adoro te devote di mons. marco frisina n

96
FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 5-2003 1 N ella recente enciclica Ecclesia de Eucharistia il Papa ci ricor- da che “il culto reso all’Eucari- stia fuori della messa è di un valore inestimabile nella vita della Chiesa. Tale culto è strettamente congiunto con la celebrazione del Sacrificio euca- ristico” (n. 25). La presenza di Cristo nella Chiesa è il sostegno formidabile con cui essa può camminare nella storia, vivificata dalla grazia, corroborata dalla poten- za salvifica che dal Sacramento scatu- risce. Le specie eucaristiche, il pane e il vino, nella loro povertà e semplicità rendono ancora più viva e grande la sublime bellezza dell’Eucaristia. Que- sto celarsi sotto i segni del pane e del vino svela la grandezza del gesto di Cristo. Il suo amore infinito si offre a ciascun uomo nascondendosi umil- mente, nello stile sublime dell’Incar- nazione, per poter essere più vicino, per poter essere accanto a ogni uomo. Soffermarsi in preghiera adorante alla presenza di Cristo in modo intimo e profondo, ci fa entrare sempre più nel mistero di questo amore. L’adora- zione eucaristica, come ci ricorda il pa- pa, ci fa compiere il gesto di Giovanni: “È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo predi- letto (cf. Gv 13,25), essere toccati dal- l’amore infinito del suo cuore”. È la presenza salvifica del Signore che ci trasforma, configurandoci sempre più a Lui, imprimendo in noi in modo sempre più profondo il volto del Figlio di Dio. Adoro te devote latens Deitas, quae sub his figuris vere latitas, tibi se cor meum totum subiicit, quia te contemplans totum deficit. Ti adoro con tutto il cuore o Deità che ti nascondi, che sotto questi segni veramente ti celi, a te il mio cuore tutto si sottomette, perché contemplandoti tutto vien meno. È il prodigio semplice e quotidiano della preghiera e, nello stesso tempo, l’efficacia mirabile del Sacramento che è segno dell’Amore di Cristo e sorgen- te viva di comunione per la Chiesa. Il cuore vien meno per l’infinita distan- za del mistero, e nello stesso tempo ama e si commuove per l’incredibile vicinanza del gesto d’amore che nel sacramento ci si offre. Il Verbo fatto carne viene a prendere la sua dimora accanto a noi, e noi possiamo farne l’esperienza e adorarlo. Adorando il Signore presente nel- l’Eucaristia noi proclamiamo al mon- do la sua forza salvifica e la sua cen- tralità nella storia, sia personale, sia della Chiesa e del mondo. L’Eucari- stia diviene il fulcro attorno a cui ruota la creazione e a cui tutto ten- de come al suo centro. Il gesto di adorazione della Chiesa non fa che proclamare tutto questo facendo volgere ogni cosa verso l’Eucaristia; ogni cristiano guardando verso Cri- sto, camminando con il cuore e con la mente nella stessa direzione insie- me all’Eucaristia, realizza l’autentica comunione. Adoro te devote di mons. Marco Frisina

Upload: others

Post on 05-Nov-2021

22 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 1

N ella recente enciclica Ecclesiade Eucharistia il Papa ci ricor-da che “il culto reso all’Eucari-

stia fuori della messa è di un valoreinestimabile nella vita della Chiesa.Tale culto è strettamente congiuntocon la celebrazione del Sacrificio euca-ristico” (n. 25).

La presenza di Cristo nella Chiesa èil sostegno formidabile con cui essapuò camminare nella storia, vivificatadalla grazia, corroborata dalla poten-za salvifica che dal Sacramento scatu-risce. Le specie eucaristiche, il pane e ilvino, nella loro povertà e semplicitàrendono ancora più viva e grande lasublime bellezza dell’Eucaristia. Que-sto celarsi sotto i segni del pane e delvino svela la grandezza del gesto diCristo. Il suo amore infinito si offre aciascun uomo nascondendosi umil-mente, nello stile sublime dell’Incar-nazione, per poter essere più vicino,per poter essere accanto a ogni uomo.

Soffermarsi in preghiera adorantealla presenza di Cristo in modo intimoe profondo, ci fa entrare sempre piùnel mistero di questo amore. L’adora-zione eucaristica, come ci ricorda il pa-pa, ci fa compiere il gesto di Giovanni:“È bello intrattenersi con Lui e, chinatisul suo petto come il discepolo predi-letto (cf. Gv 13,25), essere toccati dal-l’amore infinito del suo cuore”. È lapresenza salvifica del Signore che citrasforma, configurandoci sempre piùa Lui, imprimendo in noi in modosempre più profondo il volto del Figliodi Dio.

Adoro te devote latens Deitas,quae sub his figuris vere latitas,tibi se cor meum totum subiicit,quia te contemplans totum deficit.

Ti adoro con tutto il cuore o Deità che ti nascondi,che sotto questi segni veramente ti celi,a te il mio cuore tutto si sottomette,perché contemplandoti tutto vien meno.

È il prodigio semplice e quotidianodella preghiera e, nello stesso tempo,l’efficacia mirabile del Sacramento cheè segno dell’Amore di Cristo e sorgen-te viva di comunione per la Chiesa. Ilcuore vien meno per l’infinita distan-za del mistero, e nello stesso tempoama e si commuove per l’incredibilevicinanza del gesto d’amore che nelsacramento ci si offre. Il Verbo fattocarne viene a prendere la sua dimoraaccanto a noi, e noi possiamo farnel’esperienza e adorarlo.

Adorando il Signore presente nel-l’Eucaristia noi proclamiamo al mon-do la sua forza salvifica e la sua cen-tralità nella storia, sia personale, siadella Chiesa e del mondo. L’Eucari-stia diviene il fulcro attorno a cuiruota la creazione e a cui tutto ten-de come al suo centro. Il gesto diadorazione della Chiesa non fa cheproclamare tutto questo facendovolgere ogni cosa verso l’Eucaristia;ogni cristiano guardando verso Cri-sto, camminando con il cuore e conla mente nella stessa direzione insie-me all’Eucaristia, realizza l’autenticacomunione.

Adoro te devote di mons. Marco Frisina

Page 2: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

2 Culmine e Fonte 5-2003

Questa non deriva dalla somma deiconsensi ma dall’unità dell’amore e delcammino alla sequela di Cristo Gesù.

L’adorazione ci da’ modo di “com-prendere” con il cuore l’immensa ve-rità nascosta nei segni eucaristici e far-la penetrare in noi, nella profonditàdei nostri pensieri e dei nostri gesti.

O memoriale mortis Domini,panis vivus vitam praestans homini,praesta meae menti de te vivere,et te illi semper dulce sapere.

O memoriale della morte del Signore,pane vivo che dona la vita all’uomo,fa’ che la mia mente possa di te vivere,e possa sempre avere il dolce gusto di te.

Page 3: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

L a fede della Chiesa ha semprecreduto che c’è una differenzatra l’Eucaristia e gli altri sacra-

menti. Mentre in questi la forza dellaPasqua si rende presente nel momen-to della loro celebrazione, per l’euca-ristia si crede che essa, con la personadel Cristo e la forza dello Spirito, siapresente nel pane consacrato fino ache non venga consumato.

Lo esprime bene la Didachè, quan-do al cap. 9, con il termine “eucari-stia” indica non solo la preghiera diringraziamento (etimologicamente,questo è il significato di eucaristia), nésolo il rito tutto intero, ma anche ilpane e il vino sui quali è stata pronun-ciata la preghiera eucaristica. Dice, in-fatti: “nessuno mangi e beva della vo-stra eucaristia, se non chi è stato bat-tezzato…”.

Anzi questo terzo significato èquello che è rimasto, perché gli altridue significati di eucaristia sono statiespressi poi con altri termini (rispetti-vamente: canone e messa).

Nella Chiesa antica, la celebrazioneeucaristica aveva luogo normalmenteuna volta la settimana, in quel primogiorno che, per la “cena del Signore”(dominicum), si chiamò “dominica”. Aquesta celebrazione mangiavano ilcorpo di Cristo i presenti, e se ne man-dava agli assenti. (cfr. San Giustino,Apologia I, cap. 67).

Tertulliano ci testimonia il fatto chei cristiani ricevevano la domenica il pa-ne eucaristico per tutta la settimana.

Lo portavano a casa, e ne mangiavanoun poco ogni giorno. Tutti sappiamodel martire Tarcisio, che portava l’eu-caristia ai malati e/o ai confessori dellafede (= ai cristiani imprigionati).

La comunione agli assenti è stato ilmotivo per cui nella Chiesa si è conser-vata l’eucaristia. Questa era considera-ta la “cosa” più sacra e si conservavain un luogo sacro, la “sagrestia”, ap-punto (quando le sagrestie erano lecustodie delle cose “sacre”!).

Sappiamo poi che - a poco a poco -la comunione fu sempre più frequen-temente distribuita fuori della messa.Tanti fattori concorrevano a questaprassi, non ultimo il digiuno eucaristi-co dalla mezzanotte. Quando la messasi celebrava all’alba, non era pesante;ma quando si celebrerà a ore più tardi(si pensi a mezzogiorno), chi aspetteràfino a quell’ora senza far colazione otoccare almeno un po’ d’acqua?

Anche se c’era la messa quotidiana,quei pochi fedeli che si comunicavanolo facevano fuori della messa, all’alta-re del SS. Sacramento, o prima, o do-po, o lontano dalla messa.

La prassi stessa quindi ha portato aseparare anche concettualmente lamessa dall’eucaristia.

Il Concilio di Trento poi, dovendorispondere alle obiezioni dei Prote-stanti, promulgò due differenti decre-ti: uno (1551) sul “Sacramento dell’Eu-caristia”, dove afferma la presenza“vera, reale e sostanziale”, anche sesacramentale del corpo di Cristo sotto

Culmine e Fonte 5-2003 3

Il sacramento permanente di p. Ildebrando Scicolone, osb

Page 4: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

4 Culmine e Fonte 5-2003

le specie del pane; l’altro (1562) sul“sacrosanto sacrificio della messa”,dove riafferma che la messa è sacrifi-cio, in quanto “ripresenta” quello del-la croce.

Da questi due decreti deriverannonel catechismo due diverse domande:1) che cos’è l’eucaristia? 2) che cos’è lamessa? La schizofrenia che si è pro-dotta nella mente dei cattolici è tota-le. Dire messa e dire eucaristia non èla stessa cosa. La comunione si identi-fica con l’eucaristia, non necessaria-mente con la messa. E quando i fedelichiederanno la comunione durante lamessa, si introdurrà - dopo la comu-nione del sacerdote - tutto il ritualedella comunione, a cominciare dal“Confiteor”, anche se i ministri lo ave-vano recitato all’inizio!

Quello che era eccezionale - la co-munione fuori della Messa - era di-ventato normale, e viceversa!

Con la possibilità della celebrazio-ne eucaristica a tutte le ore del giornoe con la riduzione del digiuno eucari-stico, la comunione fuori della messaè tornata a essere solo eccezionale; in

pratica si porta ai malati, sia come co-munione normale con la comunità ce-lebrante (quanto è bello che, la dome-nica, i ministri della comunione pren-dano il corpo di Cristo dall’altare e loportino ai malati, cosicché loro si sen-tano uniti alla comunità, e questa si ri-cordi dei suoi malati!), sia soprattuttoin forma di viatico, quando fosseroprossimi al grande viaggio.

Essendo quindi la presenta di Cristolegata - in modo permanente - al se-gno del pane e del vino consacrati, èchiaro che la Chiesa presta a questosacramento la stessa adorazione chetributa a Cristo e a Dio. Si tratta infat-ti dello stesso Signore presente, siapure in modo sacramentale. Ecco allo-ra il “culto eucaristico fuori della Mes-sa”: esposizione (brevi o lunghe),adorazione eucaristica, processioneeucaristica, congressi eucaristici, equant’altro la fede e la pietà cristianaha saputo e sa inventare. Tutta questamateria è regolata da un apposito Ri-to, che si ispira - nei suoi principi - al-l’Istruzione Eucharisticum Mysteriumdel 1966.

La messa, o cena del Signore, è contemporaneamente e inseparabilmente:- sacrificio in cui si perpetua il sacrificio della croce;- memoriale della morte e della risurrezione del Signore che disse “Fate

questo in memoria di me” (Lc 22, 19);- sacro convito in cui, per mezzo della comunione del corpo e del sangue

del Signore, il popolo di Dio partecipa ai beni del sacrificio pasquale, rin-nova il nuovo patto fatto una volta per sempre nel sangue di Cristo daDio con gli uomini, e nella fede e nella speranza prefigura e anticipa ilconvito escatologico nel regno del Padre, annunziando la morte del Si-gnore “fino al suo ritorno”.

Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium del25 maggio 1967, n. 3

Page 5: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 5

G iovanni Paolo II nella Letteraenciclica Ecclesia de Euchari-stia (= EdE), del 17 aprile 2003,

mostra come l’Eucaristia realizza erende operante la presenza reale eperenne del Signore in noi e tra noi:“Con gioia la Chiesa sperimenta inmolteplici forme il continuo avverarsidella promessa: ‘Ecco, io sono con voitutti i giorni, fino alla fine del mondo’(Mt 28,20): ma nella sacra Eucaristia,per la conversione del pane e del vinonel corpo e nel sangue del Signore, es-sa gioisce di questa presenza conun’intensità unica. Da quando, con laPentecoste, la Chiesa, popolo dellanuova alleanza, ha cominciato il suocammino pellegrinante verso la patriaceleste, il divin sacramento ha conti-nuato a scandire le sue giornate, riem-piendole di fiduciosa speranza” (n. 1)1

Infatti l’Eucaristia identifica se stes-sa come la continuazione della salvez-za narrata dalla Parola divina2: l’Euca-ristia costituisce l’ultimo momentodella salvezza, compie quindi l’interomistero rivelato nel presente storicodella Chiesa. Così si spiega perché nel-le preghiere dell’assemblea celebran-te, sovente ritornano espressioni comela seguente: “Ogni volta che celebria-mo questo memoriale del sacrificiodel Signore, si compie l’opera dellanostra redenzione”3 (cf. SC 2). Già sanLeone Magno (+ 461) nelle sue omelieera solito predicare: “Ciò che era visi-bile del nostro Redentore, è passato

ora nei riti sacramentali”4. E altrove ilgrande papa liturgista affermava:“Tutto ciò che Gesù ha operato nellasua vita storica per salvare gli uomini,ora è passato nella liturgia della Chie-sa”5. Anche Giovanni Paolo II rileva:con il dono dell’Eucaristia, che scaturi-sce dal Triduo pasquale, Gesù “conse-gnava alla Chiesa l’attualizzazione pe-renne del mistero pasquale. Con essoistituiva una misteriosa ‘contempora-neità’ tra quel Triduum e lo scorrere ditutti i secoli” (EdE 5).

Poi il Pontefice precisa: “L’efficaciasalvifica del sacrificio si realizza in pie-nezza quando ci si comunica riceven-do il corpo e il sangue del Signore”(EdE 16). E l’Istruzione della SacraCongregazione dei Riti Eucharisticummysterium (1967) afferma: “I fedeli,quando venerano Cristo presente nelSacramento, ricordino che questa pre-senza deriva dal sacrificio e tende allacomunione, sacramentale e spiritualeinsieme” (n. 50). Già il concilio di Tren-to (1545-63) insegnava: l’Eucaristia “èstata istituita per essere mangiata”(DS 1643). Ma l’intenzione complessi-va di Giovanni Paolo II è di ridare slan-cio, stimolare un rinnovato impegnoecclesiale, trasfigurandolo in una sen-sazione di stupore che è il fine stessodel documento: “Questo stupore eu-caristico - dichiara il Pontefice - desi-dero ridestare con la presente letteraenciclica” (EdE 6). È uno stupore cheemerge dalla contemplazione del vol-

La presenza reale e permanentedel Signore nell’Eucaristia di p. Sergio Gaspari, smm

Page 6: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

6 Culmine e Fonte 5-2003

to eucaristico di Cristo. Contemplazio-ne che si realizza per antonomasianell’adorazione e nella custodia devo-ta, premurosa e attenta del SS. Sacra-mento. L’Eucaristia è il sacramentodella presenza reale e permanente delSignore. Proprio di questo vorremmooccuparci in questo nostro intervento.

1. Presenza reale

Sul tema della presenza sacramen-tale del Corpo e del Sangue di Cristonell’Eucaristia Giovanni Paolo II con-ferma la dottrina del concilio di Trentosulla transustanziazione, pur lodandogli sforzi critici di coloro che cercano dispiegare il mistero in modo più com-prensibile. Resta il confine additato daPaolo VI in una citazione presa daln.25 della Solenne professione di fede(1968) e riportata al n.15 della EdE.

Il concilio di Trento, mentre appro-vava l’amore verso l’Eucaristia di tantedevozioni medievali e dei secoli succes-sivi, rilevava in esse espressioni malde-stre della fede6. Quello stesso conciliovoleva altresì guarire la “fede malata”della Riforma protestante, tutta presadall’ideale di una fede “pura e dura”.

L’11 ottobre 1551 Trento votò i dueseguenti canoni:

1) Nel SS. Sacramento dell’Eucari-stia è presente veramente, realmentee sostanzialmente il Corpo e il San-gue, con anima e divinità di nostro Si-gnore Gesù Cristo, e di conseguenza ilCristo totale; egli è presente in questoSacramento non solo come segno o fi-gura o virtù (DS 1651).

2) La sostanza del pane e del vinonon coesiste con il Corpo e il Sangue

di nostro Signore Gesù Cristo, ma siattua la conversione di tutta la sostan-za del pane nel Corpo e di tutta la so-stanza del vino nel Sangue; conversio-ne singolare e mirabile che la Chiesacattolica esprime con il termine moltoadatto di transustanziazione (DS1652), termine tecnico accolto dallateologia cattolica già nei secoli XI-XII.

L’insegnamento di Trento ruota at-torno a due poli.

Il primo riguarda la presenza rea-le: il Cristo totale è presente real-mente e non soltanto come figura osecondo il suo dinamismo spirituale.Ad esempio: “Questo è il mio corpo”e “Io sono la vera vite” non esprimo-no la medesima realtà. “Io sono lavera vite” designa un segno, una fi-gura, un dinamismo; mentre “Questoè il mio corpo, questo è il mio san-gue” indica che il pane e il vino sonotrasformati nel Corpo e nel Sangue diCristo. Il secondo polo riguarda latransustanziazione. Per spiegare “lamirabile e singolare conversione”,Trento ricorre al concetto aristotelicodi “sostanza” e di “accidente”. La so-stanza è ciò che è atto ad esistere insé e non in un altro, e ciò che è ilfondamento di tutto ciò che esiste inun altro. L’accidente è ciò che nonesiste in sé, ma in un altro. Nella fra-se “Questo pane è bianco”, la sostan-za è ciò che “sta sotto” (sub-stare,ipo-stasi), è ciò che è bianco; l’acci-dente è il bianco della cosa alla qualeappartiene. Nella transustanziazioneeucaristica la sostanza, l’interno, l’in-tellegibile del pane diventano il Cor-po di Cristo, ma gli accidenti, l’ester-no, il sensibile del pane rimangono.Anzi conservano pienamente la loro

Page 7: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 7

finalità: per noi, che per necessità sia-mo indissolubilmente legati al sensi-bile, sono il punto di accesso al Cristodivino, la breccia attraverso la qualela realtà divina dell’Eucaristia entranel nostro mondo sensibile.

Secondo Trento, nella consacrazionedella Messa si opera un cambiamento“da sostanza a sostanza”, resta però lasussistenza degli accidenti nella quan-tità del pane e del vino, ma - puntua-lizza il card. J. Ratzinger - “anche nellaChiesa antica si è sempre avuta la con-sapevolezza che il pane trasformatouna volta, resta trasformato”7.

Nell’enciclica Mysterium fidei (1965)Paolo VI riprende questa terminologia,e dice che essa è adatta pure ai nostritempi (cf. nn.4; 24-30). Su questa baseil Catechismo della Chiesa Cattolica ri-badisce la dottrina eucaristica dellaChiesa latina: “Sotto le specie consa-crate del pane e del vino, Cristo stesso,vivente e glorioso, è presente in ma-niera vera, reale e sostanziale, il suoCorpo e il suo Sangue, con la sua ani-ma e la sua divinità” (n.1413)8.

“La parola ‘transustanziazione’ -scrive G. Lafont -...è ormai uscita dallasensibilità degli uomini. Bisognerebbetrovare un termine sostitutivo”9. Subi-to dopo però egli aggiunge: “Vorreiinvece mantenere questa parola, marestituendole anzitutto il valore emo-zionale e il radicamento simbolico”10.Come il termine Theotokos è, e rima-ne un’affermazione appassionata del-la fede, così senza dubbio bisogna re-stituire alla parola “transustanziazio-ne” un simile clima. Questa ricchezzadi termini (transustanziazione e Theo-tokos) è nata da un entusiasmo di fe-de e va accolta nella fede orante.

La dottrina sulla “transustanziazio-ne” va mantenuta in quanto si trovain continuità con la trasformazione ocreazione nuova, che avviene in Cri-sto, nella sua morte e risurrezione, an-cor prima nella sua gloriosa trasfigu-razione; richiama la trasformazione onascita nuova del battezzato, quelladel fedele che nella comunione euca-ristica viene assimilato al Corpo stessodi Cristo. Questa trasformazione nonè altro che il processo di divinizzazio-ne o di cristificazione che matura inchi si sta convertendo al Signore attra-verso la frequenza dei sacramenti, lapreghiera personale e le opere dellacarità fraterna. “Lungi dall’essere unaparola arida e angusta, ‘transustanzia-zione’ - specifica G. Lafont - direbbe ilsenso ultimo della dinamica del mon-do”11, cioè il termine transustanziazio-ne esprime quell’admirabile commer-cium tra Dio e l’uomo che diffonde sututte le cose una luce di trasfigurazio-ne e di cui la conversione del panedell’uomo nel Corpo di Cristo e del vi-no nel suo Sangue costituiscono il sim-bolo, il compimento e la chiave di vol-ta. “Solo il vero Corpo presente nel sa-cramento (grazie alla transustanzia-zione) - aggiunge J. Ratzinger - puòcostruire il vero corpo della nuovacittà di Dio”12.

2. Permanenza della presenza reale

Nei tempi più antichi del cristiane-simo i fedeli potevano portare a casacon sé l’Eucaristia per comunicarsi per-sonalmente, per portarla ai malati o acoloro che erano stati assenti dall’as-

Page 8: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

8 Culmine e Fonte 5-2003

semblea liturgica, oppure per portarlacon sé in viaggio come protezione. IPadri esortavano sollecitamente i fe-deli a non profanare, ma a conservarecon somma cura l’Eucarestia che ave-vano con sé: “In verità è il Corpo diCristo che i fedeli devono mangiare enon disprezzare”, ammoniva severa-mente Ippolito di Roma nel III secolo13.Nel VI secolo si diffuse l’uso di accen-dere una lampada davanti alla santacustodia, e nel IX secolo il papa LeoneIV dispose di conservare l’Eucaristiasull’altare.

Le pratiche della venerazione edell’adorazione eucaristica, quali laprocessione del Corpus Domini, l’espo-sizione e la benedizione, la visita inchiesa per venerare la presenza reale,che sono andate sviluppandosi lungo isecoli, esprimono la fede della comu-nità nella presenza reale, anche dopola celebrazione eucaristica.

Per san Tommaso d’Aquino (+1274) questa fede sembra talmente

evidente che egli non ha ritenuto didoverle dedicare un articolo della suaSumma Theologiae. Si accontenta didare questa regola: “Fin quando ri-mangono le specie del pane e del vi-no, rimangono anche il corpo e il san-gue di Cristo” (III, q.77, a.5).

Martin Lutero (+ 1546) e GiovanniCalvino (+ 1564), al tempo della Rifor-ma, limitavano la presenza reale, nelsenso da loro ammesso, al momentodella celebrazione della santa Cena.

Contro di loro il concilio di Trentoaffermò: la presenza del Corpo e delSangue di Cristo nelle ostie o nelleparticole consacrate non si restringe almomento dell’uso (in usu), quando siriceve il Sacramento (dum sumitur),ma si conservano anche dopo la santacomunione (DS 1654).

Trento difende la legittimità delculto eucaristico (DS 1656) e dellaconservazione nel tabernacolo, prin-cipalmente per la comunione ai ma-lati (DS 1657). Il Direttorio su pietà

Si istruiscano i fedeli, perché conseguano una più profonda comprensionedel mistero eucaristico, anche riguardo ai principali modi con cui il Signore stessoè presente nella sua Chiesa nelle celebrazioni liturgiche.È infatti sempre presente nell’assemblea dei fedeli riuniti nel suo nome. È presentepure nella sua parola, perché parla lui stesso mentre nella chiesa vengono lette le sa-cre Scritture.Nel mistero eucaristico poi, è presente sia nella persona del ministro, perché“colui che ora offre per mezzo del ministero dei sacerdoti, è il medesimo cheallora si offrì sulla croce” (Conc. Trid. sess. 22, Decr. de Missa, 2); sia, e soprat-tutto, sotto le specie eucaristiche. In quel Sacramento infatti, in modo unico, èpresente il Cristo totale e intero, Dio e uomo, sostanzialmente e ininterrotta-mente. Tale presenza di Cristo sotto la specie “si dice reale, non per esclusio-ne, quasi che le altre non siano reali, ma per antonomasia” (Paolo VI, enc. My-sterium fidei, 764).

Eucharisticum mysterium, n. 9

Page 9: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 9

—————————————1 L’Eucaristia “non è solo l’evocazione, ma la ri-presentazione sacramentale” della passione e

della morte del Signore (EdE 11), è il dono presente della stessa santa umanità di Cristo. Chimangia il pane eucaristico entra in un contatto personale con il suo stesso unico sacrificio.

2 Con l’Ascensione si chiude il tempo della visione del Risorto, e inizia quello dell’ascolto del Si-gnore che parla alla sua assemblea celebrante. Non vi è differenza tra le apparizioni del Risor-to ai discepoli e la sua presenza sacramentale nella Cena. H. U. von BALTHASAR annota: “L’ap-parizione presente (ogni volta attuale) del Risorto non può avere una forma diversa nelle ap-parizioni dei cosiddetti quaranta giorni e nell’attualizzazione di sé ogni volta nuova di Gesùnella cena cultuale della comunità (e nella parola che ivi viene annunciata”), Teologia dei tregiorni. Mysterium Paschale, Brescia 1990, 193. La teologia luterana rileva che Gesù, durante lasua vita storica, stava “con” noi, dall’Ascensione dimora “dentro” di noi.

3 È l’orazione “sulle offerte” del giovedì santo, della II Domenica “per annum” e della II Messavotiva della SS. Eucaristia.

4 Cf. LEONE MAGNO, Discorso 2 sull’Ascensione 2,2, in PL 54, 398.5 ID., Discorso 12 sulla passione, 3, 6, 7, in PL 54, 355-357.6 Come ad esempio la consuetudine di deporre l’ostia nella bocca dei defunti o sul loro petto come

viatico, oppure quella di mettere tre particelle di ostia con tre grani di incenso tra le reliquie nel“sepolcro” dell’altare.

7 J. RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo 2001, 84.8 Cristo è presente in modo supremo, unico; in un modo attivo del tutto particolare: come sacer-

dote e come vittima; presenza quindi dinamica, sostanziale e ininterrotta; presenza personalee attuale; presenza reale, perfettamente oggettiva, che non dipende, come nella preghieraprivata, dalle buone disposizioni o dallo stato di grazia dell’orante.

9 G. LAFONT, Eucaristia il pasto e la parola. Grandezza e forza dei simboli, Leumann 2002, 143.10 Ivi, 143.11 G. LAFONT, Eucaristia, 144.12 J. RATZINGER, Introduzione, 84.13 IPPOLITO di Roma, citato dalla Mysterium fidei, 31.

popolare e liturgia. Principi e orien-tamenti (= Dir) della Congregazioneper il Culto divino e la Disciplina deiSacramenti (9.4.2002), rifacendosi avari interventi del magistero pontifi-cio, ribadisce: “La conservazione del-le sacre Specie, motivata soprattuttodalla necessità di poter disporre inogni momento per amministrare ilViatico agli infermi, fece sorgere neifedeli la lodevole consuetudine diraccogliersi davanti al tabernacoloper adorare Cristo presente nel Sa-cramento” (n.164).

Le varie forme di devozione eucari-stica, così radicate nel popolo credentee ripetutamente raccomandate dal ma-gistero, sono “una risposta di fede e diculto sul mistero della presenza realedi Cristo nell’Eucaristia” (Dir 160). Nel-l’adorazione del SS. Sacramento i fede-li avvertono l’intima familiarità con ilSignore, a lui aprono il loro cuore, ot-tengono un aumento di fede, e ali-mentano così le giuste disposizioni percelebrare il memoriale del Signore e ri-cevere frequentemente quel Pane checi è dato dal Padre (cf. Dir 164).

