komentované vydání,

Praha 1995. Per la storia del Reportage si vedano in particolare

gli studi di J. Janácek: “Pochybnosti i jistoty”, Ivi, pp. 301-337,

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eSamizdat 2009 (VII) 2-3 ♦ Temi: Primavera di Praga ♦

denuncia e incitamento a resistere in nome di

un radioso futuro, scritto di nascosto su minu-

scoli foglietti nella sua cella grazie alla collabo-

razione di due secondini (Jaroslav Hora e Adolf

Kolínský)11, sarebbe rapidamente divenuto non

soltanto uno dei simboli delle sofferenze infer-

te dal nazismo alla società ceca, della resisten-

za ai tedeschi e della lotta partigiana tout court,

ma anche un modello comportamentale che la

gioventù socialista avrebbe cercato di imitare.

Il giovane Pavel Kohout, ancora molto lontano

dal battagliero ruolo di tribuno riformista del

1968, scriveva ad esempio nel 1949 alla sua ra-

gazza che “grazie al partito e a te mi sto trasfor-

mando e mi voglio trasformare in un uomo del-

la stirpe dei Fucík”12. Un suo amico gli chiede-

va poi di prendere coscienza del fatto che non

rappresentava ormai solo un modello per gli al-

tri, ma che era ormai ritenuto “davvero un apo-

stolo di Fucík”13. Questo martire per la libertà

sarebbe diventato ai suoi occhi uno dei miti in-

ternazionali del comunismo e uno dei simboli

della

generazione più felice che la terra abbia mai visto. Saremo

noi, la gioventù di tutti i paesi, colori, razze e credi religiosi,

a spezzare le frontiere degli stati, siamo stati noi a metterci

in marcia e a muoverci gli uni incontro agli altri per mi-

gliaia di chilometri, per poi sorridere gli uni agli altri, per

darci le mani, per appoggiarci gli uni agli altri e per far bal-

e di V. Macura: “Motáky jako literární dílo”, Ivi, pp. 281-300. In

tempi recenti sono stati pubblicati anche i facsimile dei “fo-

glietti”: J. Fucík, Reportáž psaná na oprátce, Praha 2008. Per

molti anni lo studio principale su Fucík è stato il volume ro-

manzato di Mojmír Grygar, Žil jsem pro radost: Životopisná

crta o Juliu Fucíkovi, Praha 1958. Un’interessante analisi del

Reportage è stata presentata da P. Steiner, “Nedokonavý hr-

dina: Julius Fucík a jeho Reportáž, psaná na oprátce”, Idem:

Lustrování literatury. Ceská fikce v politickém kontextu, Pra-

ha 2002, pp. 113-173. Un testo molto critico nei confronti del

culto di Fucík, pubblicato (in ceco e in inglese) nel 1953 dallo

scrittore Egon Hostovský, è riprodotto ora con il titolo “Komu-

nistická modla Julius Fucík a jeho generace” in V. Papoušek,

Trojí samota ve velké zemi, Jinocany 2001, pp. 177-187.11 Si vedano le rispettive testimonianze: J. Hora, “Zrození re-

portáže”, Milenec života. Sborník vzpomínek na Julia Fucí-

ka, a cura di A. Kusák, Plzen 1962, pp. 126-141; A. Kolínský,

“Pankrác”, Ivi, pp. 142-146.12 P. Kosatík, Fenomén Kohout, Praha-Litomyšl 2001, p. 69.13 Ivi, p. 71.

lare un cerchio enorme che attraverserà tutti i continenti e

i mari14.