Page 10: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

10 Culmine e Fonte 5-2003

I l Rito della comunione fuori del-la messa e culto eucaristico faparte del Rituale Romano, rifor-

mato a norma dei decreti del Conci-lio Ecumenico Vaticano II. Il decretodi promulgazione dell’edizione tipi-ca in lingua latina è del 21 giugno1973. Il documento, in un passaggio,così recita: “La celebrazione dell’Eu-carestia nel sacrificio della Messa èveramente l’origine e il fine del cultoeucaristico fuori della Messa. Dopola Messa si conservano le sacre speciesoprattutto perché i fedeli, e in mo-do particolare i malati e gli anziani,si uniscano, per mezzo della comu-nione sacramentale, a Cristo e al suosacrificio, immolato e offerto nellaChiesa. La conservazione delle sacrespecie, divenuta abituale per rende-re possibile la comunione, favorì lapratica di adorare il sacramento del-l’Eucarestia e di prestare ad essa ilculto di latria dovuto a Dio”1. Sono ipunti essenziali e decisivi per una au-tentica prassi liturgica in questo am-bito e per un utilizzo equilibrato delrituale. Il legame della comunionefuori della messa e del culto eucari-stico con la celebrazione dell’Eucare-stia viene pensato e proposto comeun legame intimo e sostanziale, se-condo il significato che esprimono lecategorie origine e fine. Vengonopoi evidenziati i destinatari della co-munione fuori della messa che, se-condo la tradizione antica, sono gli

ammalati, gli anziani e i fedeli chepossono avere un impedimento gra-ve per la partecipazione alla celebra-zione eucaristica. Come unico fineper questa premura, che la Chiesa dasempre ha vissuto, viene presentatoquello dell’unione di questi fedelicon Cristo, attraverso la comunionesacramentale al suo sacrificio, immo-lato e offerto nella Chiesa. In ultimosi fa riferimento alla pratica di ado-rare il sacramento dell’Eucarestia, di-cendo la gradualità con cui si è diffu-sa lungo i secoli e il fatto che l’ado-razione è stata favorita dalla sceltadi conservare l’Eucarestia per gli am-malati.

Dopo l’introduzione generale il ri-tuale è diviso in tre capitoli con i se-guenti titoli:

1. La santa comunione fuori dellaMessa

2. La santa comunione e il Viaticoagli infermi dati dal ministro straordi-nario

3. Il culto eucaristico.L’ultima parte è poi dedicata alle

letture bibliche, alle orazioni e cantiper i momenti di celebrazione.

Nell’introduzione generale, citan-do la lettera enciclica di Paolo VI My-sterium fidei, viene approfondito ilsenso della comunione fuori dallaMessa, espresso nella comunione sa-cramentale al sacrificio di Cristo: “In-fatti Cristo Signore, che nel sacrificiodella Messa è immolato quando co-

Rito della comunione fuori della messa e culto eucaristico di don Concetto Occhipinti

Page 11: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 11

mincia a essere sacramentalmentepresente come cibo spirituale dei fe-deli sotto le specie del pane e del vi-no, anche dopo l’offerta del sacrifi-cio, allorché viene conservata l’Euca-restia nelle chiese e negli oratori, èveramente l’Emmanuele, cioè “Diocon noi”. Giorno e notte resta inmezzo a noi, e in noi abita pieno digrazia e di verità”2. Il punto chiave diquesto testo è rappresentato dall’e-spressione sacramentalmente pre-sente; la Mysterium fidei infatti, al-l ’ indomani della conclusione delConcilio Vaticano II, intendeva ap-profondire, tra gli altri, il punto deli-cato riguardante “le presenze di Cri-sto” nella celebrazione dei suoi mi-steri. La Sacrosanctum Conciliumaveva affermato a riguardo: “Perrealizzare un’opera così grande, Cri-sto è sempre presente nella sua Chie-sa, e in modo speciale nelle azioni li-turgiche. È presente nel sacrificiodella Messa, sia nella persona del mi-nistro, essendo egli stesso che, “of-fertosi una volta sulla croce, offreancora se stesso tramite il ministerodei sacerdoti”, sia soprattutto sottole specie eucaristiche. È presente conla sua virtù nei sacramenti, al puntoche quando uno battezza è Cristostesso che battezza. È presente nellasua parola, giacché è lui che parlaquando nella Chiesa si legge la sacraScrittura. È presente infine quandola Chiesa prega e loda, lui che hapromesso: “Dove sono due o tre riu-niti nel mio nome, là sono io, in mez-zo a loro” (Mt 18,20)3.

Rimaneva una incertezza sullacorretta comprensione del tipo dipresenza di Cristo qui proposta. In

tutti questi casi si tratta di una pre-senza reale di Cristo? E se la rispostanon può che essere affermativa, ciònon è forse contrario alla correttacomprensione della presenza realenelle specie eucaristiche consacrate?Paolo VI affronta la questione neitermini seguenti: queste varie ma-niere di presenza riempiono l’animodi stupore e offrono alla contempla-zione il mistero della Chiesa. Ma benaltro è il modo, veramente sublime,con cui Cristo è presente alla suaChiesa nel sacramento dell’eucari-stia, che perciò è tra gli altri sacra-menti “più soave per la devozione,più bello per l’intelligenza, più santoper il contenuto”; contiene infatti lostesso Cristo ed è “quasi la perfezio-ne della vita spirituale e il fine ditutti i Sacramenti”4. L’attenzione del-l’enciclica in questo passaggio è ri-volta al modo veramente sublimecon cui Cristo si rende presente allasua Chiesa nelle specie eucaristiche.Il testo poi continua, chiarendo que-sto punto nei seguenti termini: “Talepresenza si dice “reale” non peresclusione, quasi che le altre non sia-no “reali”, ma per antonomasia per-ché è anche corporale e sostanziale,e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio,tutto intero si fa presente”5. Si dedu-ce dunque che esistono altre presen-ze reali non escluse da quella eucari-stica e al tempo stesso che la presen-za nelle specie eucaristiche è reale insenso proprio e unico, in forza dellatransustanziazione. Tra la presenzareale dell’Eucaristia e le altre presen-ze reali non vi è differenza in quantoa presenza di Cristo o a realtà di pre-senza, ma in quanto al modo con cui

Page 12: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

12 Culmine e Fonte 5-2003

si rendono reali tali presenze. Nel-l’Eucarestia la presenza reale è per-manente, legata alla sostanza; neglialtri casi è transeunte, legata al mo-mento celebrativo.

È questa unicità e sublimità dipresenza reale di Cristo nel sacra-mento eucaristico che fonda la curapastorale con cui la Chiesa ha sem-pre custodito le specie eucaristicheper offrirle ai fedeli in stato di ne-cessità per la malattia o altri impedi-menti gravi. La finalità principaleviene individuata nella possibilità diaccompagnare e sostenere i fedelicon il nutrimento eucaristico nelmomento dell’agonia e del passag-gio alla casa del Padre: “Scopo pri-mario e originario della conservazio-ne dell’Eucarestia fuori della Messaè l’amministrazione del Viatico; sco-pi secondari sono la distribuzionedella comunione e l’adorazione dinostro Signore Gesù Cristo, presentenel Sacramento”6. Riguardo ai fedeliimpediti dalla malattia o dall’anzia-nità i praenotanda suggeriscono diportare loro la santa comunione consollecitudine, come il segno più pre-zioso dell’amore fraterno: “Si devo-no indurre i fedeli a comunicarsi du-rante la celebrazione eucaristica. Isacerdoti però non rifiutino di darela santa comunione anche fuori del-la Messa ai fedeli che ne fanno ri-chiesta. È bene anzi che a quanti so-no impediti di partecipare alla cele-brazione eucaristica della comunità,s i porti con premura i l c ibo e i lconforto dell’Eucaristia, perché pos-sano così sentirsi uniti alla comunitàstessa, e sostenuti dall’amore deifratelli”7. Il testo poi continua sug-

gerendo una sorprendente modalitàper rendere concreta la suddettapremura pastorale; si tratta dellafrequenza con cui portare la santacomunione che addirittura può esse-re quotidiana nel tempo pasquale,quando ciò si renda possibile: “I pa-stori d’anime curino che agli infermie agli anziani, anche se non grave-mente malati né in imminente peri-colo di vita, spesso e anzi, se possibi-le, ogni giorno, specialmente neltempo pasquale, sia offerta la possi-bilità di ricevere l’Eucaristia”8.

In riferimento alle disposizioni ne-cessarie per accostarsi autenticamen-te all’Eucarestia il rito propone la re-lazione con il sacramento della Peni-tenza nei seguenti termini: “Perciò laChiesa prescrive che “nessuno, con-sapevole di essere in peccato morta-le, per quanto si creda contrito, si ac-costi alla santa Eucaristia, senza pre-mettere la confessione sacramenta-le”. Qualora, per urgente necessità,il comunicando non abbia disponibi-lità di un confessore, premetta un at-to di contrizione perfetta, con il pro-posito di confessare a suo tempo is ingoli peccati mortali , che sul momento è impossibilitato a confes-sare9. Questa possibilità di rimandarea dopo la comunione eucaristica lacelebrazione del sacramento dellaRiconciliazione può risultare partico-larmente preziosa nel caso in cuil’Eucarestia viene portata agli amma-lati dai ministri straordinari della co-munione.

Riguardo al culto eucaristico il ri-tuale presenta tre ambiti particolari:1. L’esposizione della santa Eucari-

stia

Page 13: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 13

2. Le processioni eucaristiche3. I congressi eucaristici.

I praenotanda evidenziano in pri-mo luogo il legame del culto eucari-stico con il mistero pasquale: “Lapietà che spinge i fedeli a prostrarsiin adorazione dinanzi alla santa Eu-caristia, li attrae a partecipare piùprofondamente al mistero pasqualee a rispondere con gratitudine aldono di colui che con la sua uma-nità infonde incessantemente la vitadivina nelle membra del suo cor-po”10. L’adorazione eucaristica pro-lunga e rende efficace la grazia del-la celebrazione del mistero di Cri-sto, favorendo nei fedeli la configu-razione a Lui crocifisso e risorto.Paolo VI, nella suddetta enciclica,definisce Cristo centro dei cuori e iltabernacolo centro della vita spiri-tuale e sociale della comunità cri-stiana. “Vi è inoltre ben noto, vene-rabili fratelli, che l’Eucaristia è con-servata nei templi e negli oratoricome il centro spirituale della comu-nità religiosa e parrocchiale, anzidella chiesa universale e di tutta l’u-manità, perché essa sotto il velodelle sacre specie contiene Cristo ca-po invisibile della chiesa, redentoredel mondo, centro di tutti i cuori,“per cui sono tutte le cose e noi perlui”. Ne consegue che il culto euca-ristico muove fortemente l’animo acoltivare l’amore “sociale”, col qua-le si antepone al bene privato il be-ne comune; facciamo nostra la cau-sa della comunità, della parrocchia,della chiesa universale; ed estendia-mo la carità a tutto il mondo, per-ché dappertutto sappiamo che ci so-no membra di Cristo”11.

La consapevolezza che il culto eu-caristico e l’adorazione in particolarecontribuiscano misteriosamente allatrasformazione radicale del mondo ealla diffusione del vangelo, che coluiil quale si ferma in adorazione trasci-na dietro di sé il mondo, elevandoloa Dio,12 è sottesa alla lettera enciclicache il Papa ha offerto alla Chiesa nelrecente giovedì santo. Affidiamo leconclusioni alle parole e alla testimo-nianza personale del Papa: “Spettaai Pastori incoraggiare, anche con latestimonianza personale, il culto eu-caristico, particolarmente le esposi-zioni del Santissimo Sacramento,nonché la sosta adorante davanti aCristo presente sotto le specie euca-ristiche. È bello intrattenersi con Luie, chinati sul suo petto come il disce-polo prediletto (cfr. Gv 13,25), esseretoccati dall’amore infinito del suocuore. Se il cristianesimo deve distin-guersi, nel nostro tempo, soprattuttoper l’“arte della preghiera”, comenon sentire un rinnovato bisogno ditrattenersi a lungo, in spirituale con-versazione, in adorazione silenziosa,in atteggiamento di amore, davantia Cristo presente nel Santissimo Sa-cramento? Quante volte, miei carifratelli e sorelle, ho fatto questaesperienza, e ne ho tratto forza, con-solazione, sostegno!

Di questa pratica ripetutamentelodata e raccomandata dal Magiste-ro, numerosi Santi ci danno l’esem-pio. In modo particolare, si distinse inciò sant’Alfonso Maria de’ Liguori,che scriveva: “Fra tutte le devozioni,questa di adorare Gesù sacramentatoè la prima dopo i sacramenti, la piùcara a Dio e la più utile a noi”. L’Eu-

Page 14: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

14 Culmine e Fonte 5-2003

caristia è un tesoro inestimabile: nonsolo il celebrarla, ma anche il sostaredavanti ad essa fuori della Messaconsente di attingere alla sorgentestessa della grazia. Una comunità cri-stiana che voglia essere più capace di

contemplare il volto di Cristo, … nonpuò non sviluppare anche questoaspetto del culto eucaristico, nel qua-le si prolungano e si moltiplicano ifrutti della comunione al corpo e alsangue del Signore”13.

I pastori istruiscano con cura i fedeli, perché partecipino a tutta lamessa, illustrando l’intimo rapporto esistente tra la liturgia della paro-la e la celebrazione della cena del Signore, sì che intendano chiaramen-te che da esse risulta un unico atto di culto. Infatti “la predicazionedella parola è necessaria per lo stesso ministero dei Sacramenti, trat-tandosi dei sacramenti della fede, la quale nasce e si alimenta con laparola” (PO 4). […] I fedeli dunque, ascoltando la parola di Dio, ricono-scano che le meraviglie annunciate trovano il loro coronamento nel mi-stero pasquale, il cui memoriale è celebrato sacramentalmente nellamessa. In tal modo i fedeli, ricevendo la parola di Dio e nutriti di essa,sono portati, nel rendimento di grazie, ad una partecipazione fruttuo-sa dei misteri della salvezza. Così la Chiesa si nutre del pane di vita siaalla mensa della parola di Dio che a quella del corpo di Cristo.

Eucharisticum mysterium, n. 9

—————————————1 Rito della Comunione fuori della Messa, Decreto di promulgazione.2 Rito della Comunione fuori della Messa, Introduzione generale n. 2.3 SC 7.4 Mysterium fidei, 5.5 Idem; cfr. Rito della Comunione fuori della Messa, Introduzione generale, 6.6 Rito della Comunione fuori della Messa, Introduzione generale, 5.7 Rito della Comunione fuori della Messa, Praenotanda, 14.8 Idem.9 Rito della Comunione fuori della Messa, Praenotanda, 23.10 Rito della Comunione fuori della Messa, Praenotanda, 88.11 Mysterium fidei, 6.12 Cfr. Giovanni Paolo II, lettera sull’Adorazione eucaristica.13 Ecclesia de Eucaristia, 25.

Page 15: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 15

I l tema dell’Eucaristia nel contestodella cura pastorale degli infermimerita una particolare attenzione

sia per il suo riferimento alle situazio-ni esistenziali del malato, che è inter-pellato a un cammino concreto di fe-de, sia per il valore singolare dell’Eu-caristia, culmine e fonte di tutta la vi-ta cristiana. La nostra riflessione sisvolge intorno a quattro nuclei. Anzi-tutto si presenta il motivo biblico del-la guarigione per individuare l’oriz-zonte nel quale si muove la cura pa-storale degli infermi. Successivamentesi richiama il “sacrificio di ringrazia-mento”, sia perché la sua conoscenzaè fondamentale per la comprensionedell’Eucaristia, sia perché prospettache la guarigione piena coincide conla liberazione definitiva dalla morte,liberazione che Dio compie con la ri-surrezione. Si apre così la possibilità dicomprendere l’eucaristia nella pro-spettiva biblica del sacrificio di ringra-ziamento individuando alcuni valoriteologici importanti per la vita dellaChiesa che celebra i santi e divini Mi-steri. La nostra riflessione si concludeindicando alcuni orientamenti perchéil ministero dell’eucaristia nella curapastorale degli infermi si realizzi inprofonda sintonia con le ricchezzedella Parola di Dio che nutre e guidal’esistenza cristiana nell’esperienzadell’amore del Padre e nell’attesa delcompimento eterno della salvezza di-vina.

1. Il motivo biblico della guarigione

La guarigione dalla malattia costi-tuisce il desiderio profondo e l’arden-te speranza d’ogni infermo. Questadimensione antropologica permettedi comprendere il fatto che il motivodella guarigione non solo entra nellaScrittura, ma vi occupa una posizioneimportante e simbolicamente fecon-da. Sotto questo profilo due afferma-zioni attirano l’attenzione di chi acco-sta il libro dell’Esodo con il metodocanonico. Il cantico di Mosè (Es 15,1-18),che celebra il prodigio dell’esodo co-me evento di salvezza che si realizzacostantemente nella storia, si conclu-de con un’affermazione che ha le ca-ratteristiche di una solenne confessio-ne: “Il Signore regna in eterno e persempre”. L’affermazione che nell’eso-do si manifesta per sempre la regalitàdel Signore significa che Dio guida ilsuo popolo in un cammino di pace, digiustizia e di fraternità, che raggiungetutti e quindi si estende anche ai piùdeboli e indifesi, ai poveri e agli emar-ginati. La potenza della regalità delSignore si manifesta nell’alleanza conla quale il popolo è chiamato a viverenella comunione con il suo Dio. Comeè noto, si tratta di una comunione vi-tale e familiare che ha i suoi simbolipiù eloquenti nell’immagine filiale esponsale. Israele è il figlio che il Signo-re ha liberato e guida nel cammino

Eucaristia e cura pastorale degli infermi di Eliana Picozza

Page 16: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

16 Culmine e Fonte 5-2003

della libertà e della vita. Nel contem-po, Israele, come comunità di salvez-za, è la sposa che il Signore ama e rin-nova costantemente con il suo amore.La regalità del Signore si manifestanella ricchezza incommensurabile delsuo amore paterno-materno e dellasua tenerezza sponsale.

Nel contesto della confessione delSignore che regna in eterno e per sem-pre, s’incontra una seconda afferma-zione che costituisce il culmine versocui tende il racconto del primo inter-vento del Signore dopo l’evento della“liberazione presso il mare” (cf. Es15,22-27)1: “Io sono il Signore, coluiche ti guarisce” (Es 15,26). La letturadella pericope permette di cogliere ilsenso profondo di questa confessionedi fede. Il racconto, che si muove evi-dentemente in un orizzonte teologico,presenta il popolo che, al terzo giornodel suo cammino nel deserto, giunge aMara dove constata l’impossibilità didissetarsi, perché le acque del luogosono amare. Il Signore risponde allapreghiera di Mose indicando un “albe-ro” che, gettato nelle acque, le rendedolci (Es 15,25a). Il significato teologi-co appare da quanto segue nella nar-razione, dove si dice esplicitamenteche in quel luogo “il Signore diede alpopolo la legge e il diritto” e in quelluogo “lo mise alla prova” (Es 15,25b).In sostanza l’“albero” è simbolo dellaTorah del Signore, del suo insegna-mento. La regalità del Signore si mani-festa non solo nella liberazione, manel dono della parola che, se accolta,introduce il popolo nell’alleanza con ilsuo Dio. La prova, che il popolo deveaffrontare, riguarda precisamente lasua capacità di accogliere la Parola nel

cuore e di attuarla nel concreto dellapropria esistenza. Se non accoglie laParola, il popolo non può dissetarsi al-le acque della vita, non può portare acompimento il cammino già iniziatodella propria liberazione. Questo è ilmessaggio incluso nella promessa del v. 26: “Se tu ascolterai la voce del Si-gnore tuo Dio e farai ciò che è retto aisuoi occhi […], io non ti infliggerò nes-suna delle infermità che ho inflitte agliEgiziani, perché io sono il Signore, co-lui che ti guarisce”

La frase citata contiene delle infor-mazioni preziose per il nostro studio.A prima vista il testo si muove nell’o-rizzonte che vede la malattia e la gua-rigione in rapporto con il Signore: eglimanda l’infermità e guarisce da essa.Una lettura attenta e profonda del te-sto, però, permette di constatare chel’accento cade sulla potenza del Signo-re che libera l’uomo dall’infermità egli prospetta un futuro nel quale nonsarà più colpito da malattia. Qui appa-re che la malattia e la guarigione han-no ognuna una propria dimensionesimbolica. La malattia è simbolo dellasituazione di un popolo nel quale sisviluppano i dinamismi dell’ingiustizia,della violenza e dell’oppressione. Que-sta situazione riflette la condizionedell’uomo che si chiude alla Parola delSignore, come il faraone che ha induri-to il suo cuore (cf. Es 5-11). A sua volta,la liberazione dalla malattia è simbolodel popolo che ascolta la voce del Si-gnore e quindi pone l’ascolto della Pa-rola al centro della propria esistenza.

In questo contesto appare laprofondità dell’affermazione “io sonoil Signore, colui che ti guarisce”. Essasuppone che il popolo può venir me-

Page 17: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 17

no al suo impegno di ascoltare la vocedel suo Dio e quindi si possono svilup-pare anche in lui “le infermità”, chehanno colpito gli Egiziani, si possonosviluppare i dinamismi dell’ingiustiziae dell’oppressione. La confessione delSignore che guarisce è preziosa testi-monianza della fede che vive nellacertezza dell’amore fedele e miseri-cordioso del Signore che libera il suopopolo dalle proprie infedeltà e lo in-troduce nuovamente nel camminodella speranza e della vita.

I precedenti rilievi consentonoun’importante conclusione. La fededel popolo del Signore raggiunge tut-ti gli ambiti della vita umana. La stes-sa speranza della guarigione trova lasua fonte nel Dio dell’esodo e dell’al-leanza. Il Signore è colui che guarisce.Nel contempo l’esperienza della ma-lattia e della guarigione si presentanoin una profonda accezione simbolica.La malattia diventa simbolo della si-tuazione nella quale il popolo si ponequando si chiude alla Parola e diventalo spazio nel quale si sviluppano leenergie negative dell’ingiustizia intutte le sue possibili espressioni. Inquesto contesto l’affermazione che ilSignore è colui che guarisce pone l’esi-stenza di Israele nell’orizzonte del Dioche sempre rinnova l’esodo del suopopolo dischiudendogli, nella speran-za, il futuro della vita.

2. Il motivo del “sacrificio di ringraziamento”

La visione di fede testimoniata dal-la solenne affermazione di Es 15,26 èconfermata dalla tradizione del “sacri-

ficio di ringraziamento”2. Come risultada alcuni salmi (soprattutto dal Sal116), il sacrificio di ringraziamento (o“todah”) era offerto dalla personache fosse stata liberata da un gravepericolo di morte. Questo sacrificioaveva tre elementi propri. Anzituttol’uso del pane fermentato, che si po-neva sopra l’altare per significare chel’orante poteva continuare a nutrirsidel pane quotidiano, perché il Signo-re, liberandolo dalla morte, gli avevaprolungato il dono della vita. Il secon-do elemento era dato dal rito del cali-ce. La persona liberata dalla morte,prendeva “il calice della salvezza” e“proclamava il Nome del Signore” (cf. Sal 116,12-13), il altri termini nar-rava la liberazione dal grave pericolodi morte, che egli aveva chiesto e ot-tenuto dal Signore. Il terzo elementodel sacrificio di ringraziamento erarappresentato dall’assemblea che eracostituita dai familiari e dagli amici e,quindi, da coloro che giovano per laguarigione dell’orante e si univano alui nella lode e nel ringraziamento delSignore.

La presenza di molti salmi che con-tengono elementi propri della “to-dah” permette di comprendere l’im-portanza di questo sacrificio nella vitae nella tradizione del popolo del Si-gnore. La celebrazione del sacrificio diringraziamento consolidava la fedenel Signore che guarisce da ogni ma-lattia e che libera la vita dalla fossadella morte, come recita il Sal 103.Questo aspetto permette di compren-dere l’alta considerazione di cui go-dette questo sacrificio nella vita e nel-la spiritualità del popolo (cf. Sal 50).Quando nella tradizione di Israele si

Page 18: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

18 Culmine e Fonte 5-2003

sviluppò la fede nella risurrezione, ilpopolo del Signore comprese che lavera liberazione dalla morte non è da-ta dalla guarigione da una malattia odalla scomparsa di chi attentava allavita dell’orante. La liberazione totalee permanente dalla morte è data dal-la risurrezione3. In questo orizzonte difede si sviluppa, con la ricchezza pro-pria del linguaggio simbolico, la cer-tezza che il vero sacrificio di ringrazia-mento sarà quello che i risorti celebre-ranno nel mondo della risurrezione.Una testimonianza eloquente di que-sta certezza di fede si incontra nel Sal22. In questo salmo, in cui l’orante in-nalza a Dio la sua preghiera accorata(cf. v. 2) e fiduciosa (v. 20) per essereliberato da coloro che attentano allasua vita, sono stati aggiunti alcuni ver-setti, che ci permettono di compren-dere con quale spirito era pregato dacoloro che avevano la fede nella risur-rezione:“Il regno è del Signore,egli esercita la sua signoria su tutte legenti.A lui solo si prostreranno quantidormono sotto terra,davanti a lui si inchineranno quantiscendono nella polvere” (vv. 29-30).

Certamente nella tradizione delpopolo continua la preghiera con cuisi chiede al Signore il dono della gua-rigione, anche quando la vita è minac-ciata dalla morte. Tuttavia la presenzadi questi versetti nel salmo testimoniache questa preghiera si apre, nellasperanza, a una visione superiore del-la fede. Quando la morte raggiungeuna persona, la comunità credentecammina nella certezza che “nuova-mente vivranno” coloro che sono

morti, sorgeranno ed esulteranno nel-la gioia della vita (cf. Is 26,19). È lagioia dei risorti che ringraziano il Si-gnore perché li ha liberati per sempredalla morte e li ha introdotti nella suavita. È la gioia che diventa proclama-zione del Nome del Signore, confes-sione della sua salvezza, sacrificio diringraziamento nella gloria eterna delregno.

3. L’eucaristia come sacrificio diringraziamento

La conoscenza del sacrificio di rin-graziamento permette di comprende-re il significato del rito compiuto daGesù nell’“ultima cena”. Come sappia-mo dalla tradizione testimoniata daiSinottici e da Paolo, in questo rito so-no fondamentali le parole dette sulpane e sul calice. Le prime testimonia-no che Gesù ha fatto della sua vita undono in piena sintonia con l’eterno di-segno del Padre. “Il corpo dato” indi-ca la vita del Risorto della quale i di-scepoli sono resi partecipi. Le parolepronunciate sul calice sono la procla-mazione della salvezza operata daDio. Gesù ha quindi la certezza che ilPadre lo libererà dalla morte e, nellapotenza della risurrezione, lo renderàfonte della nuova alleanza, e quindidella salvezza eterna, per tutti coloroche credono in lui. Tutto questo signi-fica che Gesù, prima di morire, ha ce-lebrato il sacrificio di ringraziamentoper il dono della salvezza definitivache il Padre avrebbe inaugurato conla sua risurrezione dai morti.

Qui appare la novità della “todah”di Gesù. Nella tradizione di Israele il

Page 19: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 19

sacrificio di ringraziamento aveva duecaratteristiche: in questo mondo è of-ferto ogni volta che una persona è li-berata da un grave pericolo di morte;nel mondo futuro sarà offerto persempre da tutti i risorti. La novità sin-golarissima di Gesù sta nel fatto cheegli prima di morire ringrazia il Padrenella certezza che lo risusciterà daimorti. Egli, in altri termini, anticipasulla terra, il sacrificio della “todah”eterna nel cielo.

La comunità protocristiana, aven-do la fede nel Signore risorto, com-prende, alla luce delle Scritture, cheil Risorto innalza nell’eternità del Re-gno quel sacrificio di ringraziamentoche aveva anticipato sulla terra nellanotte in cui fu consegnato alla mor-te. Mediante l’Eucaristia la comunitàcristiana partecipa al sacrificio di rin-graziamento del Risorto e così facen-do anch’essa anticipa sulla terra la“todah” che risuona eternamentenel Regno di Dio. Proprio questaesperienza porta la comunità delNuovo Testamento a comprendereche nel Risorto si realizzano piena-mente le promesse di Dio: in lui sicompiono l’esodo e l’alleanza, in luisi realizza la salvezza definitiva sim-boleggiata dai temi biblici più fortinell’espiazione, nel sacrificio di Isac-co, nella Pasqua. L’eucaristia, inquanto unisce i discepoli al ringra-ziamento eterno del Risorto e li ren-de sempre più partecipi della sua vi-ta è compresa nel NT come la fonte eil culmine della Chiesa nel suo cam-mino verso il Regno eterno. È il ban-chetto che anticipa il convito eterno,che dona di sperimentare il compi-mento della Pasqua nell’esperienza

della liberazione dalla morte, dellacomunione filiale e sponsale con ilSignore, nella “elevazione” alla vitaeterna del Dio vivente.

L’insieme di questi valori che carat-terizzano la Chiesa e l’Eucaristia offreorientamenti preziosi per comprende-re e vivere il ministero dell’Eucaristianella cura pastorale degli infermi.

4. L’eucaristia e la cura pastoraledegli infermi

I contenuti biblici, che sono stati ri-chiamati, permettono di cogliere unaconnessione teologica tra l’eucaristiae la cura pastorale degli infermi.

Anzitutto il ricevere l’eucaristia re-cata dal ministro istituito è un segnoeloquente della comunione che unisceogni battezzato alla Chiesa, comunio-ne che proprio nel momento dellamalattia si esprime con quelle atten-zioni che rendono la comunità eccle-siale sacramento della tenerezza edell’amore provvidente del Padre. At-traverso la comunione il battezzatopartecipa a pieno titolo alla liturgiadella comunità e rappresenta l’assem-blea liturgica del popolo sacerdotaleche custodisce la fede in mezzo alleprove e le sofferenze estreme dell’esi-stenza umana.

L’eucaristia, in quanto sacrificio diringraziamento che il Risorto ha anti-cipato sulla terra prima di morire, svi-luppa, in modo speciale per il cristianomalato, la ricchezza del suo significatoe quindi è, in modo speciale per lui,culmine e fonte dell’assimilazione cri-stiana al Signore risorto. Schematica-mente si può affermare:

Page 20: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

20 Culmine e Fonte 5-2003

(a) L’eucaristia orienta il battezzatoad anticipare sulla terra il ringrazia-mento a Dio che innalzerà nel mondodella risurrezione. In questa ottica es-sa sviluppa, proprio nel malato, il sen-so cristiano della vita, la consolantecertezza dei discepoli di Cristo che lavita non è tolta, ma trasformata, lagioia di confessare il Dio della risurre-zione e la forza di trovare nella fedeche confessa il Signore risorto la ra-gione ultima della nostra speranza nelfuturo di Dio. Compresa in questa lucela comunione agli infermi si configuracome evento di grazia che opera nelcuore del fratello infermo e, al tempostesso, si riverbera nella stessa comu-nità cristiana, che cresce nel senso del-la corresponsabilità ed è confortatadalla testimonianza, a volte straordi-naria, della sorella e del fratello infer-mi che pongono la speranza e fiduciaunicamente in Dio4.

(b) L’eucaristia, in quanto anticipasulla terra la “todah” del mondo dellarisurrezione, non proietta l’uomo inuna concezione avulsa dal presentedel nostro tempo e della nostra storia.Al contrario, il fatto che l’umanità èchiamata al ringraziamento eternodel Signore fonda il valore incompara-bile di ogni esistenza umana. Questavisione di fede porta il credente a va-lorizzare ogni momento della sua vitaperché sia vissuto come anticipazionedella gloria futura e non come chiusu-ra alla salvezza di Dio. Ne deriva chel’eucaristia dell’assemblea liturgica, al-la quale l’infermo ha coscienza di par-tecipare soprattutto con la comunioneeucaristica, rende la comunità spazioprofeticamente attento e sensibile al

valore della vita e a quelle espressioniche rendono autentica l’esistenzaumana. In questa ottica l’eucaristia ce-lebrata illumina la pastorale degli in-fermi in quanto rende i battezzati, ein primo luogo coloro che hanno rice-vuto un ministero pastorale, responsa-bili per non diventare dei semplici ese-cutori di una prassi sacramentalista,ma promotori di un’attenzione specia-le alla globalità di quella che possia-mo chiamare “la condizione cristianadei malati”. Questa attenzione portaa lottare per la vita dell’infermo e aporre sempre il malato in un orizzon-te di vita. In questo modo nel cristianoinfermo non si sviluppa solo la gioiosasperanza dei beni eterni, ma al tempostesso si sviluppa la responsabilità diuna scelta quotidiana che trasforma lasua situazione la sua situazione nella“diakonia” della fede e dell’autoobla-zione “per la vita del mondo”.

(c) I valori dell’eucaristia si com-prendono adeguatamente solo nellamisura in cui la Chiesa nutre la propriafede con il cibo sostanzioso e vivifi-cante della Parola di Dio. Sotto questoprofilo ogni ministero correlato all’Eu-caristia implica una assidua frequenta-zione delle Sante Scritture e una cre-scente assimilazione della linfa vitaledella Parola di Dio. La cura pastoraledegli infermi trova proprio nella Paro-la il segreto per essere azione dellaChiesa sacramento della tenerezzamaterna di Dio. Ne consegue che ogniforma di ministero eucaristico devecompiersi nell’alveo vitale della Paroladi Dio. La meditazione e l’annunciodella Parola, nelle forme che le sonoproprie, rendono la comunione recata

Page 21: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 21

agli infermi evento fecondo della co-munità ecclesiale perché pongono ilministro dell’eucaristia nella condizio-ne di assimilare e testimoniare la Pa-rola per portare all’infermo l’annun-cio dell’amore di Dio che risuona sem-pre in ogni comunità che viva comeChiesa sposa del Signore risorto.

5. Guardando al futuro

Le riflessioni sviluppate, ci sembra,aprono delle prospettive sommamen-te attraenti e impegnative proprio inun settore che, più di ogni altro, ri-schia di avvertire i disagi di una pasto-rale che non sappia portare la luce delRisorto nel concreto dell’esistenza

umana. Se una comunità nutre la pro-pria fede nel Signore risorto con le ric-chezze sempre vive e feconde dellaParola di Dio, saprà sempre discernerele vie che rendono la sua azione, e inparticolare la cura pastorale degli in-fermi, evento profetico di speranza edi vita. Situare la comunione degli in-fermi in questo orizzonte biblico-ec-clesiale significa poter rivolgere il pro-prio sguardo verso il futuro: quel fu-turo che Dio ci dona in parte di antici-pare sulla terra nella fede che operamediante la carità e in parte ci chiamaogni giorno ad attendere perché nonvenga meno quella speranza nellaquale siamo salvati e nella quale ri-splende la testimonianza profetica deidiscepoli del Signore risorto.

—————————————1 Per una conoscenza esegetica di questo testo cf. lo studio approfondito di M. P. SCANU, “Io so-

no JHWH, colui che ti guarisce” (Es 15,26). Considerazioni sulla metafora terapeutica in pro-spettiva teologica, in “Parola, Spirito e Vita”, 40 (1999/2) 23-39.

2 Il “sacrificio di ringraziamento”, quale presupposto per la comprensione dell’Eucarisita, è stu-diato da H. GESE, Sulla teologia biblica, Brescia 1989, 129-154.

3 Una presentazione organica della formazione della fede nella risurrezione si trova in G. ODAS-SO, Bibbia e religioni. Prospettive bibliche per la teologia delle religioni, Roma 1998, 226-261.Un contributo importante di questo studio è quello di mostrare che la confessione del mondodella risurrezione è il frutto maturo delle tre caratteristiche fondamentali della fede biblica:comunione di vita (del popolo con il suo Dio), speranza (che si fonda sulla promessa divina), fe-deltà del Signore (al suo amore, manifestato e promesso).

4 Sotto questo profilo l’eucaristia si presenta come “il sacramento della speranza cristiana: il sa-cramento che rinnova nella Chiesa l’abbandono fiducioso e confidente di Gesù nel Padre suo(cf. Mt 11,28-29) e la sostiene nel suo cammino di fede e di testimonianza oblativa fino al com-pimento eterno delle promesse divine nella gloria del Regno” (G. ODASSO, Eucaristia: sacrificiodi ringraziamento. Riflessione biblico-teologica, in “Culmine e Fonte” 3, 2002, 139.

Page 22: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

22 Culmine e Fonte 5-2003

Uno sguardo alla storia

N ella lingua latina il termineviaticum si riferisce alle prov-viste necessarie per un viag-

gio. Il lessico cristiano lo adotta findall’antichità per indicare il sacra-mento dell’Eucaristia dato ai morenti.Una menzione specifica si trova per laprima volta nel canone 13 del Conci-lio di Nicea (325), che lascia intenderel’anteriorità dell’uso. Così i Padri siesprimono: “Verso i moribondi si os-servi ancora l’antica norma canonicaper cui in pericolo di morte nessunosia privato dell’ultimo, indispensabileviatico”1. La questione in esame con-cerne i cristiani caduti nell’apostasia edunque non riconciliati: il concilio ri-tiene che in punto di morte non sidebba negare loro il viatico e in ciònon sembra inaugurare una nuova di-sciplina, bensì conformarsi a una pra-tica diventata presto legge della Chie-sa, sulle cui origini però non disponia-mo di notizie precise2. Certa rimane,comunque, nei secoli e fino a oggi, lasospensione in articulo mortis di ogniprovvedimento disciplinare: come eb-be a dire Beauduin, quella è l’ora diDio, nella quale la Chiesa quasi abdi-ca alla sua autorità positiva.

Si può facilmente intuire come dalradicamento nel mistero pasqualedella comunità primitiva sia derivatal’esigenza di fortificare il fedele in findi vita con “il pegno della risurrezio-

ne”3. Il Medioevo ci ha tramandatotestimonianze della comunione inpunto di morte soprattutto nei rac-conti agiografici, dai quali si può de-durre che la sua ricezione avvenivasotto le due specie4. Il Concilio di To-ledo del 675 raccomanda la comunio-ne per intinzione, che consente almoribondo di deglutire più facilmen-te il pane eucaristico.

Per trovare un preciso riferimentoal viatico in un testo liturgico bisognaattendere gli Ordines romani dei se-coli VII e VIII, in particolare l’Ordo 49,che così si esprime in relazione al cri-stiano morente: “Quando lo si vedràapprossimarsi alla morte dovrà esserecomunicato con il santo sacrificio, an-che se si è già cibato nello stesso gior-no, perché la comunione sarà per luidifesa e aiuto per la resurrezione deigiusti. Infatti sarà essa a risuscitarlo.Dopo che avrà ricevuto la comunione,un prete o un diacono leggerà la pas-sione del Signore davanti al malato,fino a quando l’anima non esca dalcorpo”5. L’Ordo Phillipps 1667 offreun rituale nel quale emerge con unachiarezza ancor maggiore che la co-munione è l’ultimo atto liturgico dacompiersi nell’imminenza del transi-to. Il testo latino dice che non appenasi approssima l’ora della morte, si in-comincia a leggere il vangelo di Gio-vanni sulla passione del Signore, se-guito dal canto del salmo 41 e dellelitanie. Al termine, il sacerdote recita

“Egli ti custodisca e ti conducaalla vita eterna”: il Viatico di don Norberto Valli

Page 23: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 23

la preghiera per raccomandare l’ani-ma. Quindi, “prima che spiri, il sacer-dote comunica (il morente) con il cor-po e il sangue, preoccupandosi chenon muoia senza il viatico: questo è ilcorpo del Signore”6. Senza pretende-re di ricostruire tutti i passaggi chehanno condotto al Rituale Romanumdel 1614, ci limitiamo a osservare cheil Viatico diventa gradatamente unaforma particolare di comunione agliammalati che versano in pericolo dimorte. La riserva esclusiva della suaamministrazione al sacerdote, e alparroco in specie, è dell’epoca scola-stica. Concomitante è l’introduzionedi particolari forme esterne di venera-zione e di onore: la santa Eucaristia èportata all’infermo in forma proces-sionale, con lumi e suono di campane;la benedizione eucaristica può sosti-tuire la ricezione del sacramento,quando il malato non è più in gradodi comunicarsi. Ad accompagnare ilpassaggio alla vita eterna subentral’Unzione, connotata come “estrema”proprio perché a essa non segue al-tro, se non le preghiere di raccoman-dazione dell’anima. A partire dal Ri-tuale del 1614 il Viatico perde così ilsuo ruolo di sacramento di prepara-zione alla morte. Si dovrà attendere ilConcilio Vaticano II per un recuperodel suo valore originario e della suagiusta collocazione. Il n. 74 di Sacro-sanctum Concilium stabilisce infattiche si predisponga, oltre ai riti distintidell’Unzione degli Infermi e del Viati-co, anche un “Rito continuo” nel qua-le l’Unzione sia conferita al malatodopo la Confessione e prima del Via-tico, che dunque torna ad essere l’ul-timo sacramento.

La situazione attuale

Il dettato conciliare viene applica-to nel nuovo rituale del Sacramentodell’Unzione e cura pastorale degliinfermi, che risale al 1972. L’edizioneitaliana entra in vigore il 16 febbraio1975. Ad essa ci riferiamo, comincian-do dal n. 26 dei Praenotanda che, do-po una dichiarazione generale sul va-lore del viatico (“Nel passaggio daquesta all’altra vita, il Viatico del Cor-po e Sangue di Cristo fortifica il fede-le e lo munisce del pegno della risur-rezione, secondo le parole del Signo-re: “Chi mangia la mia carne e beve ilmio sangue, ha la vita eterna, e io lorisusciterò nell’ultimo giorno””), sug-gerisce immediatamente la forma piùappropriata del suo conferimento: “IlViatico si riceva se possibile, durantela Messa, in modo che l’infermo pos-sa far la comunione sotto le due spe-cie: la comunione in forma di Viaticoè infatti un segno speciale della par-tecipazione al mistero celebrato nelsacrificio della Messa, il mistero dellamorte del Signore e del suo passag-gio al Padre”.

Questa indicazione, presupponen-do che si celebri l’Eucaristia presso ilmalato in pericolo di morte, invoca ilverificarsi di condizioni che moltospesso non si danno. La maggior partedegli infermi vive infatti gli ultimiistanti di vita in ospedale o in struttu-re per lungodegenti, in cui sembradifficile poter prevedere la celebrazio-ne dell’Eucaristia al capezzale del ma-lato. Ciò non toglie però che nei noso-comi in cui vi è una messa quotidianail sacerdote, al termine, possa rag-giungere quanti si trovano in pericolo

Page 24: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

24 Culmine e Fonte 5-2003

di morte, portando loro la comunionesotto le due specie nella forma previ-sta per il Viatico. Perché questo avven-ga, risulta indispensabile l’interessa-mento da parte dei parenti e del per-sonale ospedaliero che, nel rispettodelle convinzioni di ciascuno, dovreb-bero garantire al morente il diritto al-l’assistenza religiosa.

Il problema vero rimane tuttavia laconsapevolezza da parte dei cristianidell’opportunità, o meglio, della deci-sività del sacramento. La questione in-terpella la formazione dei singoli edelle comunità. È molto raro che sianoprogrammate catechesi sull’argomen-to e che ci si impegni in una seria pre-parazione a una “morte cristiana”. Sidenuncia talvolta l’oblio dell’Unzionedei malati, ma nulla o quasi si dice più

circa il dovere da parte di tutti i bat-tezzati di ricevere l’Eucaristia primadel passaggio alla vita eterna. I Prae-notanda al Sacramento dell’Unzione ecura pastorale degli infermi chiarisco-no che i fedeli, in pericolo di morteper qualsiasi causa, “sono tenuti perprecetto a ricevere la santa comunio-ne”7. Dal canto loro, “i pastori devonovigilare perché non venga differital’amministrazione di questo sacramen-to, in modo che i fedeli ne ricevano ilconforto quando sono ancora nel pie-no possesso delle loro facoltà”8. Sitratta allora di promuovere nell’ani-mo di tutti una rinnovata percezionedel valore della comunione eucaristicanel momento del passaggio alla vitaeterna. Esto nobis praegustatum mor-tis in examine canta da secoli la Chiesanell’Ave, verum corpus. Questa suppli-ca custodisce una professione di fedenella consolante presenza sacramen-tale di Cristo che nell’ora decisiva do-vrebbe essere dal credente più chemai desiderata.

Il rito del viatico

Quando il viatico viene conferito aldi fuori della messa, il sacerdote9 giun-to presso il malato dà inizio alla cele-brazione con il saluto liturgico, depo-nendo poi l’Eucaristia per un momen-to di adorazione. Può aspergere quin-di, secondo l’opportunità, l’infermo ela stanza accompagnando il gesto conla formula “Ravviva in noi, Signore,nel segno di quest’acqua benedetta, ilricordo del Battesimo e la nostra ade-sione a Cristo Signore, crocifisso e ri-sorto per la nostra salvezza”. Come

Unzione degli infermi, Maso di Banco, Firenze, sec. XIV

Page 25: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 25

vedremo, non è questo l’unico richia-mo al Battesimo. Il viatico si pone in-fatti in diretta continuità con il mo-mento in cui è iniziato il cammino difede che ora sta per culminare nellavisione di Dio.

Terminata l’aspersione, e dopoun’opportuna monizione, sono previ-sti i riti penitenziali che consistononella confessione sacramentale del-l’infermo, quando è possibile, o inuna richiesta di perdono in formaanaloga a quella della Messa. In en-trambi i casi si può aggiungere l’in-dulgenza plenaria in articulo mortis,concessa unicamente dal sacerdotecon una di queste formule: “In virtùdella facoltà datami dalla Sede Apo-stolica, io ti concedo l’indulgenza ple-naria e la remissione di tutti i peccati,nel nome del Padre e del Figlio e del-lo Spirito santo. Amen”; oppure: “Peri santi misteri della nostra redenzio-ne, Dio onnipotente ti condoni ognipena della vita presente e futura, tiapra le porte del paradiso e ti condu-ca alla gioia eterna. Amen”10.

Alla proclamazione della Parola faseguito, naturalmente se le condizio-ni del malato lo consentono, la pro-fessione di fede con le domande pre-viste per il Rito del Battesimo. È il se-condo richiamo al momento della ri-generazione battesimale: l’infermoprima di entrare nella vita eterna èinvitato a rinnovare, per l’ultima vol-ta, le promesse in cui è condensatatutta la fede cattolica. Una brevepreghiera litanica prelude al viaticostrettamente inteso che comprendela recita del Padre nostro, l’ostensio-ne del santissimo Sacramento con laformula “Beati gli invitati…” e la co-

munione, accompagnata dalle paroleconsuete: “Il corpo / il sangue di Cri-sto”, a cui si aggiunge, subito o ap-pena dopo l’assunzione dell’Eucari-stia: “Egli ti custodisca e ti conducaalla vita eterna”. Questa particolareespressione risale all’alto-medioevoe, secondo Jungmann era destinataoriginariamente proprio ai malati11.Essa ha avuto notevole fortuna: conla necessaria variazione dalla secon-da alla prima persona, si trova già dalIX secolo per la comunione del sacer-dote durante la santa Messa12, ma èattestata pure, con lievi varianti, perquella dei fedeli13.

Dopo l’orazione conclusiva il ritotermina con la benedizione sempliceo triplice. Il testo di quest’ultima èuna splendida invocazione, che meri-terebbe di essere conosciuta e utiliz-zata anche in altri ambiti: “Il SignoreGesù Cristo sia accanto a te per pro-teggerti”. “Sia dinanzi a te per gui-darti, sia dietro a te per difenderti”.“Rivolga a te il suo sguardo, ti assistae ti benedica”.

Per concludere

Paolino di Milano nella sua Vita disant’Ambrogio annota che il vescovo“spirò, portando con sé il buon viatico(bonum viaticum secum ferens), inmodo che l’anima, ancor più rinvigori-ta in virtù di quel cibo, ora possa allie-tarsi della comunione degli angeli, lacui vita egli visse in terra, e della com-pagnia di Elia…”14. Onorato di Vercel-li, chiamato con prontezza, portò lasanta comunione ad Ambrogio appe-na prima che morisse.

Page 26: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

26 Culmine e Fonte 5-2003

Si scorge in questa biografia lapreoccupazione degli antichi di de-porre l’Eucaristia sulla lingua delmorente nel preciso momento delsuo trapasso. Questa esigenza giusti-ficava la ripetizione del rito nel me-desimo giorno e la possibilità del-l’amministrazione del viatico da par-te di laici, non potendo il sacerdoterimanere continuamente al capezza-le dell’infermo.

Una pastorale della sofferenza, at-tenta a quanto la tradizione cristianaci ha consegnato, può ancora oggitrovare una propria comprensionenon solo in chiave caritativa, ma an-che e soprattutto in senso sacramen-tale. Se la celebrazione della santamessa presso il morente esprime nellaforma più alta la presenza della comu-nità e con essa dell’intera Chiesa ac-

canto a un fratello o a una sorella chesta per tornare al Padre, non meno si-gnificativa risulterà la sollecitudine diministri straordinari a non far manca-re almeno la comunione eucaristicanell’ora decisiva, soprattutto nei con-testi in cui il clero è pressoché assente.Una rinnovata sensibilizzazione a li-vello laicale, che orienti in questa di-rezione, dovrebbe essere opportuna-mente promossa. Tanto si fa per incre-mentare il culto eucaristico, e con ri-sultati lodevoli. Mentre adora la pre-senza reale di Cristo nel tabernacoloogni fedele è chiamato, però, a nondimenticare ciò che l’Istruzione Eucha-risticum Mysterium ribadisce al n. 49:“Scopo primario e originario dellaconservazione nella chiesa delle santeSpecie al di fuori della messa è l’am-ministrazione del Viatico”.

—————————————1 Il termine greco ephódion utilizzato nel canone 13 di Nicea (cf. DENZINGER 129) corrisponde

esattamente al latino viaticum e ha una risonanza biblica, in particolare di tipo pasquale.Nella versione greca dei Settanta lo si trova nel libro del Deuteronomio per indicare laprovvista da viaggio da concedere a uno schiavo rimesso in libertà in occasione dell’annosabbatico (Dt 15,12b-15). Tale provvista era il segno concreto della avvenuta liberazione,liberazione singola che si ricollegava alla grande liberazione d’Israele (cf. S. MAZZARELLO,“Liturgia dei moribondi”, in Liturgia cristiana: messaggio di speranza. I nuovi riti dell’un-zione degli infermi, del Viatico e della raccomandazione dell’anima [Atti della XXIII Setti-mana Liturgica Nazionale. Bergamo 1972], Centro azione Liturgica – Messaggero, Padova1973: 91-107: 94).

2 Cf. Ph. ROUILLARD, “La celebrazione del Viatico”, in Scientia Liturgica. Manuale di Liturgia 3.L’Eucaristia, ed. A. Chupungco, Piemme, Casale Monferrato 21999, 300-306: 301.

3 È la prospettiva in cui si colloca l’Istruzione Eucharisticum mysterium che, parlando al n. 39 delViatico, lo considera “un segno speciale di partecipazione al mistero pasquale, celebrato nelsacrificio della Messa; del mistero, cioè, della morte del Signore e del suo transito al Padre. NelViatico, il fedele che sta per lasciare questa vita, fortificato dal corpo di Cristo, riceve il pegnodella risurrezione”.

4 Un esempio è offerto da Gregorio Magno nei suoi Dialoghi (II, 37, 2) in cui, parlando di Bene-detto, afferma che exitum suum dominici corporis et sanguinis percepitone munivit.

5 Les Ordines Romani du haut moyen age IV. Les textes (Ordines XXXV-XLIX), ed. M. Andrieu(Spicilegium Sacrum Lovaniense 28), Louvain 1956, 529.

Page 27: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 27

6 Cf. H. FRANK, “Der älteste erhaltene Ordo defunctorum der römischen Liturgie und sein Fortle-ben in Totenagenden des frühen Mittelalters”, Archiv für Liturgiewissenschaft 7 (1962) 363-364.

7 Cf. n. 27, che si apre dichiarando l’obbligo di ricevere il viatico per tutti i battezzati che posso-no ricevere la comunione. Come nota Scicolone, prima di un bombardamento si può (o si deve)dare il viatico, perché ci si trova in presenza di un pericolo di morte, ma non si può dare l’un-zione, se i soggetti non sono né malati, né vecchi (cf. A. SCICOLONE, “Unzione degli infermi”, inAnamnesis 3/1. La liturgia, i sacramenti: teologia e storia della celebrazione, Marietti, Genova41995, 205-242: 238.

8 Non ci sembra meno obbligante, contrariamente a quanto sostiene Rouillard (“La cele-brazione del Viatico”, 305), il contenuto del canone 921 del Codice di Diritto Canonicodel 1983, in cui in termini più sintetici, ma non meno efficaci si esprime il medesimo con-tenuto: “I fedeli che si trovano in pericolo di morte derivante da una causa qualsiasi, rice-vano il conforto della sacra comunione come Viatico (sacra comunione per modum Viati-cum reficiantur)”.

9 I Praenotanda al n. 29 avvertono che “ministri ordinari del Viatico sono il parroco e i vi-cari parrocchiali, i cappellani e il superiore della comunità negli istituti religiosi clericalie nelle società di vita apostolica, per tutti coloro che vivono nella casa. In caso di neces-sità o col permesso almeno presunto del ministro competente, qualsiasi sacerdote o dia-cono amministri il Viatico; in mancanza di un ministro sacro, qualunque fedele regolar-mente autorizzato”. Il rituale, per questa eventualità, suggerisce i necessari adattamentiin appendice.

10 Nel caso in cui il viatico venga conferito durante la Messa, l’indulgenza viene concessa al termi-ne, dopo la benedizione.

11 Cf. I. A. JUNGMANN, Missarum Sollemnia. Origini, liturgia, storia e teologia della messa romana 2,Marietti, Casale Monferrato 1961, 269.

12 Anche secondo il messale riformato a norma del Concilio Vaticano II, il sacerdote comunican-dosi deve dire: “Il corpo di Cristo / il sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna”.

13 Cf. I. A. JUNGMANN, Missarum Sollemnia 2, 292 (nota 117).14 PAOLINO DI MILANO, Vita di Sant’Ambrogio. La prima biografia del patrono di Milano, ed.

M. Navoni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 131. Il riferimento a Elia si spiega facilmen-te con il richiamo al pane miracoloso, riletto dalla tradizione cristiana come immaginedell’Eucaristia, che ridona forza al profeta e gli permette di raggiungere il monte di Dio,l’Oreb.

Page 28: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

28 Culmine e Fonte 5-2003

La Chiesa vive del Cristo eucaristico,da lui é nutrita, da lui é illuminata.L’Eucaristia é mistero della fedee insieme “mistero di luce”.(Giovanni Paolo II)

L a Chiesa ha sempre compresoche “ nella santissima eucaristiaé racchiuso tutto il bene spiri-

tuale, cioè lo stesso Cristo, nostra Pa-squa e pane vivo, che mediante la suacarne vivificata dallo Spirito Santo evivificante, dà vita agli uomini: questisono in tal modo invitati e indotti acoinvolgere con quella di Cristo l’of-ferta di se stessi, del loro lavoro e ditutte le cose create” 1.

Generata dal Mistero pasquale diCristo, la Chiesa nell’Eucaristia diventasacramento di salvezza per tutto il ge-nere umano, mediante il nutrimentodella Parola e del Pane di vita eterna.La comunità dei cristiani che celebradi otto giorni in otto giorni il coman-do di Gesù: ”Fate questo in memoriadi me”, rivive e scopre nella celebra-zione di questo sacramento la fontedel suo mistero, il senso del suo esserenel mondo e per il mondo, la sorgentedi vita per il suo quotidiano vivere esoffrire, e il culmine del cammino dicomunione con Dio Padre.

Un mistero celebrato che, per ave-re più grande efficacia, necessita di es-

sere compreso, adorato, vissuto in tut-ta la portata della sua ritualità di me-moria, di presenzialità e di profezia.Necessita cioè di essere contemplato eassimilato nel silenzio e nella preghie-ra in un hodie liturgico, in un temposantificato per dono dello Spirito, co-me oggi di salvezza.

La celebrazione eucaristica infattifa entrare realmente alla presenzadel mistero di Dio Padre che peramore dell’umanità dona suo Figlioper la salvezza di tutti. Partecipandointimamente, profondamente e real-mente a tale mistero noi siamo illu-minati, o meglio divinizzati e cosìtutti gli aspetti della vita, dai piùsemplici ai più complessi, vengonotoccati e trasformati dalla forza mi-steriosa, ma efficace, del sacramento.Per entrare nel mistero però abbiamobisogno di tempo, di molto tempoesteriore e interiore, come afferma ilcard. Martini nella sua lettera al cleroe ai fedeli Attirerò tutti a me perl’anno pastorale 1982-1983.

Per far entrare nel mistero, la cele-brazione richiede del tempo. Il tempoesteriore, perché possano essere posti,secondo un ritmo organico, i gesti chedanno figura e direzione ai pensieri,ai desideri, agli affetti. E soprattutto iltempo interiore, perché possa avveni-re, in una successione di atti spirituali,il duplice itinerario, che va dalle regio-

La Chiesa vive dell’EucaristiaAdorazione eucaristica, e non solo, è vita per la Chiesa di suor Loretta Moserle, ef

Page 29: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 29

ni della dissipazione, degli interessi di-sordinati e molteplici, delle divagazio-ni, delle dispersive relazioni con gliuomini e le cose verso il centro miste-rioso della vita; e dal mistero riparteper dare senso e vigore a tutti gliaspetti dell’esistenza.

Dalla celebrazione eucaristica l’adorazione

L’adorazione eucaristica nasce dallacelebrazione e, quasi il prolungamen-to, ne fa rivivere tutti gli aspetti, inquanto deve essere essa stessa glorifi-cazione del Padre in Cristo Gesù, ren-dimento di grazie per l’amore fedeledi Dio, offerta del mondo e delle cosecreate a Colui che ne è il donatore, of-ferta possibile solo con Cristo, in Cri-sto e per Cristo.