L’esaltazione delle virtù di Fucík, celebrato

come “eroe del nostro tempo”15, faceva peraltro

parte di una precisa campagna ideologica (ha

dato il nome a strade, piazze, miniere, scuole,

gruppi di pionieri e così via) e sarebbe culmina-

ta nel decimo anniversario della morte, il 1953,

celebrato con cerimonie di ogni tipo16. Al suo

nome era ispirata persino una delle più note

azioni propagandistiche di massa, che mirava

a provocare in tempi rapidi un profondo muta-

mento dei gusti letterari del pubblico, “il distin-

tivo di Fucík” che i giovani della gioventù co-

munista portavano con orgoglio: per ottener-

lo bisognava superare un esame su una serie di

letture selezionate, ovviamente tutte dal profilo

politico ben definito17. La volontà di utilizza-

re propagandisticamente qualsivoglia testo na-

turalmente non sarebbe però bastata se il testo

stesso non si fosse rivelato adeguato allo sco-

po18. Bohumil Hrabal ad esempio ha citato in

un’intervista come migliori reportage della sto-

ria della cultura uno dei libri di Mosé, il De bello

Gallico di Giulio Cesare e il reportage di Fucík

che “tanto a lungo ha scritto articoli e recensio-

ni tendenziosi, finché il fatale destino non l’ha

scaraventato in una situazione in cui ha scritto

un reportage che appartiene alla migliore lette-

ratura”19. Al congresso per la pace di Varsavia

del 1950 una commissione presieduta da Pie-

tro Nenni gli avrebbe conferito per il suo Re-

14 Da una lettera di Kohout del marzo del 1948, Ivi, p. 47.15 Julius Fucík – hrdina naší doby, Praha 1953.16 M. Bauer, “Re-prezentace národního hrdiny – obraz Julia

Fucíka v ceské literární vede na pocátku padesátých let”,

<http://www.sorela.cz/web/articles.aspx?id=90>.17 Idem, Ideologie a pamet’. Literatura a instituce na prelomu 40.

a 50. let 20. století, Jinocany 2003, pp. 186-214.18 La capacità del testo di attivare nel lettore numerose remine-

scenze culturali, i riferimenti a scene bibliche e il suo poten-

ziale ideologico e suggestivo sono stati recentemente sotto-

lineati da K. Cinátl, “Fucíkova poslední bitva”, <http://www.

sorela.cz/web/articles.aspx?id=89>.19 B. Hrabal, “Zápisky z besedy v Radaru”, B. Hrabal, Domácí

úkoly [spisy 15], Praha 1995, pp. 256-260 (la citazione è a p.

259).

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La cultura ceca underground degli anni Settanta e Ottanta

Ivan M. Jirous

♦ eSamizdat (VII) -, pp. -♦

NON sono uno studioso né un critico lette-rario, e se negli ultimi anni alcuni mi con-

siderano un poeta è più che altro per caso; sobene che essere poeta è una vocazione moltopiù profonda rispetto alla mera capacità di scri-vere qualcosa che assomigli alle poesie. Per for-mazione sono uno storico dell’arte, ma negli ul-timi vent’anni non me ne sono occupato affat-to. Se comunque ho qualcosa da dire su come ènata la letteratura underground in Boemia, di-pende dal fatto che ero presente più o meno almomento della sua nascita.

Dal punto di vista odierno, quando ci trovia-mo davanti a una miriade di periodici samizdate a un’immensa quantità di effimeri testi battutia macchina, ed è quasi impossibile abbracciarel’intero spettro della letteratura underground,può sembrare quasi inverosimile il racconto dicome tutto è cominciato: di come è cominciatanon la produzione ma la delimitazione consa-pevole di una parte della letteratura ceca comeunderground.

Abbiamo trasposto il concetto di under-ground nel contesto ceco dagli Stati uniti, e atutt’oggi alcuni critici ce lo rimproverano. Ma anoi sembrava che afferrasse meglio la differen-za tra l’arte ufficiale e ciò a cui tendevamo; uti-lizzare la traduzione letterale ceca del termine,e cioè “sottosuolo”, ovvero clandestinità, nell’e-poca dell’ascesa del più duro totalitarismo delperiodo successivo all’agosto 1968 sarebbe sta-to suicida. Del resto negli ultimi vent’anni laparola e il concetto di underground sono diven-tati parte viva della cultura ceca. Il termine fuaccolto spontaneamente soprattutto dalle per-sone ai margini della società, quindi spesso si ègiunti e si giunge a una sua riduzione a margi-ne della cultura, creato da persone asociali, noninseribili, inadattabili e, non in ultima analisi,anche incapaci di creare opere che riescano ad

affermarsi in modo incisivo anche al di fuori delcontesto dell’underground così definito.