Il punto di partenza è perciò la ce-lebrazione eucaristica. Anche se vie-ne centrata sulle specie del pane, so-no tuttavia la persona di Cristo equella dei fratelli, che insieme for-mano il vero corpo sacramentale, adivenire oggetto di adorazione. Daqui nasce l’esigenza e la logica con-seguenza che l’adorazione del Corpodi Cristo conduca i cristiani a pren-dersi cura del corpo sofferente e ma-lato di ogni uomo, che in lui forma ilChristus totus.

Il punto di arrivo è la comunionecon Cristo e tra di noi, di cui la comu-nione sacramentale è simbolo. Nell’a-dorazione i fedeli credenti rinsaldanol’unione con Cristo e mediante essacercano tutte le strade per attuareuna vera comunione con tutti gli uo-mini. I cristiani sono resi capaci di su-

perare ogni divisione e ogni indivi-dualismo in forza di quel pane guar-dato, contemplato e mangiato. Comel’Eucaristia è il Sacramento dell’unità,così colui che adora l’Eucaristia vienereso da essa tessitore di unità e ope-ratore di pace.

Vedere è anche partecipare

Perché la celebrazione eucaristica,come qualsiasi celebrazione liturgica,abbia la sua efficacia e porti i fruttidesiderati, è necessario che il popolodi Dio vi partecipi in modo pieno, atti-vo, consapevole, interiore ed

Adorazione eucaristica, Madonnella di S. Marco, Roma

Page 30: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

30 Culmine e Fonte 5-2003

esteriore2. La partecipazione esigepresenza e coinvolgimento, presenzadi tutta la persona e coinvolgimentodi tutte le sue facoltà sensoriali ester-ne e interne. Tutta la persona nellasua corporeità e spiritualità è messa ingioco. I sensi del vedere, udire, tocca-re, odorare e gustare sono messi in at-to perché il mistero possa essere accol-to e assimilato. Così anche per l’adora-zione eucaristica, perché ”la visionedell’ostia si può considerare come unaautentica modalità di partecipazioneal mistero eucaristico”.3

Tuttavia questa modalità di parteci-pazione necessita di un passaggio: dalvedere al ri-conoscere, come i discepo-li di Emmaus i quali videro un vian-dante, ma riconobbero il Signore allospezzare del pane. Non basta vedere,é necessario ri-conoscere in ciò che sivede, in questo caso un pezzo di pa-ne, il segno sacramentale della pre-senza salvifica del Signore Risorto. Ènecessaria cioè la fede.

La visione conduce alla contempla-zione e la contemplazione all’assimila-zione. Non si può guardare l’ostia, pa-ne eucaristico, senza diventare noi stes-si pane di presenza e di dono per tutti.

La vera adorazione

L’adorazione eucaristica non è peròl’unica dimensione adorante nella vitadella Chiesa. Al centro di questa di-mensione c’é la celebrazione e taleadorazione è vera se continua in tuttal’esistenza. Estendere, allargare l’atteg-giamento e la pratica dell’adorazione,significa scoprire in essa le nostre radi-ci: radici di dipendenza dall’Assoluto,

radici di relazione con un Altro e congli altri, con un Tu, che sta molto al dilà, pur essendo molto vicino.

Adorare significa esprimere la sot-tomissione al mistero e adorarlo nelsegno povero dell’Eucaristia; significaesprimere il riconoscimento di una sal-vezza che viene a noi attraverso unpercorso umile, quello dell’Incarnazio-ne; significa testimoniare la centralitàdell’evento Cristo Crocifisso-Risorto,quale presenza reale, continua, fattivadel Verbo eterno nella povertà dellanatura umana, unica strada di accessoalla pienezza dell’incontro e dellaadorazione del Padre.

La liturgia, quando apre le portealla nostra lode della giornata, pun-tualmente ci invita: Venite, adoriamoil Signore. Lungo tutto l’anno liturgicola liturgia, introducendoci al misterodi salvezza che viene celebrato, ciapre a questa realtà e ci pone in at-teggiamento di adorazione.

Adorare Dio quindi è ri-conoscerlocome Dio e nella sua opera.

Adorare significa cogliere la suapresenza, essere coscienti della bipola-rità che attraversa la nostra vita: Lui,assoluto, indicibile, trascendente e iocreatura, limitata, relativa a... Solodall’evento dell’incarnazione abbiamola possibilità di far interagire i due po-li pur mantenendo le distinzioni;

Adorare significa educare losguardo: dal vedere al ri-conoscere.Da uno sguardo esteriore a uno inte-riore illuminato dallo Spirito e resocapace di fede.

Adorare significa ancora aprirel’orecchio al grido di una umanitàfrantumata e ricondurre qui, alla Pre-senza, ogni dispersione, per ri-torna-

Page 31: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 31

re nel mondo a dire la parola di sal-vezza, una parola che ricompone ledivisioni e invita all’unità, diventa co-struzione di riconciliazione e di pace.Si tratta di un circuito sostanziale:mondo-eucaristia-mondo. L’atteggia-mento adorante nella vita dell’uomoè una spinta a uscire da sé: l’adora-zione del Dio unico libera l’uomo dalripiegamento su se stesso, dallaschiavitù del peccato e dalla idolatriadelle cose create.

La vera adorazione diventerà al-lora quella che va “oltre” il vedere, lavera comunione sarà quella che va“oltre” il mangiare, in un camminoverso la parusia, in attesa sempre del-la venuta definitiva del Signore Gesùche sazia ogni fame e illumina ogniocchio. Comprendiamo così la parolache Gesù disse alla Samaritana:

“Né su questo monte, né a Gerusa-lemme adorerete il Padre... È giunto il

momento ed é questo, in cui i veriadoratori adoreranno il Padre in spiri-to e verità; perché il Padre cerca taliadoratori” (Gv 4, 21-23).

Questa adorazione porterà al co-struirsi graduale di una Chiesa sacra-mento di Dio, segno di unità e vincolodi carità. L’adorazione eucaristica èperciò via che conduce all’avverarsidel desiderio del Padre: adorare in spi-rito e verità.

Ci si potrà allora chiedere: qual èla vera adorazione?4 “E’ quella, af-ferma il prof. Ricca, che si dilata ver-so un Dio più grande... Dio é piùgrande della sua stessa rivelazione.Gesù Cristo che ha dilatato la cono-scenza di Dio rivelandolo come Pa-dre di tutti.

Dobbiamo ancora passare dal Pa-dre nostro al Padre di tutti.

La vera adorazione consiste in que-sto passaggio”, in questa pasqua.

—————————————1 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Presbyterorum ordinis, n. 5.2 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium n. 14.3 GIRARDI L., “Del vedere l’ostia...” La visione come forma di partecipazione, in RL 3(2000) p.

449-458.4 Su questo argomento si può vedere la brillante relazione del Prof. Paolo Ricca La vera adora-

zione fatta al II Convegno di spiritualità liturgica Adorare anelito della Chiesa sposa tenutosi aVicenza 10-13 agosto 1997. Gli atti sono raccolti in “Quaderni di Ecclesia Mater” n. 12 2 (1998)pp. 43-48.

Page 32: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

32 Culmine e Fonte 5-2003

“L a processione è un rito reli-gioso di significato univer-sale. Il suo simbolismo, il

gesto del camminare insieme, rispon-de ad un bisogno primario di quellaaggregazione con cui il gruppo acqui-sta consistenza. La processione ag-giunge alla celebrazione un elementodi notevole incidenza psicologica: ilpregare sottolineato dal movimento.La preghiera viene aiutata per unaespressione più fervente, la comunitàè potenziata nella sua unità. La suaimmagine è una lunga fila che, conpasso uniforme, procede lentamente,pregando e cantando o quella di uncorteggio con apparato cerimoniale,spesso in divise uniformi, in omaggioa un personaggio o a un segno sacro.

Si cammina non solo per arrivarema anche per vivere la strada: la pro-cessione aggiunge alla ritualizzazionedei sentimenti di penitenza, di suppli-ca e di ringraziamento un simbolismoche fa vedere gli uomini inseriti nellavita che si svolge fuori dell’ambientesacro, nei luoghi dove essi vivono e la-vorano. Mischiati nel cammino e unitinel canto, i credenti si scoprono affra-tellati, più coinvolti negli stessi pro-blemi.

La processione non è solo un cam-minare insieme comunque: prima dipartire, si raduna l’assemblea struttu-rata; essa parte da un determinatoluogo, cammina con un regolamentopreciso ed è diretta a una mèta ben

definita. Questi elementi arricchisconola celebrazione di valori psicologici esociologici di forte efficacia emozio-nale (che spesso si aggiungono a quel-li dell’eccezionalità)”1.

Queste considerazioni generali cosìchiare e puntuali sulla dimensione an-tropologica e sul senso simbolico dellaprocessione ci permettono di com-prendere come tale modo di manife-stare la propria appartenenza a undeterminato gruppo etnico o a unaidentica fede religiosa sia stato pre-sente fin dagli albori della storia uma-na.

Potremmo, infatti, rivisitare, attra-verso lo studio del passato, i diversipopoli, le svariate razze, le molteplicifedi religiose che dall’antichità si sonosuccedute durante i secoli in ogni par-te del mondo per evidenziare che laprocessione è sempre stata presentepresso tutti gli uomini di ogni conti-nente, popolo o nazione come la piùovvia e la più usuale pratica di mani-festazione del senso religioso dell’uo-mo.

Non produrremo, volutamente,nessun tipo di esempio per non incor-rere nell’errore della dimenticanza dicitazione storica di qualche fede reli-giosa e per non esaurire lo spazio di-sponibile, ma ci preoccuperemo direndere chiaro lo scopo di questa in-dagine sulla processione eucaristica,così cara e così radicata nella vita cri-stiana.

La processione del Corpo e Sangue del Signore di mons. Cosma Capomaccio

Page 33: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 33

Quando nasce e si sviluppa la pro-cessione del Corpus Domini?

Per risalire alle sue origini dovremogiungere a quel periodo dopo il 1100in cui si evidenzia un rigoglioso incre-mento della devozione eucaristica, ein particolare nella Gallia belgica, ami-ca Corporis Domini come la chiamasan Francesco2, a Liegi che ne era ilprincipale centro, e nel Monastero diMonte Cornelio, appunto presso Liegi,per aver notizia delle rivelazioni dellapriora la Beata Giuliana da Rétine chenel 1208 riferisce le prime visioni.

La religiosa rivela al suo padre spi-rituale Giovanni di Lausanne, canoni-co della chiesa di S. Martino di Liegi,che nelle sue estasi le viene segnalatocon insistenza che manca ancora unasolennità in onore del SS. Sacramento.

Le rivelazioni trovarono ottima ac-coglienza da parte di parecchi teologidomenicani fra i quali Guido di Laonvescovo di Cambrai, il cancelliere del-l’Università di Parigi, il provinciale deiFrati Domenicani di Liegi, Ugo di S. Caro e Giacomo Pantaleone diTroyes, arcidiacono di Liegi, e convin-sero il vescovo di Liegi Roberto di Tho-rote a istituire una festa in onore delCorpus Domini; il vescovo non solo laistituì fissandone la data al giovedìdopo l’ottava della festa della SS. Tri-nità, ma la celebrò egli stesso per laprima volta nel 1246.

Intanto Ugo di S. Caro, divenutocardinale della chiesa di S. Sabina aRoma e Legato della S. Sede nelleFiandre, confermò la festa nel 1252 ela prescrisse ai vescovi e al clero dellasua circoscrizione.

Nel 1262 Giacomo Pantaleone, l’ar-cidiacono di Liegi, poi vescovo di Ver-

dun e patriarca di Gerusalemme, di-venne papa con il nome di Urbano IV,e l’11 agosto 1264, dalla città di Or-vieto, emanò la Bolla Transiturus dehoc mundo, con la quale istituiva intutta la Chiesa la festa del Corpus Do-mini.

“La festa da una parte costituì unarisposta di fede e di culto a dottrineereticali sul mistero della presenzareale di Cristo nell’Eucaristia, dall’altrafu il coronamento di un movimento diardente devozione verso l’augusto Sa-cramento dell’altare. La pietà popola-re, dunque, favorì il processo istitutivodella festa del Corpus Domini; a suavolta, questa fu causa e motivo delsorgere di nuove forme di pietà euca-ristica nel popolo di Dio”3.

Dopo il 1317 si riscontra che talefesta si diffonde rapidamente anchein Italia, specialmente nei monasteribenedettini di Praglia, Norcia, Monte-cassino, e in seguito a Bologna, Mila-no, Genova e Napoli.

Papa Urbano IV, nella sua bollanon accenna propriamente ad unaprocessione teoforica, ma la lasciasupporre, anzi sembra ispirarla: Inipsa quinta feria devotae turbae fi-delium ad ecclesias affectuose con-currant, et tunc cleri ei populi paritercongaudentes, in cantica laudis sur-gant, tunc omnium corda et vota,ora et labia hymnos personent laeti-tiae salutaris, tunc psallat fides, spestripudiet, exultet caritas, devotioplaudat, jubilet puritas et sinceritasjucundetur.

I primi tentativi di processioneteoforica si ebbero nel 1265 a S. Ge-reone di Colonia, nel 1298 a Würz-burg, nel 1305 ad Augusta.

Page 34: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

34 Culmine e Fonte 5-2003

Intanto la pratica della processioneteoforica si consolida sempre più esempre più si espande nei territori li-mitrofi, tanto che nel 1320 in Francia icanoni del Concilio di Sens, ripetutitre anni dopo dal concilio di Parigi, at-testano senza ombra di dubbio la pro-cessione teoforica: his diebus cumquodammodo divina inspiratione in-troducta4 .

La processione teoforica del CorpusDomini la ritroviamo in Italia a Geno-va nel 1325, a Milano nel 1336, a Or-vieto nel 1337 e infine a Roma nel1356.

Molto probabilmente nei primitempi non si svolgeva con cadenza an-nuale, perché nell’OR. XV si nota l’e-spressione: si fiant processiones, ma inseguito, a poco a poco si inserì stabil-mente, divenendo l’occasione più at-tesa e più splendente della festa dalmomento che sia il clero, sia il popolotrovarono l’opportunità di rendere laprocessione teoforica sempre più son-tuosa, sempre meglio curata e sempremaggiormente affollata di personaggiimportanti, nobili, principi e re, perrendere ancor più trionfante il passag-gio del Re della gloria attraverso lestrade di città, paesi e borgate.

Durante la processione del CorpusDomini, l’Ostia consacrata era portatadapprima in reliquiari, di solito quelliusati per conservare le reliquie deisanti per i quali i reliquiari erano staticonfezionati, modificati applicandovinella parte superiore una lunettachiusa entro cristalli nei quali colloca-re la SS. Eucaristia, come quello men-zionato dall’inventario di Luigi d’An-giò, morto nel 1384, o quello rappre-sentato in una miniatura di un brevia-

rio del secolo XV conservato alla Bi-blioteca dell’Arsenale5 e come la mo-stranza di Salles-Curan del 1400.

In seguito, però, si avvertì l’inade-guato accostamento della SS. Eucari-stia con le reliquie di un santo e intor-no al secolo XVIII si proibì l’uso dei re-liquiari come mostranze dell’Ostiaconsacrata6.

Altre mostranze dell’Ostia consa-crata furono calici o pissidi di metalloprezioso modellati in forma cilindricao esagonale chiusi da ogni parte e ve-lati, ma in seguito, per condividere ildesiderio di vedere l’Ostia santa si in-ventarono delle mostranze od osten-sori dalle forme più svariate: crocitempestate di pietre preziose con cro-cifissi in oro o argento contenenti sot-to un cristallo le Sacre specie, statuet-te di Cristo risorto comprendenti l’O-stia al posto del cuore, troni costituitidalla statua della Vergine Maria in at-to di offrire all’adorazione l’Eucaristia,immagini di S. Giovanni Battista che,reggendo l’Agnello, mostrava l’OstiaSanta postagli sulla fronte come unaperla sfolgorante, tabernacoli di cri-stallo con edicole piramidali.

A Genova, fatto costruire nel 1553dai Padri del Comune e probabilmen-te ancora oggi in uso, uno spettacola-re portatorium d’argento era solleva-to da otto sacerdoti; per non parlaredi mostranze od ostensori preziosissi-mi costruiti dai migliori orafi di Spa-gna per le grandi cattedrali7.

La processione teoforica iniziava almattino dopo la messa, come prescri-veva il Pontificale Romanum, e giravaa lungo perché originava parecchiestazioni nelle chiese o in altari im-provvisati nelle piazze lungo il percor-

Page 35: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 35

so, spesso indugiando per consentireal sacerdote di benedire gruppi di per-sone o singoli personaggi che si incon-travano per via o che si associavanoalla processione: Faciet frequenter invia crucis cum Sacramento super do-minos de novo advenientes et genu-flectentes Sacramento8.

In generale le città furono le primead adottare la processione teoforicanella solennità del Corpus Domini,mentre l’accolsero più tardi i piccolipaesi e le borgate per il valido motivoche la cerimonia comportava spesenotevoli, sia per la suppellettile neces-saria, sia per il complesso personalelaico ed ecclesiastico richiesto ad assi-curarle un decoroso svolgimento9.

“La processione del Corpus Dominiè, in ordine di tempo, l’ultima dellaserie, ma, è divenuta la più importan-te di tutte. Nata, come prolungamen-to della messa, dal “desiderio di ve-dere l’ostia”, si è evoluta in festadella regalità di Cristo ed ha acquista-to carattere di lustrazione (la presen-za del Signore ‘benedice’ la città e gliuomini) e di adorazione (per suscita-re la fede nella presenza reale)…Lasproporzione tra l’importanza dellamessa e quella data alla processionenon deve sbilanciare il significato del-l’eucaristia; il culto eucaristico devemanifestare dipendenza, connessionee riferimento alla celebrazione, che haimportanza primaria”10.

Negli anni che seguono al ConcilioEcumenico Vaticano II, nei documentiche si occupano della SS. Eucaristia, siintroduce un Rito della comunionefuori della Messa e culto eucaristico.

“Le premesse di questo libro litur-gico sottolineano la centralità dell’Eu-

caristia come celebrazione a cui tuttoil culto eucaristico deve sempre fareriferimento. Tutto l’insieme di riti checircondano la conservazione dei donieucaristici, ha lo scopo di orientare ifedeli a vivere in modo sempre più in-tenso il mistero della celebrazione eu-caristica.

Le diverse presenze sacramentali diCristo nella liturgia hanno la loro sin-tesi nella presenza eucaristica, poichéad essa tendono e da essa ricevonotutta la loro vitalità.

Le espressioni rituali, le manifesta-zioni eucaristiche – quali le adorazioniprolungate, le processioni e i congres-si eucaristici – sono da vedersi comeoccasioni per una maggiore presa dicoscienza, da parte della comunità cri-stiana, della centralità della Messanella prospettiva della costruzionedella vita personale e comunitaria deicristiani”11.

Quando si tratta, dunque, dellaprocessione teoforica del CorpusDomini, con naturalezza si imponela riflessione teologica sullo strettis-simo rapporto con la celebrazioneeucaristica perché sappiamo beneche l’Eucaristia rappresenta il centroe la fonte della vita della comunitàcristiana.

“La processione nella solennità delCorpo e Sangue di Cristo è, per così di-re, la “forma tipo” delle processionieucaristiche. Essa infatti prolunga lacelebrazione dell’Eucaristia: subito do-po la Messa, l’Ostia, che in essa è stataconsacrata, viene portata fuori dal-l’aula ecclesiale perché il popolo cri-stiano “renda pubblica testimonianzadi fede e di venerazione verso il san-tissimo Sacramento”12.

Page 36: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

36 Culmine e Fonte 5-2003

Ci deve confortare tutta questamaterna premura della Chiesa chenon vuole spegnere o eliminare il na-turale trasporto e lo spontaneo desi-derio di manifestare l’amore del po-polo cristiano verso la presenza realedel Signore, ma ne stabilisce il regola-re svolgimento attraverso norme e di-sposizioni che ne esaltino la proclama-zione di fede in Lui, divenuto vera-mente per il popolo di Dio, l’Emma-nuel, il “Dio - con - noi”.

“La descrizione diffusa dei variaspetti della Messa costituisce un vivoparametro a cui tutte le altre celebra-zioni dei sacramenti e dei sacramenta-li che animano l’intero complesso del-la vita cultuale della Chiesa, devonofar evidente riferimento”13.

Nel Proemio dei P.N.M.R. al cap.II,n.7, si afferma: “Nella Messa o Cenadel Signore, il popolo di Dio è chiama-to a riunirsi insieme sotto la presiden-za del sacerdote, che agisce nella per-sona di Cristo, per celebrare il memo-riale del Signore, cioè il sacrificio eu-caristico14.

Per questa riunione locale dellasanta Chiesa vale perciò in modo emi-nente la promessa di Cristo: ‘Là dovesono due o tre radunati nel mio no-me, io sono in mezzo a loro’ (Mt 18,20).

Infatti nella celebrazione dellaMessa, nella quale si perpetua il sacri-ficio della Croce15, Cristo è realmentepresente nell’assemblea dei fedeli riu-niti in suo nome, nella persona del mi-nistro, nella sua parola e in modo so-stanziale e permanente sotto le specieeucaristiche”16.

Non deve affatto meravigliare chela Chiesa, quale madre attenta e pre-

murosa, convogli tutto l’interesse,l’impegno e la riflessione dei suoi figlisull’Eucaristia dal momento che èsempre vero l’assioma, ripetuto anchedal papa Giovanni Paolo II nella suaultima lettera enciclica Ecclesia de Eu-caristia, che l’Eucaristia edifica laChiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia.

“La celebrazione dell’Eucaristia è ilcentro di tutta la vita cristiana, sia perla Chiesa universale che per le comu-nità locali della Chiesa stessa. Infatti“tutti gli altri sacramenti, come puretutti i ministeri ecclesiastici e le operedi apostolato hanno uno stretto rap-porto con l’Eucaristia e sono ad essaordinati”. Nella santissima Eucaristia èracchiuso tutto il bene spirituale dellaChiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pa-squa e pane vivo, che, mediante la suacarne vivificata dallo Spirito Santo evivificante, dà vita agli uomini: questisono in tal modo invitati e indotti acoinvolgere con quella di Cristo l’of-ferta di se stessi, del loro lavoro e ditutte le cose create”17.

Tutta questa insistenza sull’impor-tanza esistenziale per il cristiano dellasantissima Eucaristia dovrebbe indurrela nostra intelligenza a riflettere sul-l’essenziale messaggio che viene pro-posto e che deve permeare, sostenere,rendere comprensibile e manifestare ilvero e reale significato teologico dellapresenza di Cristo risorto: infatti, nelleprocessioni eucaristiche, in cui l’Euca-ristia viene portata solennemente perle vie con accompagnamento di canti,il popolo cristiano rende pubblica te-stimonianza di fede e di venerazioneverso il santissimo Sacramento18.

In questo caso la fede e la venera-zione sono supportati dalla dimensio-

Page 37: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 37

ne antropologica, precedentementeillustrata, del camminare insieme co-me manifestazione visibile dell’unitàche scaturisce dall’Eucaristia e che cirende più che mai fratelli perché ci ali-mentiamo dell’unico pane e dell’uni-co calice19, del pregare sottolineatodal movimento che simboleggia ilcammino della fede supportato dall’a-zione salvifica della preghiera, del vi-vere la strada quale dimostrazionepersonale e collettiva della vita cristia-na che non è affatto avulsa dalla so-cietà civile, ma anzi deve sostanziarlacon azioni di testimonianza della pre-senza del Cristo nel mondo.

“Tra le processioni eucaristiche, sidistingue per importanza e per signifi-cato nella vita pastorale della parroc-chia o della città quella annuale nellasolennità del Corpo e Sangue di Cri-sto, o in altro giorno più opportuno inprossimità di questa solennità. Convie-ne pertanto che là dove le circostanzeattuali lo permettono e la processionepuò essere davvero un segno della fe-de e dell’adorazione del popolo, essasi conservi, a norma del diritto”20.

Le parole del libro liturgico sonoestremamente pertinenti e non dannoadito ad altre interpretazioni dal mo-mento che solo la fede, e una fede ar-dente, adulta e responsabile, può de-terminare la presenza del popolo diDio, di coloro che sentono il bisognodi testimoniare senza alcun rispettoumano e senza alcuna esitazione e di-sagio la propria adorazione indiscussa,appassionata e calorosa a Colui cheper amore e solo per amore ha volutorestare per sempre con l’uomo: “Ecco,io sono con voi tutti i giorni, fino allafine del mondo” (Mt 28, 20b).

È indispensabile ricordare che perragione del segno non si deve maistaccare, sradicare od opporre l’adora-zione alla santissima Eucaristia dallacelebrazione della Messa nella quale ilSignore: “… è presente… sotto le spe-cie eucaristiche: una presenza, questa,assolutamente unica, perché nel sacra-mento dell’Eucaristia vi è il Cristo tut-to e intero, Dio e uomo, sostanzial-mente ed ininterrottamente”21.

“La devozione eucaristica, così ra-dicata nel popolo cristiano, deve tut-tavia essere educata a cogliere duerealtà di fondo:

- che supremo punto di riferimentodella pietà eucaristica è la Pasqua delSignore; la Pasqua, infatti, secondo lavisione dei Padri, è la festa dell’Eucari-stia, come, d’altra parte, l’Eucaristia èanzitutto celebrazione della Pasqua,ossia della Passione, Morte e Risurre-zione di Gesù;

- che ogni forma di devozione eu-caristica ha un intrinseco riferimentoal Sacrificio eucaristico o perché dispo-ne alla sua celebrazione o perché pro-lunga gli orientamenti cultuali ed esi-stenziali da essa suscitati”22.

La giusta preoccupazione della ma-dre Chiesa, dunque, è quella di farcomprendere ai cristiani che le proces-sioni eucaristiche, e in particolar mo-do quella del Corpus Domini, sono ec-cellenti occasioni per ricordare a tuttiche il centro, la fonte e il culmine del-la vita di fede è l’Eucaristia.

“Secondo quanto indicato ai nn. 1-6a motivo del segno è preferibile chela processione con il santissimo Sacra-mento si faccia immediatamente dopola Messa, nella quale viene consacratal’ostia da portarsi poi in processione.

Page 38: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

38 Culmine e Fonte 5-2003

Nulla vieta però che la processione sisvolga a coronamento di un’adorazio-ne pubblica e prolungata, fatta dopola Messa”23.

È interessante, inoltre, non dimen-ticare il senso ed il significato della lu-strazione che pervade e che, certa-mente, è stata una delle importanticomponenti che hanno provocato ilsorgere della processione del CorpusDomini: Gesù passa per le strade dellenostre città, dei nostri paesi e dellenostre borgate benedicendo non solocoloro che lo accolgono e che lo accla-mano, ma anche i curiosi, gli indiffe-renti o gli avversari, come facevaquando passava per le strade della Pa-lestina.

Ancora oggi, probabilmente in nu-mero inferiore al passato anche recen-te, la processione del Corpus Dominisosta presso piccoli altari posti in luo-ghi ben determinati affinché il sacer-dote possa benedire con il santissimoSacramento i partecipanti e coloro chesi accodano o assistono allo snodarsidella processione.

Il sentimento di adorazione verso ilsantissimo Sacramento, che pervadeogni gesto dei fedeli e li coinvolge inquesta manifestazione specialissima, èsempre presente nella dimensione af-fettiva ed emozionale dei cristiani chesembrano voler prolungare, anzi noninterrompere mai, la personale e co-munitaria partecipazione al dialogocon il Signore Gesù:

“La fede nella presenza reale delSignore conduce naturalmente allamanifestazione esterna e pubblica diquella fede medesima.(…) La pietà,dunque, che spinge i fedeli a prostrar-si presso la santa Eucaristia, li attrae a

partecipare più profondamente al mi-stero pasquale e a rispondere con gra-titudine al dono di colui che con lasua umanità infonde incessantementela vita divina nelle membra del suoCorpo. Trattenendosi presso Cristo Si-gnore, essi godono della sua intimafamiliarità e dinanzi a lui aprono il lo-ro cuore per loro stessi e per tutti i lo-ro cari e pregano per la pace e la sal-vezza del mondo. Offrendo tutta laloro vita con Cristo al Padre nello Spi-rito Santo, attingono da quel mirabilescambio un aumento di fede, di spe-ranza e di carità. Alimentano quindicosì le giuste disposizioni per celebra-re, con la devozione conveniente, ilmemoriale del Signore e ricevere fre-quentemente quel Pane che ci è datodal Padre”24.

Su tali solide basi teologiche la pro-cessione, che caratterizza la solennitàdel Corpus Domini, dovrebbe espri-mere, soprattutto oggi, non un sem-plice gesto di doveroso e pubblicoonore, ma la missione della Chiesa diportare per le strade del mondo lapresenza viva di quel Cristo che si èfatto cibo e bevanda per l’uomo incammino verso l’ultima terra promes-sa. Ai cristiani, quindi, il compito di es-sere portatori di Cristo, testimoni efautori di comunione e di salvezza.

“Nell’organizzazione delle proces-sioni eucaristiche si tenga conto delleconsuetudini locali sia per l’addobbodelle vie e delle piazze, che per lacomposta sfilata di quanti vi parteci-pano. Nel corso della processione, sela consuetudine lo comporta e se loconsiglia il bene pastorale, si possonoanche fare delle stazioni o soste con labenedizione eucaristica. I canti e le

Page 39: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 39

preghiere che si fanno, portino tutti amanifestare la loro fede in Cristo uni-camente intenti alla lode delSignore”25.

Questa ultima indicazione del libroliturgico ha lo scopo di orientare sem-pre più e sempre meglio il trasportoemozionale ed affettivo dei cristianiverso la presenza reale di Cristo Signo-re, il santissimo Sacramento portatoprocessionalmente e solennementeper le strade degli uomini del nostrotempo.

Il Direttorio su pietà popolare e li-turgia, appunto per questo, amplificae completa la su citata norma per ren-derla più vicina alla esuberanza dellapietà popolare e per arginare, ove vene fosse bisogno, il desiderio di ecce-dere e andare oltre il buon gusto e lasemplicità essenziale del dettato dellafede: “È necessario tuttavia che nelleprocessioni eucaristiche siano osserva-te le norme che ne regolano lo svolgi-mento, in particolare quelle che negarantiscono la dignità e la riverenzadovuta al santissimo Sacramento; ed èpure necessario che gli elementi tipicidella pietà popolare, come l’addobbodelle vie e delle finestre, l’omaggiodei fiori, gli altari dove verrà collocatoil Santissimo nelle soste del percorso, icanti e le preghiere “portino tutti amanifestare la loro fede in Cristo, uni-camente intenti alla lode del Signo-re”, e alieni da forme di competizio-ne”26.

Lo svolgimento della processione, edi questa in particolare, deve necessa-riamente essere preparato con tuttal’attenzione e la cura possibili affinchénessun disagio si possa avvertire, nes-sun ostacolo sia in grado di frapporsi,

nessun improvviso mutamento sia per-messo di inserirsi nell’ordinato, sere-no, coinvolgente snodarsi di questaforma incomparabile di procedere perle strade e fra la gente fino alla natu-rale fase conclusiva.

“Le processioni eucaristiche si con-cludono ordinariamente con la bene-dizione del santissimo Sacramento.Nel caso specifico della processionedel Corpus Domini, la benedizione co-stituisce la conclusione solenne dell’in-tera celebrazione: al posto della con-sueta benedizione sacerdotale vieneimpartita la benedizione con il santis-simo Sacramento.

È importante che i fedeli compren-dano che la benedizione con il santis-simo Sacramento non è una forma dipietà eucaristica a sé stante, ma è ilmomento conclusivo di un incontrocultuale sufficientemente prolungato.Perciò la norma liturgica vieta “l’espo-sizione fatta unicamente per imparti-re la benedizione””27.

L’ultima frase propone una rifles-sione seria e attenta sulla tentazionedei fedeli di contemplare la benedi-zione con il santissimo Sacramento co-me un’azione liturgica (sacra) comple-tamente separata dalla celebrazioneeucaristica; insomma come un mo-mento assolutamente indipendenteda altre occasioni di adorazione del-l’Eucaristia e come un gesto di insosti-tuibile intimità personale con il Signo-re, che con la sua benedizione provo-ca una intensa emozione e un profon-do fervore nei cuori dei partecipanti.

Se devono essere rispettate e osser-vate con cura le suddette indicazionitendenti a scoraggiare ogni forma dipartecipazione e di presenza anomali,

Page 40: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

40 Culmine e Fonte 5-2003

sorge spontanea la domanda: oggi nelnostro tempo, è ancora valida ed at-tuale, efficace e proficua questa pub-blica testimonianza di fede e di amoreverso il santissimo Sacramento?

“La processione appare un fattosolido e fondato e un segno atto a ce-lebrare il mistero di Cristo (e non sol-tanto un fenomeno religioso suscetti-bile di essere cristianizzato). Un atteg-giamento ‘iconoclasta’, al riguardo,sarebbe errato e ingiusto. La proces-sione è un valore per se stessa, richie-de di essere ristudiata e acculturatacon chiarezza. Tuttavia dallo studiodella storia, risulta che, con il decade-re della liturgia, la processione si è ca-ricata via via di elementi negativi: si èpassati dalle processioni memoriali aquelle devozionali, ma ancor più essesono scadute da un piano cristiano aun piano semplicemente religioso(con tutte le possibili contaminazionia cui può andare soggetto il sacro).

Talora le processioni si risolvono inuna sfilata di associazioni, di religiosie di clero tra due ali di popolo passi-vo; o in una parata folkloristica di di-gnitari, di ecclesiastici e laici (questi,magari non credenti), che esibisconocimeli storici; o in una anacronisticaparata trionfale di una minoranza,per quanto sincera e fervente, inmezzo a un popolo che assiste senzala fede necessaria per cogliere il signi-ficato della celebrazione”28.

Anche se il riferimento proposto èapplicabile a ogni tipo di processione,non sembra totalmente lontano da di-verse prove tangibili di processioni delCorpus Domini, forse meno consueteche nel passato, ma non ancora deltutto infrequenti nei nostri giorni.

Ripensando, quindi, a varie espe-rienze di procedere e camminare in-sieme intaccate da una marcata dimo-strazione esteriore che denunciaun’assenza di vitalità interiore e diuna religiosità ridotta a episodio, sen-za traduzione nella vita, non ci apparetroppo determinata e rigorosa la ma-terna preoccupazione della Chiesa cheattraverso i suoi documenti ufficialitende ad offrire al popolo cristiano laproposta di una fede consapevole,adulta e appagante che si può anchemanifestare attraverso questa formadi pubblica adorazione del santissimoSacramento.

“Questa tipologia aiuta a capireperché, in un mondo secolarizzato epluralista che risveglia il senso criti-co, esista, soprattutto tra i giovani enel mondo della cultura e del lavo-ro, un’allergia verso le processioni, omeglio, verso una certa loro immagi-ne prodottasi nel corso della sto-ria”29.

La processione del Corpus Domini,pertanto, può essere ancora oggi unaincontrovertibile testimonianza dell’a-more e dell’adorazione che i cristianiportano da sempre all’Eucaristia e puòdiventare una autentica manifestazio-ne di una fede che non ha bisogno diorpelli o di aggiunte inutili, ma che sidimostra attraverso gesti e segni chesi fanno linguaggio universale dellarealtà teandrica presente nel pubblicoprocedere e significare il camminodella fede.

Sarebbe troppo presuntuosa la ten-tazione di proporre modi di operare opiste da seguire dal momento che idocumenti della Chiesa sono non solochiari, ma convincenti e coinvolgenti.

Page 41: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 41

L’impegno pastorale, allora, è quel-lo di non preferire soluzioni che ab-biano maggior successo, ma quelle piùvalide verso le quali ci orienta l’auten-tica tradizione, dal momento che leprocessioni, e in modo specialissimoquella del Corpus Domini, devono es-sere autentici atti di culto pubblico econvincenti testimonianze di fede.

Sarebbe veramente interessante, eanche gratificante, leggere la proces-sione del Corpus Domini nell’ottica fi-gurativa e simbolica proposta dallaSacra Scrittura nella stupenda dimen-sione poetica che ci viene donata dalCantico dei Cantici, il più bel Cantico,che canta in un susseguirsi di poemil’amore reciproco di un amato, chia-mato re e Salomone e di un’amata,chiamata la sulammita (nome accosta-to a quello di Salomone): l’amore diDio per Israele e quello del popolo peril suo Dio, il rapporto d’amore del Cri-sto con la sua Chiesa (Ef 5, 23-32).

“ Che cos’è che sale dal deserto come una colonna di fumo,esalando profumo di mirra e d’incensoe d’ogni polvere aromatica?Ecco, la lettiga di Salomone:sessanta prodi le stanno intorno,tra i più valorosi d’Israele.Tutti sanno maneggiare la spada,sono esperti nella guerra;ognuno porta la spada al fiancocontro i pericoli della notte.Un baldacchino s’è fatto il re Salomone,con legno del Libano.Le sue colonne le ha fatte d’argento,d’oro la sua spalliera;il suo seggio di porpora,il centro è un ricamo d’amoredelle fanciulle di Gerusalemme.Uscite figlie di Sion,guardate il re Salomonecon la corona che gli pose sua madre,nel giorno delle sue nozze,nel giorno della gioia del suocuore”.(Ct 3, 6-11)

La celebrazione eucaristica, che si compie nella messa, è azione non solo delCristo, ma anche della Chiesa. In essa infatti il Cristo, perpetuando nei secoli inmodo incruento il sacrificio compiuto sulla croce, mediante il ministero dei sacer-doti, si offre al Padre per la salvezza del mondo. E la Chiesa, sposa e ministra diCristo, adempiendo con lui all’ufficio di sacerdote e vittima, lo offre al Padre einsieme offre tutta se stessa con lui.

La celebrazione dell’Eucaristia nel sacrificio della messa è veramente l’origine e ilfine del culto che si rende ad essa al di fuori della messa. Infatti non solo le sacrespecie che restano dopo la messa derivano da essa, ma vengono conservate per-ché i fedeli che non possono partecipare alla messa, per mezzo della comunionesacramentale, ricevuta con le dovute disposizioni, si uniscano a Cristo e al suo sa-crificio, che è celebrato nella messa.Perciò lo stesso sacrificio eucaristico è la fonte e il culmine di tutto il culto dellaChiesa e di tutta la vita cristiana. A questo sacrificio di rendimento di grazie, dipropiziazione, di impetrazione e di lode i fedeli partecipano con maggiore pie-nezza, quando non solo offrono al Padre con tutto il cuore, in unione con il sa-cerdote, la sacra vittima e, in essa, loro stessi; ma ricevono pure la stessa vittimanel sacramento.

Eucharisticum mysterium, n. 3

Page 42: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

42 Culmine e Fonte 5-2003

—————————————1 S. ROSSO, Processione, in Nuovo Dizionario di Liturgia, a cura di D. Sartore e A. M. Triacca, Ro-

ma 1984, 1111.2 TOMMASO da CELANO, Legenda II, in “Analecta Franciscana”, 10 (1927), n. 201, 2453 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio su pietà popolare e liturgia, Orientamenti,

p. II, n. 160, Città del Vaticano 2002, 135.4 D. MANSI, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XXV, Firenze 1759, 647.5 E. DUMOUTET, Storia del rito dell’elevazione e dell’esposizione del santissimo Sacramento, in

Enciclopedia Eucaristica, XI, cap. II, Milano 1964, 443.6 M. ANDRIEU, Reliquaires et monstrances eucharistiques, in Mélanges Peeters, (1950) II, 397.7 M. RIGHETTI, L’anno liturgico, in Manuale di Storia liturgica, vol. II, ed. anastatica, Milano 1969,

329-334. 8 F. ARENS (ed.), Liber Ordinarius, Collegiata di Essen, Paderborn 1908, 94.9 M. RIGHETTI, La Messa, in op. cit., vol. III, 609.10 S. ROSSO, op. cit., 1116.11 A. DONGHI (a cura di), Scheda di lettura, Praenotanda dei nuovi libri liturgici, Milano 1988, 31412 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, op. cit., n. 162, 136.13 A. DONGHI (a cura di), Scheda di lettura, Rito della Messa, op. cit., 98.14 Cf PO 5; SC 33.15 Cf Conc. Trid., sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio, cap. 1: DS 1739-1742; Paolo VI, Sol-

lemnis professio fidei, 30.6.1968, n.24: EV III, 560.16 Cf SC 7; MF : EV II, 424; EM 9.17 CEI, Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico, Introduzione generale, I, 1, LEV

1979, 13; Cf PO 5.18 Ibidem, Processioni eucaristiche, cap. III, II, 101, 79.19 Messale Romano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promul-

gato da papa Paolo VI, CEI, Preghiera eucaristica II: “Ti preghiamo umilmente: per la comunio-ne al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo”, Città del Vaticano1983, 396.

20 CEI, Rito della comunione…, op. cit., cap. III, II, 102, 79.21 Ibidem, Introduzione generale, II, 6, 15.22 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, op. cit., n. 161, 135-13623 CEI, Rito della comunione…, op. cit., cap. III, II, 103, 79.24 Enchiridion Vaticanum, Eucharisticum mysterium, nn. 49-50, EDB 1963-1967, 1141.25 CEI, Rito della comunione…, op. cit., cap. III, II, 10e, 80.26 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, op. cit., n. 162, 136-13727 Ibidem, 163, 137.28 S. ROSSO, op. cit., 1117.29 Loc. cit.

Page 43: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 43

“L a Chiesa vive dell’Eucari-stia. Questa verità nonesprime soltanto un’espe-

rienza quotidiana di fede, ma racchiu-de in sintesi il nucleo del mistero dellaChiesa. Con gioia essa sperimenta inmolteplici forme il continuo avverarsidella promessa: “Ecco, io sono con voitutti i giorni, fino alla fine del mon-do” (Mt 28,20); ma nella sacra Eucari-stia, per la conversione del pane e delvino nel corpo e nel sangue del Signo-re, essa gioisce di questa presenza conun’intensità unica. Da quando, con laPentecoste, la Chiesa, Popolo dellaNuova Alleanza, ha cominciato il suocammino pellegrinante verso la patriaceleste, il Divin Sacramento ha conti-nuato a scandire le sue giornate, riem-piendole di fiduciosa speranza.”

Così si apre l’Enciclica Ecclesia deEucharistia sul tema dell’Eucaristia nelsuo rapporto con la Chiesa, che il San-to Padre Giovanni Paolo II ha firmatolo scorso 17 aprile, Giovedì Santo, oc-casione in cui abitualmente rivolgevauna Lettera ai Sacerdoti. “Da quandoho iniziato il mio ministero di Succes-sore di Pietro, ho sempre riservato alGiovedì Santo, giorno dell’Eucaristia edel Sacerdozio, un segno di particola-re attenzione, inviando una lettera atutti i sacerdoti del mondo. Quest’an-no, venticinquesimo per me di Pontifi-cato, desidero coinvolgere più piena-mente l’intera Chiesa in questa rifles-sione eucaristica, anche per ringrazia-re il Signore del dono dell’Eucaristia edel Sacerdozio”.

Nell’introduzione al documento,il Papa ricorda che giustamente ilConcilio Vaticano II ha proclamato ilSacrificio eucaristico “fonte e apice ditutta la vita cristiana”, in quanto“nella santissima Eucaristia è racchiu-so tutto il bene spirituale della Chie-sa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pa-squa e pane vivo che, mediante lasua carne vivificata dallo Spi-rito Santo e vivificante, dàvita agli uomini”. Il Cenacolodi Gerusalemme, luogo del-l’istituzione di questo Sacra-mento, è stato meta del pel-legrinaggio del Papa nel corso delGrande Giubileo dell’anno 2000. “So-no grato al Signore Gesù che mi hapermesso di ripetere nello stesso luo-go, obbedendo al suo comando: “Fa-te questo in memoria di me” le paro-le da Lui pronunciate duemila annifa” scrive il Papa, sottolineando co-me “dal mistero pasquale nasce laChiesa. Proprio per questo l’Eucari-stia, che del mistero pasquale è il sa-cramento per eccellenza, si pone alcentro della vita ecclesiale.” Ciò valedalla prima comunità riunita intornoagli Apostoli, che era solita parteci-pare alla “frazione del pane”, allaChiesa del nostro tempo: “Dopo due-mila anni continuiamo a realizzarequell’immagine primigenia dellaChiesa. E mentre lo facciamo nellaCelebrazione eucaristica, gli occhidell’anima sono ricondotti al Triduopasquale: a ciò che si svolse la seradel Giovedì Santo, durante l’Ultima

Ecclesia de Eucharistia (1) di Stefano Lodigiani

Testi edocumenti

Page 44: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

44 Culmine e Fonte 5-2003

Cena, e dopo di essa. L’istituzionedell’Eucaristia infatti anticipava sa-cramentalmente gli eventi che di lì apoco si sarebbero realizzati, a partiredall’agonia del Getsemani.”

Ripercorrendo il cammino delSignore dal Cenacolo all’orto degliUlivi, il Papa evidenzia che “il san-gue, che aveva poco prima consegna-to alla Chiesa come bevanda di sal-vezza nel Sacramento eucaristico, co-minciava ad essere versato; la sua ef-fusione si sarebbe poi compiuta sul

Golgota, divenendo lo stru-mento della nostra redenzio-ne”. La Chiesa, “mentre ad-dita il Cristo nel mistero del-la sua Passione, rivela ancheil suo proprio mistero: Eccle-

sia de Eucharistia. Se con il dono del-lo Spirito Santo a Pentecoste la Chie-sa viene alla luce e si incammina perle strade del mondo, un momentodecisivo della sua formazione è certa-mente l’istituzione dell’Eucaristia nelCenacolo”. Il suo fondamento e lasua origine è l’intero Triduo Pasqua-le, che è “come raccolto, anticipato,e “concentrato” per sempre nel donoeucaristico. In questo dono Gesù Cri-sto consegnava alla Chiesa l’attualiz-zazione perenne del mistero pasqua-le. Con esso istituiva una misteriosa“contemporaneità” tra quel Triduo elo scorrere di tutti i secoli”.

Questo pensiero non può che su-scitare sentimenti di gratitudine e distupore, che sempre la Chiesa deveprovare quando è raccolta nella cele-brazione eucaristica e in modo spe-ciale devono accompagnare il mini-stro dell’Eucaristia, che grazie al sa-cramento dell’Ordinazione sacerdo-

tale, compie la consacrazione. “Que-sto “stupore” eucaristico desidero ri-destare con la presente Lettera enci-clica, in continuità con l’eredità giu-bilare” scrive il Papa. “Contemplare ilvolto di Cristo, e contemplarlo conMaria, è il “programma” che ho ad-ditato alla Chiesa all’alba del terzomillennio… Contemplare Cristo im-plica saperlo riconoscere dovunqueEgli si manifesti, nelle sue molteplicipresenze, ma soprattutto nel Sacra-mento vivo del suo corpo e del suosangue. La Chiesa vive del Cristo eu-caristico, da Lui è nutrita, da Lui è il-luminata”.

Durante il suo ministero sacerdo-tale il Papa ha potuto celebrare laSanta Messa “in cappelle poste suisentieri di montagna, sulle spondedei laghi, sulle rive del mare; l’ho ce-lebrata su altari costruiti negli stadi,nelle piazze delle città... Questo sce-nario così variegato delle mie Cele-brazioni eucaristiche me ne fa speri-mentare fortemente il carattere uni-versale e, per così dire, cosmico. Sì,cosmico! Perché anche quando vienecelebrata sul piccolo altare di unachiesa di campagna, l’Eucaristia èsempre celebrata, in certo senso, sul-l’altare del mondo. Essa unisce il cieloe la terra. Comprende e pervade tut-to il creato… il mondo uscito dallemani di Dio creatore torna a Lui re-dento da Cristo.”

L’Eucaristia “è quanto di più pre-zioso la Chiesa possa avere nel suocammino nella storia” come emergeconsiderando l’opera dei Concili e deiSommi Pontefici al riguardo. A questoimpegno del Magistero ha fatto ri-scontro una crescita interiore della co-

Testi edocumenti

Page 45: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 45

munità cristiana. “Non c’è dubbio chela riforma liturgica del Concilio abbiaportato grandi vantaggi per una piùconsapevole, attiva e fruttuosa parte-cipazione dei fedeli al santo Sacrificiodell’altare. In tanti luoghi, poi, l’ado-razione del santissimo Sacramentotrova ampio spazio quotidiano e di-venta sorgente inesauribile di santità.La devota partecipazione dei fedeli al-la processione eucaristica nella solen-nità del Corpo e Sangue di Cristo èuna grazia del Signore che ogni annoriempie di gioia chi vi partecipa. Altrisegni positivi di fede e di amore euca-ristici si potrebbero menzionare”.

Accanto a queste luci, il Papa nonmanca però di evidenziare alcuneombre: l’abbandono in alcuni luoghi

del culto di adorazione eucaristica;gli abusi che contribuiscono ad oscu-rare la retta fede e la dottrina catto-lica su questo Sacramento; una com-prensione riduttiva del Mistero euca-ristico vissuto come un incontro con-viviale fraterno; alcune iniziativeecumeniche che indulgono a prassieucaristiche contrarie alla disciplinanella quale la Chiesa esprime la suafede. “Confido che questa mia Lette-ra enciclica possa contribuire effica-cemente a che vengano dissipate leombre di dottrine e pratichenon accettabi l i , aff inchél’Eucarist ia continui a r i -splendere in tutto il fulgoredel suo mistero”. (1-continua)

Testi edocumenti

Page 46: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

46 Culmine e Fonte 5-2003

C on queste parole il Signore ciinsegna che i suoi discepoli so-no persone che stanno di fron-

te a Dio con integrità, onestà e senzapretese. Chi è puro di cuore è vera-mente devoto a Dio e al suo servizio.La descrizione di queste persone si

trova nel salmo 24,4-6 :”Chiha mani innocenti e cuorepuro, chi non pronunziamenzogna, chi non giura adanno del suo prossimo. Ot-terrà benedizione dal Signo-

re, giustizia da Dio sua salvezza. Eccola generazione che lo cerca, che cercail tuo volto, Dio di Giacobbe“. La pa-rola cuore indica l’intera persona. For-se perché si tratta dell’organo più es-senziale per la vita è venuto a signifi-care l’essenza della persona.

Come persone alla sequela di Cristosiamo chiamati a centrare la nostra vi-ta su Dio e sul suo servizio. Il Signoreci ricorda di cercare Dio in tutte le co-se quando ci ha detto :”Cercate primail Regno di Dio e la sua giustizia e tut-te queste cose vi saranno date in ag-giunta“ (Mt 6,33). Gesù mette l’accen-to sul fatto che la nostra intera esi-stenza deve essere orientata a Dio. In-fatti Dio è nostro Padre e la fonte diogni vita e santità. Quindi nessuna co-sa e persona può essere più importan-te di Lui. Dobbiamo essere vigilanti af-finché nessun idolo possa prendere ilposto del Dio vivente. Tutti gli inse-gnamenti spirituali hanno il significa-

to di ri-orientarci a Dio e di dissociarcida ogni tipo di peccato. Quando pre-ghiamo oppure riceviamo la santa co-munione e meditiamo la parola diDio, siamo coinvolti in un processo dicambiamento del nostro cuore. Stia-mo aprendo il nostro cuore alla pre-senza del Dio vivente.

Il nostro amore per il Signore, per-ciò, non si può esprimere senza riferi-mento alle varie relazioni e responsa-bilità della nostra vita. Semplicementenon possiamo conoscere Dio, amarlo eservirlo al di fuori del contesto della vi-ta in questo mondo. Ciò significa checoloro che seguono il Signore sonochiamati a non negare la propria rela-zione con gli altri e la propria respon-sabilità verso la società. Non siamochiamati a diminuire l’importanza del-la relazione d’amore che abbiamo congli altri, ma ad essere “sale della terra”e “luce del mondo” (Mt 5,13-14).

Riconoscere l’importanza della no-stra relazione personale con Dio nonsignifica mancare di riconoscere l’im-portanza della relazione che abbiamocon gli altri in casa nostra, al lavoro,nella nostra comunità e nella società.Tutte le nostre relazioni e responsabi-lità sono chiamate a essere il riflessodella nostra relazione fondamentalecon Dio. Ogni aspetto della nostra vitadeve essere trasfigurato dalla sua pre-senza nella nostra vita. Coloro che cer-cano di essere “puri di cuore” sonocoloro che desiderano conoscere,

Beati i puri di cuore,perché vedranno Dio (Mt 5,8) di don Giovanni Biallo

InDialogo

Page 47: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 47

amare e servire Dio attraverso ogniaspetto della loro vita.

La nostra vita dovrebbe essere com-pletamente aperta alla presenza delSignore. Il nostro modo di vivere do-vrebbe riflettere la nostra fede. Perciòil modo in cui trattiamo gli altri, il mo-do in cui ci comportiamo come cittadi-ni dovrebbe essere influenzatoprofondamente dalla nostra relazionecon Cristo. Per coloro che hanno accet-tato Cristo come Signore della propriavita tutta l’esistenza è sotto la luce delsuo Vangelo. I nostri progressi versoDio Padre avvengono sempre nel con-testo della nostra situazione di vita nu-trita dallo Spirito. Così indica san Paoloquando afferma :”E tutto ciò che fate,in parole ed opere, tutto si compia nelnome del Signore Gesù, rendendo permezzo di lui grazie a Dio Padre” (Col3,17). Il Vangelo del Signore ci insegnanon solo a vivere seguendo Dio, maanche a vivere una vita degna dellanostra chiamata. Questo significa vigi-lare quotidianamente per poter amareDio più profondamente e quindi ac-quisire gradualmente la purezza delcuore. Così infatti preghiamo nel sal-mo 141,8 :”A te, Signore mio Dio, so-no rivolti i miei occhi, in te mi rifugio,proteggi la mia vita“.

Abbiamo ricevuto il dono di unosguardo nel mistero di Dio perché Dioha scelto di rivelarci se stesso. La rivela-zione divina è centrata sulla realtà diCristo e sul suo insegnamento. Siamovenuti a conoscenza di qualcosa riguar-do la Trinità, noi stessi e il mondo. Sap-piamo però che questa rivelazione nonesaurisce il mistero di Dio, ma seguen-do l’insegnamento del Signore siamochiamati a entrare in una relazione

profondamente personale e intima conlui. È una relazione basata sull’amoredi Dio per noi. Non possiamo manipo-lare questa relazione, ma scegliere dirispondere con amore al Signore.

Quando il Signore dice che i puri dicuore vedranno Dio sottolinea che,con la sua grazia, possiamo arrivaread avere una profonda esperienza delsuo amore. Certamente chi è puro dicuore sperimenta la presenza di Dionel prossimo. Siamo creati a immaginee somiglianza di Dio (Gn 1,26), perciòciascuno di noi ha una propriaidentità e dignità, ma hainoltre la tendenza a rivelarela presenza di Dio in se stes-so. Crediamo che la dignità diogni persona non è basatasulle sue capacità o sul suo stato socia-le. E nemmeno sulle sue convinzionireligiose o morali. La dignità di ciascu-no è data da Dio, dal suo amore pernoi, che non può essere annullatonemmeno dal peccato. Chi è puro dicuore sa che Dio si rivela anche nell’ul-timo dei fratelli (Mt 25,40). Per san Pa-comio non c’è una visione più grandeche di vedere il Dio invisibile che si ri-vela nel suo tempio, la persona uma-na visibile.

Inoltre l’esperienza di Dio in questavita ci prepara a fare esperienza dellasua presenza nella vita eterna. Allorasaremo liberi dalle sofferenze e con-traddizioni che ci affliggono in questavita. Cercare Dio e amarlo quindi ciprepara al giorno in cui lo vedremo piùchiaramente. Così afferma san Paolo:”Quelle cose che occhio non vide, néorecchio udì, né mai entrarono in cuo-re di uomo, queste ha preparato Dioper coloro che lo amano”(1Cor 2,9).

InDialogo

Page 48: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

La parola di Dio celebratadi don Renato De Zan

48 Culmine e Fonte 5-2003

L’UOMO NON SEPARI CIÒ CHE DIO HACONGIUNTO

XXVII domenica del tempo ordinario 5 ottobre

Gen 2,18-24; Sal 127(128),1-2; 3; 4-5a; 5b-6; Eb 2,9-

11; Mc 10,2-16

1. Nel testo evangelico di Mc 10,2-16,c’è la risposta di Gesù ai farisei circa il ri-pudio (Mc 10,5-9). Nelle parole di Gesùsono citati due brani veterotestamentari:Gen 1,27 (“Dio li creò maschio e femmi-na”) e Gen 2,24 (“Per questo l’uomo la-scerà suo padre e sua madre e si unirà asua moglie e i due saranno una sola car-ne”). Quest’ultimo è il versetto conclusivodella pericope anticotestamentaria dellaprima lettura (Gen 2,18-24). La liturgia ve-de nella pagina della Genesi una specie ditestimonianza, che propone la realtà cosìcome era uscita dalle mani del creatore(cfr. l’espressione evangelica: “Ma all’ini-zio della creazione...”), e contemporanea-mente una specie di profezia ripresa daGesù per ripristinare i valori fondamentalidella coppia, per certi aspetti attenuati e,per altri, spenti dalla legge anticotestamen-taria di Mosè a causa della “durezza” delcuore degli uomini.

Il tema che ne emerge è la coppia umanain tutta la sua ricchezza di reciprocità, nellasua solidità di fedeltà e indissolubilità, nel-la sua apertura e fecondità in rapporto aglialtri e alla vita. Accanto a questa ricchezzaviene ricuperata anche la fragilità: la cop-pia, infatti, non è la somma delle duerealtà, maschile e femminile, ma è una ter-za nuova realtà che viene affidata a un uo-mo e a una donna. Costoro, come protago-nisti della coppia, potrebbero anche avvili-

re, sminuire e distruggere l’identità dellacoppia stessa così come l’aveva sognata evoluta il Signore.