Il dissidio tra ciò che è e non è underground,chi ne fa parte e chi no, nasce in Boemia in con-comitanza dell’inizio del periodo del cosiddet-to consolidamento. Non cercherò ora di chiari-re questo dissidio, voglio solo porre l’attenzio-ne sull’evoluzione sociologica che è avvenutain esso durante gli anni Settanta e Ottanta.

All’inizio degli anni Settanta infatti il termineunderground veniva utilizzato esclusivamentein relazione alla musica rock, in concreto nelcontesto del gruppo rock The Plastic People ofthe Universe. E a tale proposito è necessariofar osservare il tratto fondamentale attraversoil quale il sottobosco d’allora, dal quale questogruppo e più tardi altri gruppi (DG 307, Ume-lá hmota, Bílé svetlo e simili) sono cresciuti, sidistingueva dall’ambiente contemporaneo del-la cultura rock underground. Nei primi anniSettanta il sostrato underground era in realtàuna gioventù operaia, spesso abbandonata a sestessa, e ciò che abbiamo denominato under-ground rappresentava la loro idea inconsape-vole e il tentativo di vivere in modo diverso ri-spetto al grigio della normalizzazione che ve-devano intorno a sé e che iniziava a ricoprire iframmenti colorati di libertà intravisti alla finedegli anni Sessanta. Ma gli intellettuali (i qualiin America costituivano il nerbo della contro-cultura), che in Boemia avevano capito qualecarica spirituale ed etica si celasse nella cultu-ra rock underground, si potevano contare sulledita di una mano.

Abbiate pazienza: so che devo parlare di let-teratura. Solo che non si può parlare della lette-ratura underground in Boemia senza fare riferi-mento al contesto dal quale essa ha comincia-to a diffondersi. La musica rock underground,e cioè la musica dei Plastic People, ha creato

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eSamizdat 2009 (VII) 2-3 ♦ Temi: Primavera di Praga ♦

intorno a sé il germe di una comunità under-ground e soltanto da questa comunità è emersapiù tardi la letteratura.

Non che la letteratura nel contesto under-ground fosse qualcosa di sconosciuto. Certoche era letta, venivano musicati i testi dellepoesie. Ma l’atto di scrivere, in sé, all’internodell’underground dell’epoca veniva in generecelato. In un contesto in cui esprimersi attra-verso la musica rock era normale, i poeti consi-deravano la propria attività come un fatto pri-vato e spesso neppure le persone più vicine sa-pevano che scrivevano. Una breccia indiscussain questa situazione fu la raccolta di poesie In-validní sourozenci Egonu Bondymu k 45. naro-zeninám [I fratelli invalidi a Egon Bondy per ilsuo 45˚ compleanno], trascritta a macchina nel1975. La curai insieme a Jirí Nemec, e il lavo-ro più difficile fu individuare chi scrivesse nel-la cerchia underground. La raccolta includevapoesie e testi di canzoni, alcuni di carattere ef-fimero. Ma così per la prima volta si presenta-rono davanti a un pubblico più vasto VratislavBrabenec, conosciuto come il sassofonista deiPlastic, Vera Jirousová, Andrej Stankovic, FandaPánek e Josef Vondruška1, per nominare i poetiil cui destino è stato poi indissolubilmente con-

1 Sulla raccolta citata (correttamente Egonu Bondymu k 45. na-rozeninám Invalidní sourozenci [A Egon Bondy per il 45˚ com-pleanno i Fratelli invalidi] e sulle raccolte seguenti si veda-no anche il passaggio del lavoro di M. Machovec, “Od avant-

gardy pres podzemí do undergroundu”, Pohledy zevnitr. Ce-ská undergroundová kultura ve svedectvích, dokumentech ainterpretacích, a cura di M. Machovec, Praha 2008, pp. 97-149, contenuto a pp. 126-127, 133, 135-136; e la bibliogra-fia a p. 167. L’opera poetica di Vratislav Brabenec degli an-ni 1966-1987 fu pubblicata in due volumi: Sebedudy, Praha1992; Karlín-Prístav, Praha 1955; i suoi testi e gli arrangiamen-ti di vari testi di altri autori destinati alla messa in musica deiPlastic People uscirono nel volume The Plastic People of theUniverse, Texty, Praha 1997, 2001 (seconda edizione amplia-ta). L’opera poetica e narrativa di Vera Jirousová degli anni1964-1994 fu ugualmente pubblicata in due volumi: Co je tu,co tu není, Praha 1995; Krajina pred bourí, Praha 1998. L’ope-ra poetica di Andej Stankovic degli anni 60-90 fu pubblicatain quattro volumi: Osvobozený Babylon – Slovenský raj, Praha1992; Variace / Kecybely / Elegie / Nikdycinky, Brno 1993; Nocnízvuk pionýrské trubky – Patagonie, Praha 1994; To by tak hrá-lo, aby neprestalo, Brno 1995. L’opera di Fanda Pánek fu pu-re pubblicata in due volumi: Dnu rímských se bez cíle plavíte,Praha 1993; A tak za polární noci, Praha 1994, anche in edizio-ne completa con tutte la poesie samizdat in versione origina-le: Vita horribilis, Praha 2007. La raccolta dall’opera poeticadi Josef Vondruška degli anni 1975-1979 fu pubblicata in ununico volume: Rock’n’rollový sebevrach, Brno 1993.

nesso all’underground. Un’altra grande poetes-sa presente nella raccolta, la grafica Nad’a Plí-sková, appartiene in effetti a un altro ambienteculturale2.

Oggi può sembrare incredibile ma allora peri lettori di samizdat la raccolta fu uno shock.La sua influenza sulle altre produzioni under-ground, al di là della qualità, è incontestabi-le. Seguirono altre raccolte, di solito dedicateai quarantacinquesimi compleanni dei festeg-giati facenti parte dell’underground. La lettera-tura underground, soprattutto la poesia, iniziòad apparire nelle più disparate edizioni battutea macchina e, dopo la nascita della prima rivi-sta samizdat, Vokno (1979)3, regolarmente sullesue pagine.

Ritorniamo ai poeti della prima raccolta. Aloro dobbiamo aggiungere ancora Egon Bon-dy che li anticipa di due generazioni ma la cuiopera proprio all’inizio degli anni Settanta, pro-babilmente grazie anche ai Plastic People cheavevano musicato alcune sue poesie, comin-cia ad avvicinare il pubblico underground conun’intensità incomparabile ai decenni prece-denti, quando gli scritti di Bondy in realtà era-no conosciuti solo da una manciata di espertidi letteratura. Attraverso Bondy e i suoi com-pagni di strada degli anni Cinquanta (Karel Hy-nek, Honza Krejcarová), si può anche seguirela linea della poesia underground risalendo agliinizi del passato comunista della nazione. Tut-tavia allora non la si chiamava così e poi gli anniSessanta, e in particolare la loro seconda metà,crearono l’impressione che la nascita di qual-cosa di simile a una letteratura sotterranea inBoemia non sarebbe stata necessaria. Oggi sap-piamo che fu solo un’impressione: nel tripu-dio della Primavera di Praga per esempio nes-suno si accorse che il poeta Bondy non fu pub-blicato neppure allora. Il numero della rivistaTvár nel quale vide i propri testi almeno nellabozza di stampa, non fece in tempo ad esserepubblicato.

2 L’opera poetica di Nad’a Plísková degli anni 70-90 fu pub-blicata in tre volumi: Plísková podle abecedy, Praha 1991;Hospodská romantika, Brno 1998; Plísková sobe, Praha 2000.

3 La rivista Vokno fu la prima rivista samizdat underground e ingenerale il primo periodico samizdat ceco dopo il 1968.