2. Sotto il profilo della materialità del te-sto, Mc 10,2-16 non presenta alcuna diffe-renza tra testo biblico e testo biblico liturgi-co, fatta salva la solita formula liturgicadell’incipit (“In quel tempo”). Bisogna tutta-via fare un’osservazione: il taglio della peri-cope biblico-liturgica non ha seguito la sud-divisione proposta dall’esegesi. I testi biblicisono, infatti, due: Mc 10,1-12 (questione sulripudio o dimensione matrimoniale indisso-lubile) e Mc 10,13-16 (Gesù e i bambini), inuna sola lettura.

La liturgia ha tolto dalla prima pericopeil v. 1 (“Partito di là, si recò nel territoriodella Giudea e oltre il Giordano”) che fun-ge da legame temporale-geografico tra laconfessione di fede a Cesarea di Filippo e ilsuo avvicinamento a Gerusalemme, dove loattende la croce. La liturgia, dunque, prefe-risce che il testo non venga inquadrato inquesto “cammino pasquale”, ma vuole inqualche modo focalizzare l’attenzione sultema della famiglia, legando il tema dell’u-nità e indissolubilità matrimoniale (Mc10,2-12) al tema dei bambini (Mc 10,13-16). La proposta della lettura evangelicabreve (Mc 10,2-12: dimensione matrimo-niale) si spiega con il fatto che l’accordocon la prima lettura (Gen 2,18-24) farebbeemergere il tema biblico della coppia piùche quello della famiglia.

3. La pericope di Mc 10,2-16 è facilmentesuddivisibile in due unità letterarie, che ri-spettano l’identità esegetica del testo: la di-scussione sul ripudio (Mc 10,2-12) e l’acco-glienza dei bambini da parte di Gesù (Mc10,13-16).

Page 49: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 5-2003 49

a. La discussione sul ripudio (Mc 10,2-12)nasce dalla volontà dei farisei di mettere allaprova (eperoton auton) Gesù. Il pensiero rab-binico circa il matrimonio aveva fondamen-talmente due direzioni: la linea legalista equella antilegalista. La linea legalista si ap-pellava a Dt 24,1-4, testo attribuito a Mosè,che permetteva al marito di dare il libello diripudio (biblon apostasiou) alla moglie peraver trovato in lei “qualche cosa di vergo-gnoso” (testo molto vago interpretato con uncerto rigorismo dalla scuola di Shammai econ un certo lassismo dalla scuola di Hillel).La linea antilegalista, rifacendosi alla rifles-sione che derivava da Ez 20,25 (“Allora io -Dio - diedi loro perfino statuti non buoni eleggi per le quali non potevano vivere”), rite-nevano che il decalogo primitivo fosse quel-lo autentico. Le leggi ricevute dopo il pecca-to del vitello d’oro, erano leggi di grado infe-riore rispetto alle precedenti. Non era perciòcorretto accettare il ripudio perché assentedalle leggi primitive e autentiche. Sembre-rebbe, dunque, che i farisei avessero volutoportare Gesù allo scoperto: il Maestro è lega-lista o antilegalista? Questo progetto vienechiamato dall’evangelista “mettere alla pro-va”.

Gesù articola la risposta in due momenti.In un primo momento il Maestro pone unadomanda che induce i farisei a manifestarsicome profondamente legalisti (“Mosè hapermesso di scrivere un atto di ripudio e dirimandarla”). In un secondo momento Gesùesprime un suo parere sullo specifico coman-damento del ripudio (“Per la durezza del vo-stro cuore egli scrisse per voi questa nor-ma”). Non si tratta di una svalutazione dellalegge, ma di una rilettura di quel precetto.Circa il profondo valore della Torah Gesù siesprime positivamente attraverso una rilettu-ra dei testi delle origini. Gesù, dunque, non

si pone contro la Torah. Non è antilegalista.Contemporaneamente, però, offre una “rilet-tura” della Torah e un superamento della par-te giuridica di essa.

Il superamento avviene partendo dalla sk-lerokardia, della durezza di cuore degliEbrei. La permissività del comandamentonon è ordinata al matrimonio, ma alla durez-za di cuore. Ogni volta, dunque, che gliEbrei ricorrono a questo aspetto della Leggedi Mosè dimostrano a loro stessi di essere unpopolo dal “cuore duro”. La volontà dellaTorah nei confronti del matrimonio non sitrova nelle regole, ma nella sapienza dellacreazione. Questo argomento non è tipico so-lo di Gesù, ma era presente anche a Qumran(Docum. di Dam. 4,21). Si ricorreva alla ri-flessione sul testo di Gen 1,27 per difenderela monogamia contro la poligamia. Gesù am-plifica la riflessione poggiando il suo ragio-namento non su una, ma su due citazioni ve-terotestamentarie: Gen 1,27 (“Dio creò l’uo-mo a sua immagine; a immagine di Dio locreò; maschio e femmina li creò”) e Gen 2,24(“Per questo l’uomo abbandonerà suo padree sua madre e si unirà a sua moglie e i duesaranno una sola carne”). Alla luce di questedue citazioni, parzialmente riprese dal van-gelo (vedi corsivo), il pensiero di Gesù sipuò così riassumere: all’origine di ogni uo-mo e di ogni donna c’è Dio che vuole unaumanità sessuata (Gen 1,27). Uomo e donnareciprocamente si attraggono e hanno tra loroun legame che supera il legame che un figlioha con i rispettivi genitori (Gen 2,24). L’in-contro fra questi due esseri sessuati li rende“una sola carne”. Ciò non comporta solo unacomunione sessuale-corporale, ma anche unaunione molto più profonda e personale. Taleunione, dunque, l’ha fatta Dio. Solo lui lapuò sciogliere. Di conseguenza, “l’uomo nonsepari ciò che Dio ha congiunto”. Questa af-

La parola di Dio celebrata

Page 50: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

50 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

fermazione di principio garantisce due dati.Il primo riguarda il rapporto tra Torah e Leg-ge. Ciò che Gesù fa non è contrapporre Mosèa Mosè, ma Dio a Mosè (che doveva tenerconto della sklerokardia ebraica). Il secondo,invece, riguarda l’incapacità fondamentaledell’uomo a scindere il matrimonio.

I versetti successivi (vv. 10-12) hanno ilcompito di precisare meglio il pensiero diGesù con l’ottica del comandamento di Es 20,14 (non commettere adulterio). La for-mulazione ha una doppia fisionomia: è giu-daico-palestinese nel v. 11 (“Chi ripudia lapropria moglie e ne sposa un’altra, commetteadulterio contro di lei”), mentre è greco-ro-mana o giudaico-egiziana nel v. 12 (“se ladonna ripudia il marito e ne sposa un altro,commette adulterio”). Il v. 12 è costruito sulmodello del v. 11. Ciò potrebbe indicare lapresenza di una tradizione risalente al Gesùstorico (v. 11) sulla quale la comunità diMarco modella un impegno di testimonianzae di fedeltà all’insegnamento del Maestro perla donna, che nel contesto culturale non pale-stinese aveva la capacità giuridica per opera-re contro il matrimonio.

b) L’accoglienza dei bambini da parte diGesù (Mc 10,13-16) rappresenta qualche co-sa di straordinario nel mondo palestinese diallora. Secondo la teologia rabbinica il bam-bino, che non conosceva la Legge, non avevanessun merito davanti a Dio. Non potevaquindi essere soggetto attivo di salvezza e,conseguentemente, non poteva appartenereal Regno di Dio annunciato dai profeti. Aquesto dato, poi, si aggiunga la poca consi-derazione goduta dal bambino a livello so-ciale. Egli apparteneva alla fascia sociale de-gli ultimi (donne, schiavi, forestieri, ecc.).Così la pensano i discepoli. I genitori deipiccoli e Gesù, invece, non la pensano così.

Perché il lezionario ha voluto associare ildetto sul ripudio con la pericope dei bambi-ni? Il lezionario, con l’accostamento dellepericopi Mc 10,2-12 e Mc 10,13-16, insinue-rebbe che l’amore dei genitori è più vicinoalla “verità” del bambino in rapporto al Re-gno di quanto non sia una certa mentalitàteologica non solo rabbinica. Gesù, infatti,rivela un atteggiamento uguale a quello dicoloro che gli conducono i bambini e decisa-mente opposto a quello dei discepoli. Non acaso l’atteggiamento di Gesù verso la menta-lità e il comportamento dei discepoli è indi-cato dal verbo eganaktesen (s’indignò). PerGesù la “gratuità” del Regno è più vicina albambino che non agli altri. Accogliere il Re-gno come un bambino equivale, da una par-te, a rinunciare al prestigio, alla potenza, allaricchezza e alla sicurezza, dall’altra ad acco-gliere la proposta di Dio come puro dono,obbedendogli e attendendo il compimentodella sua volontà. Da questa considerazione,associata all’uso battesimale del verbokolyein (ostacolare), così come si ritrova an-che nel libro degli Atti, alcuni fanno derivarel’opinione secondo la quale Gesù alludereb-be all’ammissione dei bambini al battesimo.

L’abbraccio e l’imposizione delle manihanno un doppio significato. Gesù accoglienel Regno i bambini e contemporaneamenteesaudisce il desiderio di coloro che sono re-sponsabili dei bambini (verosimilmente sitratta dei genitori). La coppia ama i bambini.Nell’amore genitoriale per i piccoli c’è già lapremessa esperienziale del Regno: accettareil bambino e tutto il suo mondo costituisceun segno della disponibilità ad accettare ilRegno e tutto ciò che esso comporta.

4. Il testo di Mc 10,2-16 è associato a Gn 2,18-24. Di tutta la grande ricchezza dimessaggio presente nel testo, vale la pena

Page 51: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 51

sottolinearne solo tre aspetti: il valore dellatraduzione di due elementi chiave del testo, ilrapporto uomo-donna secondo l’ottica teolo-gica, la formula finale.

Di fronte all’espressione “un aiuto che glisia simile” e al vocabolo “costola” c’è forsequalche imbarazzo, nonostante la spiegazio-ne rabbinica (la donna non nasce né dal pie-de, né dalla testa dell’uomo – né per essereserva, né per essere dominatrice – ma dalfianco, per essere compagna).

Il testo ebraico originale si esprime conuna terminologia più allusiva e ricca. L’e-spressione ebraica chezer kenegdo viene resadai fratelli Ebrei con l’espressione “un aiutoche gli si confaccia”. Potrebbe essere ancheresa con “un aiuto che gli stia di fronte (co-me a specchio)” oppure, in modo più breve,“che gli corrisponda”: La costola a sua voltapotrebbe contenere il concetto di “comple-mentarietà” (presente nell’uso della linguaebraica: fianchi di una montagna, terrapieno,battenti della porta, quattro lati dell’arca del-l’alleanza, ecc.). Questa proposta, pur aven-do una validità, ha due difficoltà: non espri-me le allusioni legate alla fonte della vita,presenti nel vocabolo zelach-costola, e sicolloca come stonatura “stilistica” in un con-testo dove si esprimono le idee attraverso vo-caboli di ampia portata figurativa ed allusiva.

Già questa chiarificazione ci permette dicapire meglio altre due particolarità teologi-che. La prima riguarda il fatto che l’uomonon trova la sua donna tra gli animali (si trat-ta di una affermazione altamente polemicanei confronti di certe concezioni che ritene-vano la donna una realtà molto distante dalmondo dell’uomo). Dio porrà fine a questaricerca, donando all’uomo una donna trattadall’uomo stesso. La seconda riguarda il po-tere di Adamo: egli impone il nome a tutti glianimali (imporre il nome equivale ad avere

autorità sulla realtà alla quale si è imposto ilnome), ma alla donna no. Quando egli vorràchiamare per nome la donna, dirà: “La sichiamerà isshà-donna”, e non: “Io ti chiamodonna”. Seguendo le regole tipiche delle lin-gue semitiche, bisognerebbe dire che la for-ma verbale scelta ha due possibilità di signi-ficato: se si legge il testo come un riflessivo,allora la donna ha autorità su se stessa; se,invece, si legge il testo come un passivo conDio come complemento d’agente sottinteso,allora è solo Dio ad aver autorità sulla don-na.

Infine, troviamo nella formula finale unaeziologia ingenua (la isshà-donna si chiamacosì perché è stata tratta dall’ish-uomo) dovel’autore riprende una tradizione popolare chesi basa più sull’omofonia (stesso suono) chesul reale valore significativo della radice deidue nomi (i nomi hanno due radici e due va-lenze di significato diverse).

5. Dal Sal 127(128), salmo didattico sa-pienziale, già usato come salmo responsoria-le nella festa della Sacra Famiglia, sono trattialcuni versetti: vv. 1-2; 3; 4-5a; 5b-6. Attra-verso questo salmo responsoriale l’assem-blea esprime la gioia per la “benedizione” diessere famiglia. Il testo, infatti, presenta poe-ticamente la famiglia ideale dove il timore diDio e la fedeltà ai suoi valori (v. 1) diventafondamento di tutto il resto. Il lavoro (v. 2),la fecondità della sposa e la gioia dei bambi-ni (v. 3) sono le altre tre caratteristiche chel’assemblea riconosce come proprie di unafamiglia benedetta da Dio. Infine, la prospe-rità spirituale e materiale della famiglia vienevista come fondamento della prosperità spiri-tuale e materiale dello stato (v. 5bc).

6. La colletta generale ( Sacr. Gelasianon. 1201 e in parte dal M.R. n. 770) è troppo

La parola di Dio celebrata

Page 52: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

52 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

generica a livello teologico, sebbene l’ampli-ficazione della petizione (“O Dio, fonte diogni bene”) richiami almeno in parte la ri-flessione di Gesù sul matrimonio. Il testodella colletta particolare, invece, appare piùricco. Nell’amplificazione si traduce in pre-ghiera di contemplazione il principio teologi-co del vangelo e della prima lettura (“Dio,che hai creato l’uomo e la donna, perché idue siano una vita sola, principio dell’armo-nia libera e necessaria che si realizza nell’a-more”). Nella petizione si invoca lo Spiritoperché l’opera di Dio non diventi vana a cau-sa di indebiti interventi dell’uomo (“per ope-ra del tuo Spirito riporta i figli di Adamo allasantità delle prime origini, e dona loro uncuore fedele, perché nessun potere umanoosi dividere ciò che tu stesso hai unito”). Inquest’ultima parte si nota la ripresa della fra-se di Gesù (“L’uomo dunque non separi ciòche Dio ha congiunto”) e, di conseguenza,una velata polemica nei confronti di quellamentalità che pensa di trovare nel potere co-stituito un’autorità sufficiente a separare ciòche Dio unisce.

7. Con questa domenica inizia la letturasemicontinua della lettera agli Ebrei. Gli spe-cialisti ci dicono che non è una lettera (un’o-melia?), non è indirizzata agli Ebrei (scrittocircolare?) e non è di Paolo (questo lo dicevagià sant’Agostino). Il tema fondamentale ri-guarda il sacerdozio di Cristo. Il mondo giu-daico accusava la Chiesa nascente di nonavere un sacerdozio. Gesù, non essendo dellatribù di Levi, non poteva per la mentalitàebraica essere un sacerdote. Lo scritto ri-sponde che il sacerdozio anticotestamentarioha tentato attraverso vari elementi rituali (pu-rificazioni, vesti, ecc.) di collocarsi comeponte tra il mondo degli uomini e il mondodi Dio. Di fatto i sacerdoti ebrei sono sempre

rimasti dentro al mondo degli uomini. L’uni-co che sia riuscito a passare dal mondo degliuomini al mondo di Dio con la sua morte eresurrezione e, di conseguenza, l’unico a po-ter essere chiamato vero e unico sacerdote, èGesù Cristo.

Il lezionario tralascia tutta la prima par-te del testo (Eb 1,1-2,8) e propone all’as-semblea il brano di Eb 2,9-11. Per il cristia-nesimo nascente era fondamentale trovareun significato per lo scandalo della croce.Tale scandalo era necessario perché nelprogetto di Dio Cristo doveva morire “pervantaggio di tutti” (aspetto espiativo e dialleanza). Cristo diventa nel progetto diDio “guida” per gli altri e come guida nonpoteva sottrarsi alla morte (aspetto parteci-pativo e salvifico). Nel progetto di Dio c’èla fratellanza tra Cristo (santificatore) e gliuomini (santificati).

VENDI QUELLO CHE HAI, POI VIENI ESEGUIMI

XXVIII domenica del tempo ordinario 12 ottobre

Sap 7,7-11; Sal 89; Eb 4,12-13; Mc 10,17-30

1. Il discepolo di Cristo è chiamato achiarire continuamente la sua opzione: o Cri-sto o le ricchezze. Con il termine “ricchezze”non si intendono nel mondo biblico solo eunicamente le ricchezze materiali, ma anchei legami affettivi (Mc 10,17-30). Chiarire leopzioni non significa che il credente deve es-sere indigente o svuotato del suo mondo af-fettivo, ma deve continuamente diventare “li-bero e povero” (cfr la colletta particolare). Iltesto evangelico indica il criterio fondamen-tale con cui il discepolo deve gestire la pro-

Page 53: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 53

pria scelta: prima la sequela di Cristo, poitutto ciò che si armonizza con questa, rinun-ciando a quello che è disarmonico o, addirit-tura, contrapposto a essa. Per operare questascelta e perseverarvi è necessario lo Spiritoche viene da Dio, adombrato dalla figura an-ticotestamentaria dello spirito di sapienza ca-pace di donare lo “splendore che non tra-monta” (Sap 7,7-11). Attraverso tre quadri ilvangelo coglie tre momenti diversi del rap-porto con la ricchezza: la forza schiavizzantedella ricchezza, la difficoltà a rinunciarvi e laricompensa storica ed escatologica riservataalla rinuncia ad essa.

2. C’è perfetta identità – fatto salvo l’in-cipit liturgico – tra testo evangelico e evan-gelico-liturgico. C’è tuttavia una piccolaannotazione da fare. A differenza della do-menica precedente, quando nella lettura li-turgica del vangelo era stato tolto Mc 10,1(“Partito di là, si recò nel territorio dellaGiudea e oltre il Giordano”), oggi la litur-gia ha accettato l’inizio della pericope ori-ginale: “In quel tempo, mentre Gesù uscivaper mettersi in viaggio”; inizio che puòsuonare strano, se non addirittura indiffe-rente all’assemblea celebrante. L’espressio-ne di Mc 10,17 si riallaccia a Mc 10,1 pertener viva nel lettore l’attenzione al viaggiopasquale di Gesù e impedirgli di polveriz-zare il vangelo in singoli quadretti, più omeno significativi, più o meno interessanti.Ogni “detto” e ogni “fatto” di Gesù, dopola confessione di Pietro e la prima profeziadella passione-resurrezione, va inquadrato -secondo la teologia di Marco - nel cammi-no “pasquale” di Gesù verso Gerusalemme.Il lezionario ha preferito fare una scelta di-versa. Ogni “detto” e ogni “fatto” di Gesùsono una realtà in sé “assoluta”, da collo-carsi all’interno della celebrazione, che è

sempre celebrazione del mistero pasquale.Ogni “detto” e ogni “fatto” di Gesù, dun-que, ha come “contesto” o, se si vuole ado-perare una espressione meno classica, comeorizzonte interpretativo il mistero pasqualecelebrato. Per questo motivo il lezionariopuò anche togliere o accogliere i versettiche riguardano il “cammino pasquale versoGerusalemme”.

3. Il testo evangelico-liturgico (Mc 10,17-30)è composto da tre pericopi, letterariamentedistinte, ma tematicamente congiunte: la vo-cazione dell’uomo ricco (Mc 10,17-22), ilpericolo delle ricchezze (Mc 10,23-27) e laricompensa per la rinuncia alle ricchezze(Mc 10,28-31).

Sotto il profilo critico-letterario bisognadire che l’accostamento delle tre pericopi èun prodotto redazionale di Marco (o addirit-tura pre-marciano). Tale accostamento hauna sua giustificazione: la tematica dibattuta,infatti, è molto simile in tutti e tre le perico-pi. Si tratta del tema della ricchezza, dellasua pericolosità oggettiva in rapporto allasalvezza (il pericolo delle ricchezze: Mc 10,23-27) e, quindi, del rapporto di attac-camento (la vocazione dell’uomo ricco: Mc 10,17-22) o di rinuncia ad essa (la ricom-pensa per la rinuncia alle ricchezze: Mc 10,28-31).

L’ultimo versetto (Mc 10,31), letteraria-mente legato alla pericope che tratta il temadella ricompensa per la rinuncia alle ricchez-ze, è stato tolto dal lezionario perché taleproverbio è chiaramente una aggiunta reda-zionale e tematicamente è distonico in rap-porto al brano. Il tema del versetto, infatti, ri-guarda la superbia che nasce dall’amore aldenaro e l’umiltà che nasce dal distacco. Giàil Venerabile Beda distingueva tra “possede-re il denaro” e “amare il denaro”.

La parola di Dio celebrata

Page 54: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

54 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

a. La vocazione dell’uomo ricco (Mc 10,17-22) è un capolavoro narrativo.Prima che Gesù riprendesse il cammino ver-so Gerusalemme, un uomo gli si avvicinò egli si inginocchiò davanti. Il gesto indica unapiena volontà di conversione. L’uomo, dun-que, è una persona dall’animo aperto, sensi-bile e disponibile alla volontà di Dio. Il fatto,poi, che chieda a Gesù cosa deve fare peravere la vita eterna significa che l’uomo ap-partiene al mondo farisaico. La legge, infatti,per un fariseo doveva essere sempre sottopo-sta a interpretazione e ciò comportava sia vi-vacità di pensiero, sia tanta confusione.L’uomo vuole uscire dalla confusione delleinterpretazioni e avere con sicurezza la vitaeterna.

Nella risposta Gesù respinge l’attributo“buono” datogli dall’uomo. In tutta la storiadell’interpretazione questo rifiuto di Cristoha generato difficoltà. Un modo comune-mente accettato di interpretare ciò che hadetto il Signore consiste nel ritenere che Ge-sù avrebbe attribuito solo a Dio l’epiteto di“buono” perché il ricco si rendesse conto cheegli stesso era Dio. La domanda così impe-gnativa dell’uomo, infatti, non può avere ri-sposta che da Dio stesso e Gesù gliela dà.

Nella risposta di Gesù sono proposti i do-veri fondamentali dell’alleanza, i comanda-menti, evidenziando quelli che hanno atti-nenza con il prossimo. Il “disordine” dell’e-lenco è di facile identificazione (prima ilquinto comandamento, poi il sesto, il settimoe l’ottavo; seguono un comandamento extra-decalogo che riguarda la giusta paga all’ope-raio: cfr Dt 24,14 e Sir 4,1 dove, in greco, ri-corre lo stesso termine presente in Marco; in-fine viene citato il quarto comandamento). Ildisordine, forse, si potrebbe spiegare pensan-do alla concezione morale della Chiesa delprimo secolo (stadio redazionale del testo

evangelico): La Chiesa aveva come base mo-rale il “discepolato” (come Cristo) o, con unaespressione teologicamente più corretta, ave-va come base la concezione delle due vie,quella della luce e quella delle tenebre (cfr Didachè).

Presuntuosità e perfezione formale fari-saica permeano la replica dell’uomo. La suaosservanza non è una risposta “personale” aDio. È una operazione di “adempimento”(cfr. il valore del verbo greco efylaxamen-os-servare, adempiere). L’intervento successivodi Gesù è un invito che un amico più maturorivolge a un altro amico. Le parole del Mae-stro non rimproverano il desiderio, che l’uo-mo potrebbe avere, di accumulare tesori. Loriconosce e lo invita a maturare un desideriopiù ampio e più alto: avere un tesoro in cielo.Quest’ottica teologica era ampiamente cono-sciuta da una parte della teologia rabbinica e,per certi versi, anche dalla comunità di Qum-ran. Gesù, però, non propone il dono dei pro-pri beni ai poveri come ideale. Il dono deibeni è solo uno strumento per poter compiere“ciò che gli manca”: seguire Gesù. Di frontealla proposta di Gesù l’uomo non ha parole.La sua risposta si traduce in sentimenti: tri-stezza e afflizione. Si tratta, dunque, di unarisposta amaramente negativa. Non ha potutoaccettare la separazione dei suoi “molti be-ni”. Ieri come oggi – diceva un grande ese-getea tedesco - “nella teoria e nella pratica larichiesta di Gesù resta una spina nella carne”di ogni cristiano.

b. A differenza della precedente, la peri-cope circa il pericolo delle ricchezze (Mc 10,23-27) non è letterariamente ben riu-scita. Viene ripetuto due volte l’atteggiamen-to di meraviglia (v. 24: stupefatti; v. 26: sbi-gottiti), due volte viene ridetta da Gesù ladifficoltà per il ricco e per tutti a entrare nel

Page 55: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 55

Regno (v. 23.24). Forse Marco potrebbe averereditato il breve brano, così tormentato, giàdalla tradizione e non l’avrebbe ritoccato.Gesù propone un principio generale sulla pe-ricolosità delle ricchezze. Esse impedisconoall’uomo di entrare nel Regno. Ciò non si-gnifica che sia facile entrarvi per chi ricconon è. I due interventi di Gesù mirano, infat-ti, a non pensare che solo le ricchezze possa-no essere d’impedimento alla salvezza.

Il noto proverbio del cammello e dellacruna dell’ago serve a Gesù per illustrare ladifficoltà ad entrare nel Regno. Nell’insegna-mento rabbinico circolavano paragoni diquesto tipo (elefante e cruna d’ago). Non va-le la pena dare troppo valore ad alcune va-rianti testuali di manoscritti tardivi che risol-vono l’esagerazione proposta dal proverbiocon la correzione di “cammello” (kamelos)in “corda da nave” (kamilos) a causa dellapronuncia iotacista (la “e” lunga si pronun-ciava “i”), frequente in moltissime zone delMediterraneo nel sec. I. Il duplice sentimentodi smarrimento dei discepoli (v. 24: stupefat-ti; v. 26: sbigottiti) esprime lo smarrimentodell’uomo di ogni tempo: chi potrà salvarsi?

Gesù risponde senza esitazioni, in modotanto chiaro e rassicurante quanto è statochiaro e fermo il modo con cui il Maestro haillustrato la possibilità di entrare nel Regno.Gesù ha coinvolto i suoi discepoli non in unragionamento “teologico”. Li ha avvolti di af-fetto (li chiama “figli”: v. 24) e li “guarda” (v. 27) come ha guardato con amore l’uomo acui proponeva il discepolato. L’argomento diGesù mira a rasserenare i discepoli e non vacapito con la logica del sillogismo, bensì at-traverso l’intuizione dell’affetto (dell’amoredi Dio per i suoi e dei credenti verso di lui).Dio renderà l’uomo che si apre totalmente alui, capace di valutare cosa di poco valore ciòche è di poco valore agli occhi di Dio.

c. La ricompensa per la rinuncia alle ric-chezze (Mc 10,28-31), prima di essere asso-ciata alle due precedenti, aveva un contestodiverso. L’intervento di Pietro, infatti, è quicollocato in modo inopportuno e il tenore delbrano non collima più con l’ultima afferma-zione di grazia fatta da Gesù.

Il racconto presenta un Pietro lontano edimentico dello sbigottimento appena mani-festato. La difficoltà ad abbandonare le ric-chezze per seguire Gesù non esiste più. L’a-postolo, dando per scontato di aver già fattodefinitivamente la scelta del discepolato, sicolloca subito nell’ottica della ricompensa.Ciò non corrisponderebbe esattamente ai da-ti: dopo la risurrezione Pietro tornò al suomestiere di prima, tornò a fare il pescatore(cfr Gv 21,3), tralasciando completamente la“scelta del discepolato” (Gesù dovrà, infatti,rinnovargli l’invito “tu seguimi”: Gv 21,19.22). In questo momento della vitastorica del Maestro aveva per davvero rinun-ciato del tutto?

Sicuramente in Mc 10,28-31 Pietro si po-ne in netta antitesi con l’uomo ricco. Egli e isuoi amici hanno abbandonato tutto e seguitoil Maestro. Quale sarà la ricompensa? Si trat-ta di una domanda che nasce da una menta-lità abituata al criterio della “retribuzione”.Gesù non delude il suo discepolo: la rinunciaai beni (affettivi e materiali) verrà ricompen-sata: la rinuncia, però, deve avvenire percausa di Cristo e del vangelo. La rinuncia ola perdita (a causa della persecuzione) deibeni, dunque, non è un fattore autonomo cheha valore in sé, ma rientra nella scelta in fa-vore della sequela. Tra i beni affettivi Marcoelenca fratelli, sorelle, madre, padre e figli,ma non la moglie. Marito e moglie, infatti,sono “una carne sola” e anche gli apostolisposati non sono stati chiamati a rinunciarvi(cfr 1 Cor 9,5).

La parola di Dio celebrata

Page 56: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

56 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

Il discepolo che avrà abbandonato tuttootterrà “il centuplo”. Per comprendere benel’affermazione di Gesù, sarebbe bene ascol-tarla dal punto di vista del missionario itine-rante. Ovunque vada, ritrova in molti luoghiciò che ha lasciato. L’accenno alle persecu-zioni, poi, potrebbe essere stato ricordato acausa delle esperienze di persecuzioni giàvissute dai missionari cristiani all’epoca del-la redazione del vangelo di Marco.

Oltre alla ricompensa storica, Gesù parlaanche di ricompensa escatologica (la vitaeterna). Il rapporto fra queste due ricompen-se, terrena (il centuplo, le persecuzioni) edescatologica (vita eterna), è intrinseco. Neconsegue che la prima è in qualche modo“segno” che garantisce la veridicità e l’a-dempimento della seconda. Sembra che Ge-sù, in questo caso, segua la prassi profeticaveterotestamentaria, che spesso scandiva laprofezia in due tempi. Nell’unica profezia siannunciano due cose: la prima a cadenza im-mediata perché funga da segno e sostegnoper la seconda, più importante e a cadenzapiù lontana (cfr 2 Sm 7: la profezia di Natana Davide annunciava che un suo discendenteavrebbe costruito il tempio e un altro discen-dente sarebbe stato il Messia; così il tempio -adempimento della prima parte della profe-zia - diventava un “segno messianico” chegarantiva la veridicità e l’avvento del Messia- seconda parte della profezia).

4. La liturgia associa a Mc 10,17-30 il te-sto di Sap 7,7-11. La fisionomia letteraria delbrano avrebbe richiesto che la pericope fossetagliata in Sap 7,7-12. Il v. 12, infatti, ripetein parallelismo sinonimico il v. 11 e introdu-ce il tema del “piacere” (“Godetti di tuttiquesti beni”), un tema con cui una certa sen-sibilità ha ancora dei conti aperti. Il testo ri-produce l’encomio che Salomone fa della

Sapienza. Il re di Gerusalemme, modello ditutti i sapienti (cfr. 1Re 5) pone da una partetutto ciò che un re può desiderare (scettri,troni, ricchezza, gemma inestimabile, oro,argento, salute, bellezza) e dall’altra lo “spi-rito della sapienza”. La sua scelta è senza ti-tubanze: egli sceglie incondizionatamenteper la sapienza. Bisogna notare che il testoparla di “spirito di sapienza” e non di “sa-pienza” tout-court, perché il punto più altodella riflessione biblica era giunto a vederenella Sapienza lo stesso Spirito del Signoreche agisce nella storia degli uomini. Lo spiri-to della sapienza è preferibile alla luce (comecreatura) perché lo splendore che promanadallo spirito della sapienza non tramonta (cfr v. 10c). Lo spirito della sapienza è, dun-que, “riflesso della luce perenne, uno spec-chio senza macchia dell’attività di Dio eun’immagine della sua bontà” (Sap 7,26).Possedere lo spirito della sapienza equivalead avere in sé già qualche cosa che è di Dio:per questo motivo le ricchezze non possonosostenere il paragone con ciò che è divino.La cosa più straordinaria consiste nel fattoche al saggio giungono con la sapienza an-che “tutti i beni” che aveva abbandonato peressa.

Questa visione dello spirito della sapienzaè strettamente legata all’atteggiamento sug-gerito da Gesù. Preferendo la sapienza (ab-bandono delle ricchezze affettive e materia-li), tutte le altre ricchezze giungeranno conessa (il centuplo e la vita eterna).

5. Il Sal 89 (90) è una supplica comunita-ria. Alcuni versetti costituiscono la rispostaorante del salmo responsoriale (Sal 89,12-13;14-15; 16-17). L’uomo ha un bisognoprofondo della sapienza che viene da Dio. IlSignore gliela insegna attraverso gli ammae-stramenti presenti nella storia (lunghezza-

Page 57: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 57

brevità della vita, bisogno di gioia dopo lasventura vista come correzione divina, ap-provazione del buon lavoro dell’uomo). Nel-la storia, dunque, l’uomo trova lo spirito disapienza e, perciò, non può trovare scusantiper non incontrarla.

6. La colletta generale (M.R. n. 1150 eSacr. Gregoriano n. 966) riprende le temati-che della Liturgia della Parola. Lo “spirito disapienza” necessario all’uomo per saper sce-gliere la sequela di Gesù si trasforma nellaseconda petizione del testo eucologico in“grazia” (“Ci preceda e ci accompagni sem-pre la tua grazia, Signore,”). La perseveranzanella sequela si traduce in preghiera nellacausa, inserita come ampliamento dello sco-po (“perché, sorretti dal tuo paterno aiuto,non ci stanchiamo”).

La colletta particolare riprende il temadella seconda lettura (“O Dio, nostro Padre,che scruti i sentimenti e i pensieri dell’uomo,non c’è creatura che possa nascondersi da-vanti a te; penetra nei nostri cuori con la spa-da della tua parola,”) nell’ampliamento del-l’invocazione e nella petizione. L’aspetto delmistero pasquale celebrato nella Liturgia del-la Parola si trova nel duplice fine della peti-zione. Nella prima parte dello scopo, infatti,il testo eucologico riprende il tema della pri-ma lettura che invita a invocare lo spirito disapienza che viene da Dio “perché alla lucedella tua sapienza possiamo valutare le coseterrene ed eterne”. Nella seconda parte, conuna espressione davvero felice, riesce a rias-sumere il messaggio evangelico (“perché allaluce della tua sapienza possiamo... diventareliberi e poveri per il tuo regno”).

7. La seconda lettura è costituita da Eb 4,12-13 (il lezionario ha voluto saltare Eb 2,12-4,11). La pericope liturgica si po-

trebbe definire come la descrizione dell’es-senza della parola di Dio. Il testo è compostoda due concetti. Il primo intende esprimere,con il paragone della spada, l’efficacia dellaParola e la sua incisività, il secondo vuoleesprimere l’impossibilità che il credente hadi sottrarsi a tale efficacia e incisività.

Sotto l’aspetto letterario l’autore sacro èstato influenzato da Filone, mentre sotto ilprofilo del contenuto, dalla riflessione profe-tica (Is 49,2; Ger 23,29). La visione teologi-ca della Parola, però, ha i tratti paolini (cfrGal 3,8.22). Se colui che accoglie la Parola ècredente, percepisce come la Parola si “atti-va” in lui (cfr Is 55,11: “Così sarà della paro-la uscita dalla mia bocca: non ritornerà a mesenza effetto, senza aver operato ciò che de-sidero e senza aver compiuto ciò per cui l’homandata”). Nel mondo più profondo del pen-sare e del sentire umano la Parola evidenziaquello che c’è di positivo e quello che non ètale. Davanti a essa non ci si può nasconderee ad essa si è chiamati a rendere conto.

IL FIGLIO DELL’UOMO È VENUTO PERDARE LA PROPRIA VITAIN RISCATTO PER MOLTI

XXIX domenica del tempo ordinario 19 ottobre

Is 53,2.3.10.-11; Sal 32; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45

1. Il testo evangelico di Mc 10,35-45 il-lustra la sete di onore e di potere che alberganei discepoli e contemporaneamente presen-ta Gesù come colui che non respinge questasete, ma la indirizza. Questo desiderio dionore e di potere si può tradurre in imitazio-ne di Gesù, servo sofferente, attraverso l’ac-coglienza di un atteggiamento nuovo: non si

La parola di Dio celebrata

Page 58: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

58 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

tratta solo di volere “essere come Lui”, maanche di “condividere con Lui” ciò che ilMaestro ha vissuto. Da questo atteggiamen-to nasce una conseguenza: il servizio versotutti.

Il vocabolo “servizio” potrebbe compor-tare diverse distorsioni ideologiche. La pro-posta ermeneutica di Gesù è inequivocabile:il servizio va donato imitando il Cristo-servoche dona la sua vita per la salvezza. Ciò im-plica una testimonianza-servizio umile allenecessità degli altri (diakonia) e di testimo-nianza-annuncio della Parola (douleia).

2. Testo biblico e testo biblico-liturgicosono identici, fatto salvo il solito incipit litur-gico (“In quel tempo”) e la soppressione del-la congiunzione “e” (greco kai) del testo ori-ginale. Il testo biblico dice: “E gli si avvici-narono Giacomo e Giovanni”. Il testo liturgi-co, invece, dice: “In quel tempo gli si avvici-narono Giacomo e Giovanni”. Il testo che ri-sulta è senza legami con ciò che precede (èstato tolto, infatti, il kai - e). Questo “isola-mento” toglie al testo la sua identità origina-ria, che aveva una fisionomia ben precisa.

Vediamo di esaminarla per sommi capi.Dopo la prima profezia della passione-mor-te-resurrezione (Mc 8,31-33) Gesù proponel’identità del suo discepolo (rinnegare sestesso, prendere la croce, seguire Gesù, per-dere la vita per causa di Gesù e del vangelo,non vergognarsi di lui e delle sue parole: Mc 8,34-38). Dopo la seconda profezia dellapassione-morte-resurrezione (Mc 9,30-32)Gesù illustra chi sia il più grande ai suoi di-scepoli che si chiedevano chi di loro lo fosse(il più grande è servo di tutti e accogliechiunque perché in ognuno è presente Cristo e Dio: Mc 9,33-37). Dopo la terzaprofezia della passione-morte-resurrezione (Mc 10,32-34), che il lezionario salta nella

sua lettura semicontinua del vangelo di Mar-co, Gesù deve affrontare la richiesta dei figlidi Zebedeo (sedere accanto a Gesù in posi-zione di privilegio e di potere) ed è costrettoa riprendere il tema dell’autorità (il nostrobrano: Mc 10,35-45) come ha già fatto subitodopo la seconda profezia. Il nostro testo al-l’interno del contesto biblico va letto, dun-que, a due livelli: come incomprensione deidiscepoli nei confronti del mistero pasqualedel Maestro e come ulteriore insegnamentodel Maestro sull’identità del discepolo cri-stiano alla sequela del Messia sofferente eglorioso.

La lettura liturgica del testo evangelicoscioglie il brano dal suo contesto originale elo colloca in un’ottica più umile, ma non me-no impegnativa. Il discepolo è chiamato aimitare il Maestro fino alla condivisione tota-le. Lo segue nel “battesimo” in cui sarà bat-tezzato il Maestro stesso e, come Lui, servegli altri, dando perfino la vita, se questo è ciòche Dio gli chiede.

3. Il testo biblico-liturgico di Mc 10,35-45si suddivide agevolmente in due brani lette-rariamente distinti: la domanda dei figli diZebedeo (Mc 10,35-40) e l’insegnamento diGesù sulla grandezza come servizio (Mc 10,41-45).

a) La domanda dei figli di Zebedeo (Mc 10,35-40) appare nel contesto liturgicocome infantile e curiosa (nel contesto bibli-co, inopportuna e crudele). La domanda èscandita in due momenti: la richiesta e la do-manda vera e propria. La richiesta è infantile(“Maestro, noi vogliamo che tu ci facciaquello che ti chiederemo”), perché ha comeobiettivo l’interesse di ottenere da Gesù la ri-sposta affermativa, “a scatola chiusa”, sullaseconda domanda. Vista la disponibilità di

Page 59: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 59

Gesù, la domanda dei due discepoli si faesplicita: vogliono sedere a destra e a sinistranella gloria di Cristo.

Sappiamo che nel mondo biblico i posti adestra e a sinistra della persona ritenuta im-portante equivaleva ad essere il secondo (de-stra) e il terzo (sinistra) nella gerarchia del-l’onore. In questo caso l’onore è essere se-condo e terzo nella “gloria” di Cristo. Mentreuna linea interpretativa, che si rifà al passoparallelo di Mt 20,21, ritiene che tale “glo-ria” equivalga al regno messianico istituitoda Gesù, una seconda linea interpretativa, in-vece, ricollegando l’espressione a Mc 8,38(“...anche il Figlio dell’uomo si vergogneràdi lui quando verrà nella gloria del Padre suocon gli angeli santi”) e Mc 13,26 (“Alloravedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nu-bi con grande potenza e gloria”), pensa divedere nella “gloria” di Cristo la rivelazionedel Figlio dell’uomo nel giudizio. Questa se-conda ipotesi è migliore.

I due fratelli, dunque, chiedono di essereil secondo e il terzo nel giorno in cui Cristosi manifesterà come giudice alla fine delmondo.

La risposta di Gesù non è di rimprovero,ma di avvertimento e di chiarimento. Essinon sanno ciò che vogliono in quanto ciò chechiedono si può ottenere solo a una condizio-ne: bere lo stesso calice del Maestro e acco-gliere lo stesso suo battesimo.

La prima espressione riguardante il calicericalca modelli letterari e teologici conosciutiin ambito rabbinico (cfr. il calice della mor-te) e soprattutto anticotestamentario. “Babi-lonia era una coppa d’oro in mano al Signo-re, con la quale egli inebriava tutta la terra;del suo vino hanno bevuto i popoli, perciòsono divenuti pazzi” (Ger 51,7). In questo te-sto, bere il calice di Babilonia equivale a“impazzire” (= essere soggetti cioè a un de-

stino doloroso). Nella letteratura intertesta-mentaria l’espressione assume un significatopiù circoscritto e preciso: “bere il calice” si-gnificava subire il martirio. Accanto a questosignificato ne va associato un secondo. In Sal75,9 bere il calice offerto da Dio equivale aessere considerati empi: “Fino alla feccia nedovranno sorbire, ne berranno tutti gli empidella terra”. Bere il calice, dunque, equivaleanche ad essere considerato empio. Appli-cando a sé l’espressione, Gesù sembra voleralludere alla sua passione dolorosa e al valo-re sostitutivo che essa assume (sostituisce nelcastigo gli empi).

L’altra espressione riguardante il battesi-mo prende senso dal significato e dall’usodel verbo che indica la totale immersione inqualche cosa. L’uso in ambito metaforico deltermine battesimo indica la situazione di af-fanno estremo e di morte. La risposta dei duediscepoli indica la disponibilità alla condivi-sione della sorte del Maestro.

Il successivo intervento di Gesù lasciastupiti. Poteva dire subito che non era suacompetenza, ma era del Padre attribuire ilposto di destra e di sinistra. Ciò ha fatto pen-sare a una volontà di ricordare una profeziadel Maestro circa il martirio dei figli di Ze-bedeo. Senza nulla togliere a questa possibi-lità, si potrebbe anche pensare, dato il conte-sto, a una seconda interpretazione: qualun-que onore, anche il più grande, viene dato daDio solo e con la massima sovranità (cfr.“delle mie cose non posso fare ciò che vo-glio?”) a coloro che sono disposti a “seguirefino in fondo” il Maestro. A Dio, infatti, nes-suno può dire : “Che fai?” (cfr Gb 9,12).

b) L’insegnamento di Gesù sulla grandez-za come servizio (Mc 10,41-45) non esprimené giudizio, né biasimo, ma solo ammaestra-mento, ed è rivolto a tutti i discepoli. Gli al-

La parola di Dio celebrata

Page 60: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

60 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

tri, infatti, se la prendono con i due. Lo sde-gno violento (aganakteo significa indigna-zione espressa con parole e gesti) dei disce-poli indica il desiderio non espresso, ma pre-sente in ciascuno, di sedere alla destra o allasinistra di Cristo. Sembra che i discepolistessero vivendo una sete di potere senza li-miti. Una epidemia.

Gesù inizia il suo intervento con un datocondiviso dai suoi discepoli: i capi delle na-zioni e i grandi “dominano” (katakyrieyousin- esercitano il dominio personalmente) e“esercitano il potere su” la gente (katexou-siazousin - esercitano il dominio per mezzodi funzionari).

Se i discepoli convengono che quel mododi esercitare l’autorità non è condivisibile,diventa facile per Gesù proporre un insegna-mento che vada nella direzione opposta: “Fravoi, però, non è così”. La direzione opposta arigor di logica sarebbe l’esercizio dell’auto-rità per il bene dei sottoposti e non per il pro-prio tornaconto. Gesù boccia anche questaprospettiva. Per Gesù, infatti, l’ “opposto”non consiste solo nel prospettare un modo al-ternativo di esercitare il dominio, ma consi-ste nel prospettare un’alternativa al dominiostesso. L’alternativa è il “servizio”.

Il concetto viene espresso con due voca-boli: diakonos e doulos. Il valore “ideologi-co” di questi vocaboli viene immediatamenteannullato dal paragone che Gesù fa con sestesso. Non si tratta, quindi, di essere “servi”secondo la cultura semitica (il servo dovreb-be essere un “devoto collaboratore”) o lacultura greco romana (il servo dovrebbe es-sere un “corpo maschile o femminile” a ser-vizio del cittadino) o altra cultura. Si tratta,invece, di essere servi “come” Cristo è statoservo, dando “la vita in riscatto per molti”. Èchiara l’allusione al servo di Yahweh (Is 53,10-12), che attua il riscatto dei pecca-

tori (il vocabolo lytron indicherebbe il riscat-to di coloro che sono schiavi o prigionieri diguerra). Il discepolo, dunque, è chiamato aun servizio che implica il dono della vita aglialtri fino al dono supremo, se è necessario.

Sembra che gli “altri” non siano da iden-tificare solo con i membri della comunità(costoro devono essere “servi” tra loro, senzache nessuno abbia la pretesa di “essere servi-to”: come il “Figlio dell’uomo”), ma anchecon coloro che sono fuori della comunità.Gesù, infatti, dona la vita “per molti”,espressione semitica che per diversi studiosiequivale a “per tutti”.

I due vocaboli, diakonos e doulos, hannoun duplice richiamo teologico: possono indi-care due ministeri della chiesa (il serviziodelle mense - cfr At 6,2: diakoneo -; il servi-zio della predicazione - cfr Rm 1,1: Paolo,doulos di Gesù Cristo, apostolos per voca-zione) e anche il credente come operatore delculto.

In questo secondo caso ci sarebbe un ri-mando a Rm 12,1-2 dove l’apostolo invita icristiani a donare le proprie persone nelle va-rie situazioni della vita come culto spiritualea Dio. La vera grandezza del cristiano, se-condo Mc 10,35-45, consiste nell’essere di-scepolo di Cristo che imita il Maestro nelservizio agli altri, credenti e non-credenti,con la consapevolezza di esercitare un atto diculto a Dio e un ministero di carità e di an-nuncio evangelico.

4. A Mc 10,35-45 viene associato il branoprofetico di Is 53,2.3.10-11. Si tratta di un te-sto al quale Gesù fa cenno proprio in chiusu-ra del suo ammaestramento: Il Figlio dell’uo-mo è venuto a servire e a dare la sua vita inriscatto per molti (Mc 10,45). Tra le motiva-zioni che legano il testo isaiano al testo evan-gelico va evidenziata quella che tocca il tema

Page 61: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 61

del servizio. Dio ha stabilito che i credentiservano gli uomini in situazioni e con caden-ze che non sempre appaiono chiare ai disce-poli che si sono posti alla sequela (imitazio-ne) del Servo di Yhwh.

Il testo di Is 53,2.3.10-11 fa parte delquarto carme del servo di Yawhè (Is 52,13-53,12). I versetti scelti mostrano il Servo co-me colui che conduce una vita povera, forsestentata e senza attrattive umane (come unvirgulto in terra arida: v. 2). Egli deve nellasofferenza (v. 3) offrire se stesso in espiazio-ne (v. 10) perché si è addossato l’iniquità de-gli uomini (v. 11). In questo modo li “giusti-ficherà”. Come premio dopo il dolore (moltopiù grande quello interiore che non quello fi-sico: “intimo tormento - ‘amal”) Dio lo ri-chiamerà alla vita (“vedrà la luce”: v. 11), glidarà la conoscenza dei segreti divini e conse-gnerà nelle sue mani l’umanità salvata comediscendenza.

5. Il Sal 32(33) è un inno di lode, già pre-sente nella liturgia nella II domenica di Qua-resima e nella notte pasquale. I versetti scelticome salmo responsoriale, Sal 32,4-5; 18-19;20 e 22, esprimono un atto totale di fede e diaccoglienza nei confronti della Parola di Dio(che è messaggio, progetto-promessa e azio-ne-adempimento). Contemporaneamentel’assemblea esprime la sua speranza e invocala grazia di Dio (v.22): Dio è colui che vegliasui discepoli e li libera dalla morte (non dal-l’esperienza del morire ma dalla morte comeultima parola sull’uomo) perché egli è aiutoe scudo per i suoi (v.20). in questo Dio è fon-data la speranza dell’assemblea (cfr il ritor-nello).

6. La colletta generale (Sacr. Gelasiano n. 561 e M.R. n. 762) traduce in preghiera iltema della sequela-servizio presente nel van-

gelo: “possiamo sempre servirti con lealtà epurezza di spirito” (fine della petizione). Lapetizione, invece, sembra voler invocare daDio la grazia per poter adempiere la sequela-servizio: “O Dio onnipotente ed eterno, creain noi un cuore generoso e fedele”.

La colletta particolare non entra in dialo-go tematico con testi biblici del vangelo. Co-glie, invece, alcune tematiche della secondalettura. Gesù viene presentato come il som-mo sacerdote con il quale condividere la vo-lontà di Dio partecipando pienamente allasua morte redentrice (fine della petizione).Nella petizione si fa cenno all’assemblea co-me a persone che sono salvate da Cristo-ser-vo: c’è la consapevolezza di essere i giustifi-cati dal Servo e di essere la sua discendenza(cfr la tematica della 1° lettura).

7. Il testo della seconda lettura è Eb 4,14-16.Questo brano attribuisce a Gesù sommo sa-cerdote la caratteristica della compassione (v.15). L’autore presenta la sublimità di Gesù(v.14) e illustra il bisogno di credere in lui.Nelle sue parole, tuttavia, si può cogliere unadomanda nascosta: possono i credenti con leloro “infermità” osare di accostarsi a Gesù?La risposta esplicita si articola in due movi-menti di pensiero.

Il primo riguarda l’affermazione: sì posso-no accostarsi a lui perché egli è compassione-vole nei confronti delle loro infermità. Anchelui è stato sottoposto a tutte le tribolazioni del-la vita degli uomini, eccetto il peccato. Il ri-chiamo al canto del servo (Is 53,9) è evidentee, per caso, coincide felicemente con la tema-tica toccata dal vangelo e dalla prima lettura.

Il secondo movimento di pensiero riguar-da l’esortazione: poiché la risposta è affer-mativa, ne consegue la totale fiducia in Ge-sù. Egli per coloro che credono in lui non èseduto sul trono della giustizia, ma sul trono

La parola di Dio celebrata

Page 62: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

62 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

della grazia e della misericordia. Così i cre-denti lo troveranno nel giorno del giudizio(“momento opportuno”), quando Egli com-pirà un giudizio del tutto particolare, dovegiustizia e misericordia saranno associate inun modo che solo Dio sa fare.

RABBUNÌ, CHE IO RIABBIA LA VISTA

XXX domenica del tempo ordinario 26 ottobre

Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52

1. La fede è un camminare sulle ormetracciate dal Maestro (Mc 10,46-52). Questocammino fa giungere il credente fino al Pa-dre (colletta particolare). In sintesi così vienepresentato il tema del discepolato. Per poter“vedere” il Maestro e seguirlo, il credente habisogno di ricevere il dono del “poter vede-re”, di essere chiamato a un incontro perso-nale con Cristo come il cieco mendicante diGerico. Bartimeo diventa così protagonista emodello di quel discepolato che contiene insé contemporaneamente la disponibilità e lafatica dell’uomo a credere (ostacolato moltospesso dalla “gente”) e il dono illuminantedella chiamata (favorita e operata moltospesso dalla “gente”) da parte di Cristo.

2. Il testo biblico di Mc 10,46-52 iniziacosì: “E giunsero a Gerico. E mentre partivada Gerico....”. Ben diverso è l’inizio del testobiblico-liturgico di Mc 10,46-52: “In queltempo, mentre Gesù partiva da Gerico....”.Come avviene spesso, la pericope biblico-li-turgica viene privata degli elementi conte-stuali che si trovano nell’incipit originale.Nel caso concreto la liturgia vuole sottrarre ilracconto dall’orizzonte del grande viaggio di

Gesù verso Gerusalemme (adempimento delmistero pasquale).

In questo modo la guarigione di Bartimeonon porta il miracolato a seguire Gesù sullastrada verso la croce, ma porta il miracolatoa seguire Gesù come gesto di profonda rico-noscenza per la grazia ricevuta. La liturgiaevidenzia, dunque, la sequela che nasce dallariconoscenza.

3. Il brano di Mc 10,46-52, appartiene al-la tradizione premarciana. Il nome del mira-colato potrebbe indicare che il racconto èstato tramandato in una comunità che cono-sceva il personaggio. Tale comunità parlavaaramaico (nel racconto marciano ci sono ele-menti aramaici, il nome di Bartimeo e l’ap-pellativo Rabbuni, che negli altri due Sinotti-ci non ci sono).

Letterariamente il testo si presenta comeun’unità letterariamente compatta. Tuttavialo si può leggere nella triplice scansione nar-rativa: la figura del cieco (vv. 46-47), l’inter-vento dei molti (vv. 48-50), la guarigioneoperata da Gesù (vv. 51-52).

a) La figura del cieco (vv. 46-47) comparesubito, nelle primissime battute del racconto.Il contesto in cui viene inserita è il clima delpellegrinaggio. Tre particolari suggerisconoquesta lettura: la “molta folla”, il verbo ado-perato dall’evangelista (ekporeyomai-partire)e il cieco che sta lungo la strada a mendicare(i pellegrini erano particolarmente tenuti all’e-lemosina). Questo corteo, che si muove versoGerusalemme, non comprende il cieco e men-dicante Bartimeo, che è “seduto lungo la stra-da” e intende sfruttare il corteo per ottenerequalche vantaggio (mendicando). Sente chec’è Gesù di Nazaret e lo chiama. La cono-scenza circa l’identità di Gesù a Gerico non sisa da dove venga (Pesch ipotizza “dai pelle-

Page 63: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 63

grini galilei a Gerico”). L’invocazione del cie-co è di tipo salmico (“abbi pietà di me”). Il ti-tolo, “Figlio di Davide”, dato a Gesù ha, inbocca a Bartimeo, una certa ambiguità. Nelmondo giudaico l’espressione “Figlio di Davi-de” poteva senz’altro avere una valenza mes-sianica. Poteva avere anche una valenza menoimpegnativa: chiamare uno “Figlio di Davide”equivaleva a riconoscere in quella persona unindividuo capace di esercitare potere esorcisti-co e taumaturgico (Bultmann, Schneider). InBartimeo, probabilmente, non c’era nessunavolontà di compiere una proclamazione mes-sianica. Nella comunità che ha tramandatol’episodio, invece, c’è stata senz’altro una let-tura diversa dell’invocazione di Bartimeo.Con buona probabilità il titolo “Figlio di Dio”è stato visto come titolo espressamente mes-sianico. Questa interpretazione nasce dallacomprensione dei versetti seguenti.

b) L’intervento dei molti (vv. 48-50) èstrano: prima è sfavorevole al cieco e succes-sivamente è attivo nell’avvicinare il cieco aGesù. La gente del corteo inizialmente fa ta-cere il cieco. Si tratta di un gesto che può es-sere letto in almeno due modi: sotto il profilostorico e sotto il profilo teologico. Sotto ilprofilo storico, si tratta di un gesto che po-trebbe essere capito come manifestazionedella scocciatura della gente nei confronti diun “impiccione”. Se questa lettura del fattofosse il vero significato dell’intervento dellagente, non si capisce come mai l’evangelistagli abbia attribuito un valore così grande, de-gno di memoria. Ci deve essere qualche cosadi più importante. Sotto il profilo teologico,infatti, il gesto della gente potrebbe equivale-re a una imposizione del silenzio messianicoo a un gesto di allontanamento, paragonabilea quello fatto dagli apostoli nei confronti deibambini che si avvicinavano a Gesù.

Nell’intervento della gente che zittisceBartimeo, la comunità e Marco hanno, forse,intravisto una proclamazione messianica.Data la teologia del secondo evangelista cosìlegata al tema del silenzio messianico, l’in-tervento della gente poteva essere capito co-me complementare e suppletivo alla volontàdi Gesù, più volte espressa nel comando ditacere circa la sua messianicità. Ci potrebbeessere - e forse è più opportuna - anche unalettura molto più semplice e immediata. Pro-prio perché il titolo messianico “Figlio diDavide” non è molto rilevante in Marco, lareazione della gente va capita con il criteriodell’impedimento. Come i discepoli avevanoimpedito ai bambini di avvicinarsi a Gesù(Mc 10,13-16) così in questo episodio lagente non vuole far avvicinare questo “pic-colo” affinché si incontri con Cristo. Come èsuccesso allora quando Gesù ha espresso lasua preferenza per i bambini, anche adessoGesù è più sensibile al “piccolo” che al“buon senso” della gente. L’insistenza delcieco, che per la seconda volta invoca lapietà di Gesù, Figlio di Davide, provoca il ri-sultato insperato: Gesù si ferma e lo chiama.Il gesto di Gesù deve essere apparso straordi-nario (come straordinario è stato l’atteggia-mento di Gesù verso i bambini). La straordi-narietà viene espressa a livello filologico.Per indicare, infatti, il fermarsi di Gesù, Mar-co adopera un participio, stas (fermandosi),che non ha mai adoperato e non adopereràpiù nel suo vangelo. Gesù, poi, chiama il cie-co per mezzo della stessa folla che preceden-temente lo aveva zittito (anche ai discepoliGesù aveva raccomandato di lasciar arrivarea lui i bambini e di accoglierli come se acco-gliessero lui stesso). I verbi adoperati dallafolla per chiamare Bartimeo sono gli stessiadoperati da Gesù per dare coraggio ai disce-poli in pericolo (“Coraggio”: cfr Mc 6,50),

La parola di Dio celebrata

Page 64: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

64 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

per indicare il comando di guarigione suimalati (“alzati”: cfr Mc 2,9.11; 3,3; 9,27) oquello di resurrezione per i morti (“alzati”:cfr Mc 5,41). Attraverso la folla, che - a li-vello di lettura redazionale - potrebbe rappre-sentare la comunità credente, Gesù chiama i“ciechi” (coloro che non possono o non san-no vederlo) al coraggio e alla vita vera. Lareazione di Bartimeo alla chiamata di Gesù èstraordinaria. Nel cieco è nata una nuova vi-ta. Gettare via il mantello, che simboleggianel mondo orientale lo status sociale e la vitastessa di chi lo porta, equivale a gettar vial’umanità vecchia, la vecchia vita. Bartimeoè pronto a rinunciare a ciò che era prima perdiventare persona trasformata dal Maestro.

c) La guarigione operata da Gesù (vv. 51-52) incomincia da un gesto straordi-nario. Gesù chiede a Bartimeo che cosa de-sidera che il Maestro gli faccia. Bartimeo ini-zia la risposta con l’appellativo in lingua ara-maica “Rabbunì”. Questa espressione rivoltaa Gesù si ritrova ancora in Gv 20,16 in boccaa Maria Maddalena che riconosce il Risortosotto le apparenze del giardiniere. Il ciecoesprime il desiderio di guarigione e la ottie-ne. Gesù non fa altro che “commentare” ciòche sta per accadere. La guarigione del ciecoè molto di più della guarigione terapeutica: èsegno di una salvezza donata (da Gesù) e ac-colta (dal cieco). La fede lo ha salvato. Laguarigione che gli permette di vedere, perciò,indica - la lettura è sempre a livello redazio-nale - la nuova capacità dell’ex-cieco di ve-dere in Gesù non solo il “benefattore” (Figliodi Davide) capace di guarirlo, ma anche ilRabbuni (Maestro che vince la morte) da se-guire. Il nuovo Bartimeo è capace di vederee perciò segue Gesù “per la strada”. Si tengapresente che in questo caso il termine odos(strada) richiama alla comunità di Marco la

realtà del cristianesimo, che è visto come una“strada” da percorrere dietro (seguire - ako-loutheo) al Maestro. In At 9,2, infatti, si dicecon chiarezza che i credenti sono i seguacidella odos - strada (testo greco: ... opos eantinas eure tes odou ontas... = ... se avesse tro-vato alcuni che fossero della strada...; la tra-duzione CEI dice: ...seguaci della dottrina diCristo che avesse trovati...). La lettura litur-gica, mentre da una parte toglie il valore pa-squale del cammino di Bartimeo, ne eviden-zia però la gratitudine. Non si può concepirecome dovere il seguire Gesù. È questione diriconoscenza.

4. A Mc 10,46-52 la liturgia associa Ger 31,7-9. Nel testo originale il brano pro-fetico fa parte di uno dei capitoli più impor-tanti del libro perché qui si trova il punto piùalto del messaggio di speranza di Geremia alpopolo di Dio. Tolto dal suo contesto e inse-rito nel lezionario, i tre versetti di Geremiavengono letti come grande profezia adem-piutasi nel ministero di Gesù (e nel ministerodella Chiesa che prosegue la missione delMaestro). Il primo tema proposto è la gioiadella salvezza; salvezza che si esprime nellaconcretezza della storia attraverso il ritornodei dispersi del Nord (esilio di Samaria a Ni-nive) nella Terra promessa. Gioia e salvezzanon sono dimensione puramente “interiori”:c’è il riscontro concreto negli avvenimenti.Al ritorno degli esuli corrisponde l’acco-glienza festante dei rimasti (regno di Giuda),come all’avvicinamento del cieco a Gesùcorrisponde la collaborazione disponibiledella folla (“E chiamarono il cieco dicendo-gli...”). L’universalità della salvezza e l’uni-versalità della gioia accogliente non hannolimiti. In questo secondo tema il profeta sot-tolinea la provenienza geografica più dispa-rata dei salvati (estremità della terra) e la si-

Page 65: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 65

tuazione sociale più varia (cieco, zoppo, in-cinta, partoriente). Infine, come terzo grandetema il profeta presenta il motivo per cui Diosalva (e salva in Gesù Cristo): egli è Padreche attrae il figlio con vincoli di amore, chesolleva il suo bambino alla sua guancia, chesi china su di lui per dargli da mangiare (cfr Os 11,4).

5. Il salmo responsoriale, Sal 125(126), 1-2ab; 2cd; 3; 4-5; 6, si pone in continuitàcon la lettura di Geremia. L’ultimo versettodella lettura profetica (“Essi erano partiti nelpianto, io li riporterò tra le consolazioni”:Ger 31,9) viene tradotto in preghiera. L’as-semblea orante ricorda la bontà di Dio(“Quando il Signore ricondusse i prigionieridi Sion...”) e lo supplica per il futuro (“Ri-conduci, Signore, i nostri prigionieri...”). Latestimonianza del passato non è solo memo-ria, ma fiduciosa sicurezza nell’attesa dell’o-pera divina che supera ogni aspettativa e chegenera gioia (v. 3: “Grandi cose ha fatto ilSignore per noi, ci ha colmati di gioia”).

6. La colletta generale (Sacr. Leoniano n. 598 e M.R. n. 759), tocca solo il tema del-la fede con un’ottica che appartiene al lezio-nario di oggi. La fede, infatti, viene presenta-ta nella petizione come correlata dalle virtùarmoniche della speranza e della carità (chenel lezionario non sono accennate). Nel finedella prima petizione e nella seconda petizio-ne, invece, l’accenno al tema dell’obbedien-za (“perché possiamo ottenere ciò che pro-metti, fa’ che amiamo ciò che comandi”) ri-prende la proposta evangelica della chiamatadi Gesù e della risposta pronta e generosa diBartimeo.

La colletta particolare manifesta l’in-treccio tra le tematiche di tutte e tre le let-ture. Nel primo ampliamento dell’invoca-

zione (“O Dio, luce dei ciechi e gioia deitribolati”) l’eucologia traduce in titolo di-vino la promessa profetica e il miracoloevangelico, mentre nella petizione (“fa’che tutti gli uomini riconoscano in lui latenerezza del tuo amore di Padre e si met-tano in cammino verso di te”) viene ripre-so il titolo divino di Padre e il tema delcammino di Bartimeo verso Gesù. La col-letta elabora questo secondo tema come“cammino” verso il Padre, manifestandouna felice contaminazione con la teologiagiovannea dove al Padre si giunge solo eunicamente seguendo Cristo.

7. Il brano proposto dal lezionario comeseconda lettura è Eb 5,1-6. Il taglio della pe-ricope è letterariamente un po’ innaturale(sarebbe più opportuno Eb 5,1-3.4-10). Latematica, tuttavia, si riallaccia al tema del te-sto di domenica scorsa (Gesù, sommo sacer-dote, ricco di compassione: Eb 5,1-3) e ag-giunge il tema della vocazione divina alsommo sacerdozio (Eb 5,4-6). Gesù, perciò,è sommo sacerdote per le due fondamentalicaratteristiche: la compassione e la vocazio-ne.

Per illustrare la compassione di Gesù,l’autore si rifà al modello terreno del sommosacerdote ebraico. Anche costui è uomo ed èpeccatore come gli uomini. Poiché “è rivesti-to di debolezza” può capire e compatire ipeccatori. Per sé e per essi il sommo sacer-dote ebraico offre sacrifici a Dio. La com-passione è frutto, dunque, di condivisionedella medesima origine (“scelto tra gli uomi-ni”: v. 1) e della medesima debolezza, igno-ranza e capacità di errore dei peccatori (v.2).Il paragone è possibile senza paura di equi-voci: tra Gesù, sommo sacerdote vero, e ilsommo sacerdote ebraico (figura di quellovero) non c’è nessuna differenza nella capa-

La parola di Dio celebrata

Page 66: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

66 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

cità di compassione (Gesù, però, non haesperimentato il peccato come il sommo sa-cerdote ebraico: cfr 4,15).

L’altra caratteristica di Gesù sommo sacer-dote è, anch’essa, illustrata attraverso l’esem-plificazione dell’esperienza ebraica. Aronne,capostipite del sacerdozio ebraico, è statochiamato da Dio a svolgere la sua missione.Uno può, dunque, essere sommo sacerdote so-lo per vocazione divina. Questa vocazioneGesù l’ha ricevuta da Dio prima di tutto per-ché Dio lo ha chiamato “Figlio”. Fondandosisulla citazione di Sal 2,7 (“Mio figlio, sei tu”),salmo messianico, l’autore vede nella figlio-lanza divina di Gesù la capacità essenziale diCristo di “stare davanti a Dio”. Chiunque altro- proprio perché non è “Figlio” - sarebbe me-no degno di Lui. Fondandosi su un secondotesto messianico, Sal 110,4 (“Tu sei sacerdoteper sempre alla maniera di Melkisedech”),l’agiografo dimostra la vocazione del Messia-Figlio. Gesù non apparteneva alla tribù di Le-vi, ma di Giuda, ed era di discendenza davidi-ca. Poiché Davide era succeduto sul trono diGerusalemme alla dinastia del sacerdote-reMelchisedech (cfr Gen 14,18), ne aveva an-che ereditato i poteri sacerdotali. Come dovi-dide, dunque, Gesù è anche sacerdote, secon-do la linea di Melchisedech e non di Levi.

RALLEGRATEVI ED ESULTATE, PERCHÉ GRANDE È LA VOSTRA RICOMPENSA NEI CIELI

Tutti i Santi1 novembre

Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12

1. Il 13 maggio del 609 papa BonifacioIV, con il permesso dell’imperatore Foca,

trasformava il tempio pagano del Pantheon(dedicato a tutti gli dèi) in chiesa cristiana. IlPapa la consacrava, la innalzava al rango dibasilica e la dedicava a Maria e a tutti i mar-tiri (la dicitura latina esatta sarebbe: S. Mariaad Martyres). Per diverso tempo il 13 mag-gio fu la festa in cui i cristiani ricordavanotutte quelle persone che erano state rese si-mili a Cristo con il martirio. Poco più di duesecoli dopo, nel 835, la festa assunse nuovecaratteristiche e nuova data. Finita l’era dellepersecuzioni (dove la santità nasceva dalmartirio), iniziò l’era in cui la santità nascevadalla imitazione di Cristo, attraverso la prati-ca eroica delle virtù evangeliche. Così la co-munità cristiana iniziò a ricordare accanto aimartiri anche i “confessori” (coloro che testi-moniano o confessano con lo stile di vita laloro piena adesione ai precetti evangelici).La data passò dal 13 maggio al 1 novembre.La festa era preceduta dal digiuno.

Bernanos scrisse che “un eroe dà l’illu-sione di superare l’umanità, mentre il santonon la supera, l’assume”. I santi non sono su-peruomini, ma uomini che realizzano la loroumanità seguendo la via indicata da Cristo esintetizzata nelle Beatitudini (Mt 5,1-12a),che la liturgia propone come lettura evange-lica per la solennità di tutti i santi.

2. Le Beatitudini (Mt 5,1-12) sono un te-sto evangelico che non finisce mai di stupire.È difficile - a una prima lettura - dire se sitratta di un testo ingenuo o di un testo esi-gente. Alle volte sembra che dietro alle paro-le facili si nasconda la elementarità di unaconsapevolezza che non tiene conto dellastoria e della società. Altre volte, approfon-dendo, si intravede la complessità e la diffi-coltà delle scelte di valori che siano consoniall’uomo in una società dinamica, in conti-nua evoluzione e senza parametri fissi come

Page 67: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 67

era quella del primo secolo (per moltissimiaspetti molto simile alla nostra). Certamentele beatitudini sono una delle pagine più altedella letteratura (profana e religiosa) mon-diale.

La liturgia, attraverso le beatitudini di Mt 5,1-12, offre il criterio di fondo per com-prendere l’identità del cristiano. Non si trattain senso stretto di una legge. Sembra piutto-sto che il testo fornisca il lieto annuncio diciò che può essere il discepolo di Cristo cheha sperimentato il perdono e la salvezza.

Le beatitudini come “legge” non sarebbe-ro altro che un sostitutivo dei comandamentie, di conseguenza, diventerebbero importan-tissimi i concetti ivi espressi. Le beatitudinidiventano “vangelo” quando il loro messag-gio non viene fatto diventare una “ideologia”a cui l’uomo deve piegarsi. Esse diventanolieto annuncio quando dietro a ogni loro sin-gola affermazione si coglie l’identità di Ge-sù, uomo nuovo, che il credente è chiamato aseguire e a imitare.

3. Dire che eirenopoieis non equivaleesattamente a “pacifici” e neppure a “costrut-tori di pace”, ma piuttosto a “collaboratoricon Dio alla realizzazione dell’uomo”, è unbel traguardo, ma tale esame filologico noncoglie ancora l’essenza del messaggio. Il cri-terio interpretativo delle Beatitudini si trovanella persona di Cristo. La Beatitudine “beatii miti” cosa significa? L’esegesi risponde che“mite” indica colui che vive la praytes (cal-ma mansuetudine) e la epieikeia (indulgentemoderazione). Gesù offre, invece, un signifi-cato meno filologico, ma chiaro e fulminan-te: “Imparate da me, che sono mite e umiledi cuore” (Mt 11,29). Essere miti significavivere la calma mansuetudine e l’indulgentemoderazione “come” Lui. Di conseguenza,la vera domanda non è “chi sono i poveri ?”,

ma piuttosto “come Cristo ha vissuto la po-vertà?”. Vivere la povertà “come Lui” è lavera beatitudine. Lasciando da parte la spie-gazione delle beatitudini e concentrando l’at-tenzione sulla comprensione di esse, la do-manda è: come Gesù ha vissuto la “povertànello spirito”, l’ “afflizione”, la “mitezza”, la“fame e sete di giustizia”, la “misericordia”,la “purezza di cuore”, l’ “atteggiamento con-creto e operativo di pace”, la “persecuzioneper causa della giustizia”? Rispondendo aquesta domanda, il credente può dare la ri-sposta più idonea alla splendida pagina dellebeatitudini.

Il cristiano, dunque, è santo quando ac-cetta e persegue l’imitazione di Cristo fino adiventare distaccato dai beni, ampio nel con-dividerli e sobrio nel fruirli, capace di sop-portare la solitudine e l’incomprensione perla sua coerenza nei confronti della fede,profondamente consapevole di essere in ma-no a Dio in qualunque situazione, continua-mente teso al meglio (nella sfera del possibi-le), ricco di atteggiamenti non sanzionatoriverso gli altri, ma comprensivo (non tolle-ranza amorale, ma capacità di capire), pulitomentalmente e pervaso dalla Parola così tan-to da saper cogliere Dio sapienzialmente inogni circostanza, impegnato nella propria ealtrui realizzazione all’interno della realizza-zione della comunità e della Chiesa secondola volontà di Dio, forte nel subire maltratta-menti e anche la morte per la propria fede.

4. I santi, canonizzati e non, sono coloroche hanno vissuto, vivono o vivranno l’atteg-giamento interiore di imitazione di Cristo se-condo la proposta delle beatitudini, con laconsapevolezza di essere “amati da Dio” (=beato). Essi fanno e faranno parte della mol-titudine immensa dei salvati, i quali sarannosimili a Dio perché lo vedranno così come

La parola di Dio celebrata

Page 68: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

68 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

Egli è (cfr. II lett.: 1 Gv 3,2). Si tratterà diuna moltitudine immensa che nessuno ha po-tuto, può o potrà contare (cfr. I lett.: Ap 7,9).

a. Il testo di Ap 7,2-4.9-14 spinge all’otti-mismo. I salvati sono innumerevoli. Il nume-ro 144.000 non nasconde significati reconditioscuri. È il prodotto di 12 (tribù) per 12.000.È il prodotto di un numero per il suo multi-plo. Tale procedimento sembra che nel lin-guaggio biblico neotestamentario indichi ilconcetto di completezza. Se ricordiamo, in-fatti, sia la domanda di Pietro a Gesù: “Si-gnore, quante volte dovrò perdonare al miofratello, se pecca contro di me? Fino a settevolte?” (Mt 18,21), sia la risposta di Gesù aPietro: “Non ti dico fino a sette, ma fino asettanta volte sette” (Mt 18,22), ci è possibilecomprendere come la risposta di Gesù nonintendesse fermarsi a 490 volte. La rispostadi Gesù correva sul valore della completezzae della totalità: sempre.

Per questo motivo si dice in Ap 7,9 che isalvati sono “una moltitudine immensa, chenessuno poteva contare, di ogni nazione, raz-za, popolo e lingua”. Hanno, tuttavia, una ca-ratteristica: “sono passati attraverso la gran-de tribolazione e hanno lavato le loro vestirendendole candide col sangue dell’Agnel-lo”. Sono i battezzati che hanno mantenuto evissuto la loro fede fino alla fine.

b. Il Sal 23(24) viene definito dagli stu-diosi come una liturgia. I versetti che costi-tuiscono il salmo responsoriale, Sal23(24),1-2.3-4.5-6, contengono fondamen-talmente una catechesi che i sacerdoti face-vano ai pellegrini che arrivavano al tempiodi Gerusalemme. Questa semplice cateche-si richiamava ai fedeli non solo i dati prin-cipali della fede (vv. 1-2: Dio creatore), marispolverava anche alcuni elementi fonda-

mentali del comportamento vissuto secon-do l’alleanza. La morale veniva richiamataseguendo i valori (mani innocenti, cuorepuro, ricerca di Dio) e non i singoli coman-damenti.

c. Il testo della seconda lettura, 1Gv 3,1-3,è scandito dalla doppia ripetizione del voca-tivo “carissimi” (v. 1: “carissimi” non è pre-sente nel testo originale biblico, ma è una ag-giunta del testo biblico-liturgico; v. 2: “caris-simi” è originale).

Nella prima parte del testo (v. 1) lo scrit-tore sacro invita i suoi destinatari a prendereatto dell’amore di Dio per loro. La presad’atto avviene attraverso l’esperienza di es-sere realmente figli di Dio. Chi non conosceDio (e quindi non è stato reso “figlio diDio”) non ha nei suoi confronti lo stesso rap-porto di amore fiduciale che è presente neicredenti. Questa è la prova più semplice, maanche più immediata per comprendere comel’amore paterno di Dio abita nei credenti,suoi figli.

Nella seconda parte del testo (vv. 2-3) icredenti devono comprendere che nellastoria la figliolanza divina non si può ma-nifestare in tutta la sua grandezza. Solonell’escatologia la figliolanza divina assu-merà tutto il suo splendore. I credenti sa-ranno simili a Dio. Di conseguenza co-minciano a prepararsi, imitandolo fin daquesto mondo.

5. La colletta, con andamento letteraria-mente semplice e teologicamente molto ric-co, offre alla comunità orante la chiave dilettura di tutti i testi biblici. Le beatitudini, lavisione apocalittica dei salvati e la figliolan-za divina vanno assunti come una triplicesfaccettatura dell’unica santità presente nellaChiesa come dono di Dio. La sua misericor-

Page 69: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 69

dia è invocata perché porti a compimento an-che nella comunità orante la ricchezza delsuo dono.

CHI CREDE NEL FIGLIO HA LA VITAETERNA; IO LO RISUSCITERÒ NELL’ULTIMO GIORNO

XXXI domenica del tempo ordinarioCommemorazione di tutti i fedeli defunti 2 novembre

1. La Commemorazione di tutti i fedelidefunti viene vissuta dalla Liturgia all’inter-no dello stesso orizzonte teologico in cui sicolloca la solennità di Tutti i Santi: laprofonda ed essenziale comunione in Cristotra tutti i credenti, la comunione dei santi.Sembra che le origini di tale commemorazio-ne vadano ricercate nell’ambito monasticoceltico. Nel Calendario romano si trova giàall’epoca carolingia. Circa un secolo fa, nel1915, Benedetto XV permise di celebrare tresante messe.

I testi del lezionario delle tre sante messeche la liturgia propone sono: 1. Gb 19,1.23-27; Sal 26(27),1.4.7-9.13-14; Rm 5,5-

11; Gv 6,37-40.

2. Is 25,6.7-9; Sal 24(25),6-7.17-18.20-21; Rm 8,14-

23; Mt 25,31-46.

3. Sap 3,1-9; Sal 41(42),2-3.5.Sal 42(43),3.4.5; Ap

21,1-5.6b-7; Mt 5,1-12.

2. I testi biblici della prima messa hannocome tema fondamentale l’affermazione diGesù “questa è la volontà di colui che mi hamandato, che io non perda nulla di quanto miha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno”.

Il vangelo (Gv 6,37-40) è un brano trattodalla lunga riflessione sull’Eucaristia fatta daGesù nella sinagoga di Cafarnao. Mentre il

testo appare semplice, le tematiche teologi-che si intrecciano in modo ricco, alle voltecomplesso, ma senz’altro profondissimo. Lavolontà salvifica del Padre è la fonte primi-genia della salvezza. Da essa sgorga la mis-sione del Figlio. Da essa nasce l’incontro tral’uomo e Gesù Cristo. Da essa, infine, scatu-risce la certezza che chiunque crede nel Fi-glio ha la vita eterna.

Nel testo evangelico c’è un piccolo parti-colare da sottolineare. La volontà del Padreha stabilito che Gesù “non perda nulla” (gr.: ina me apoléso) di quanto il Padre gli hadato. Gesù stesso, però, aveva già detto al v.12 di raccogliere gli avanzi del pane perché“nulla vada perduto” (gr.: ina me ti apóletai).Il gioco è sottile, ma estremamente significa-tivo. Il profondo rispetto che il credente deveavere per l’Eucaristia è lo stesso profondo ri-spetto che Dio ha per noi. Sotto questo profi-lo, poeticamente parlando, dovremmo direche noi siamo l’Eucaristia di Dio.

La prima lettura, Gb 19,1.23-27, risentedell’interpretazione latina del testo biblicoebraico. Per questo motivo troviamo la con-fessione di fede nella vita oltre la morte e laprofonda convinzione di vivere nell’eternitàin familiarità profonda con il Signore (“I miei occhi lo contempleranno non dastraniero”).

Il Sal 26 (27) è un salmo che esprime lafiducia individuale. I versetti scelti dalla li-turgia, Sal 26 (27),1.4.7-9.13-14, riprende iltema della contemplazione del volto di Dio(v. 13), presente nella chiusa della prima let-tura, e vi aggiunge l’atto di fede e di abban-dono più bello della Scrittura: “Il Signore èdifesa della mia vita, di chi avrò timore”? Iltema della luce (v. 1) e il tema della speranza(v.14) completano il tema della fede che saed esperimenta che sempre e comunque Dio,nella sua casa (= per il salmo è il tempio, per

La parola di Dio celebrata

Page 70: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

70 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

la celebrazione è il Paradiso) mostrerà il suovolto a colui che lo cerca.

La seconda lettura, Rm 5,5-11, ha cometema centrale il dono dello Spirito nel cuoredel cristiano. Tale Spirito è garante di quel-l’amore di Dio che salva con amore gratuito.L’amorosa salvezza di Dio non si compera.Si accoglie. Da qui nasce la certezza di esse-re salvati dal peccato e dalla morte mediantela morte del Figlio.

La colletta ruota attorno al mistero dellarisurrezione. La petizione chiede a Dio laconferma della speranza. In modo delicatissi-mo il fine della petizione esprime la comu-nione con i fratelli defunti in vista di una ri-surrezione vissuta insieme con loro.

2. I testi biblici della seconda messa hannocome tema fondamentale il giudizio divino sul-l’umanità (Mt 25,31-46) riletto, però, alla lucedella salvezza universale per tutti i popoli (I let-tura: Is 25,6.7-9): Dio eliminerà la morte persempre (Is 25,8). In altre parole, senza nulla to-gliere alla giustizia e alla misericordia di Dionel giudizio ultimo, la liturgia preferisce sotto-lineare l’aspetto positivo del giudizio stesso.

Il vangelo (Mt 25,31-46) presenta in unavisione possente il giudizio della fine delmondo. “Tutte le genti” verranno giudicatesulla misericordia avuta nei confronti dei bi-sognosi, più precisamente nei confronti dei“fratelli più piccoli” (v. 45). Costoro sono gliaffamati, gli assetati, i forestieri, i nudi, i ma-lati, i prigionieri e potrebbero trovarsi sia alladestra, sia alla sinistra del “Figlio dell’uomo-Re”. Non c’è in questo brano di Matteo ungiudizio che oppone i credenti ai pagani, mai giusti ai non-giusti. Per i giusti, benedettidel Padre, c’è l’eredità del Regno, preparatoda sempre per loro.

Se il testo evangelico ha in sé qualche co-sa di molto severo (si tratta dell’uso della li-

bertà dell’uomo in rapporto alla propria sal-vezza), il testo biblico della prima lettura, Is 25,6.7-9, completa il quadro inserendo iltema aperto e liberante della gioia (“ralle-griamoci, esultiamo per la sua salvezza”).Nel brano lo scrittore sacro vede alla fine deitempi tutti i popoli (gli stessi che compari-ranno davanti al Figlio dell’uomo) radunatiattorno a Dio (“Ecco il nostro Dio”). Sarà unmomento straordinario: ogni dolore e umilia-zione scompariranno, ma soprattutto il titani-co nemico, la morte, verrà eliminata.

Il Sal 24(25) è una lamentazione indivi-duale. I versetti scelti, Sal 24(25),6-7.17-18.20-21, sembrano più legati alla lettura delvangelo che alla prima lettura. Al vangelovanno ricondotti i temi dell’amore di Dio,della sua misericordia e della sua capacità diperdono: l’uomo sa di essere sempre al disotto di quel confine dove Dio lo attendereb-be. Alla prima lettura, invece, fanno capo itemi dell’angoscia, dell’affanno, della mise-ria e della pena: alla fine dei tempi Dio to-glierà ogni sofferenza.

La seconda lettura, Rm 8,14-23, esprimele attese del credente, ponendolo in comu-nione con tutta la creazione che “geme e sof-fre… nelle doglie del parto”. Il credente,però, possiede fin da ora lo Spirito che lorende consapevole della figliolanza divina eche, in modo misterioso, gli anticipa la vitaeterna. Questo dono fa scaturire nel credentela profonda nostalgia (“gemiamo interior-mente”) della totale adozione a figli che av-viene con la “redenzione del nostro corpo”.

La colletta, mentre chiede la misericordiae la beatitudine per i fratelli defunti, contem-poraneamente testimonia quanto costoro ab-biano professato la fede nella risurrezioneche è il completamento dell’opera salvificadi Dio e, quindi, il completamento della bea-titudine stessa.

Page 71: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 71

3. I testi biblici della terza messa ruotanoattorno al tema della gioia e della ricompen-sa nel Regno dei cieli: “Rallegratevi ed esul-tate, perché grande è la vostra ricompensanei cieli”. Il vangelo delle beatitudini (Mt 25,31-46) è già stato commentato per lasolennità di Tutti i Santi. Il testo evangelico,attraverso forme diverse, dopo aver dichiara-to chi sono gli amati da Dio, annuncia per lo-ro il premio escatologico (di essi è il regnodei cieli; saranno consolati; erediteranno laterra; saranno saziati; troveranno misericor-dia; ecc.). Il testo della prima lettura, Sap3,1-9, amplifica, semplificando, la dimensio-ne escatologica dei giusti, già ampiamenteannunciata dal vangelo. Per i giusti l’immor-talità, oggetto di speranza, mentre vivevanonella tribolazione, diventa il loro premio. Ilsalmo responsoriale, Sal 41(42),2-3.5.Sal42(43),3.4.5, associandosi al brano sapien-ziale offre attraverso l’immagine dell’acquae della casa di Dio la sete d’immortalità chel’uomo ha e il desiderio profondo di esseresempre con Dio. Il clima di gioia è vissutonella speranza (“Verrò all’altare di Dio, alDio della mia gioia, del mio giubilo”). Manon è un sogno. È una speranza fondata sullacertezza che Dio è “la salvezza del mio vol-to”.

Il testo dell’Apocalisse, Ap 21,1-5.6b-7,è teologicamente molto ricco e tematica-mente elaborato. La realtà futura, vista comecieli nuovi e terra nuova, è vissuta inprofonda comunione: Dio sarà per sempreinsieme agli uomini (adempimento escatolo-gico dell’Emmanuele: Dio con noi). Diofarà nuove tutte le cose, sottraendovi la mor-te, il lutto, il lamento e l’affanno. Il giusto,chiamato vittorioso, erediterà tutta questanuova realtà e avrà con Dio un legame di al-leanza personale: “io sarò il suo Dio ed eglisarà mio figlio”.

4. La colletta concentra la sua attenzionesolo sui “nostri fratelli defunti”. Come Cristoha vinto la morte, così essi possano “condivi-dere il suo trionfo sulla morte”. Tale trionfo èla condizione perché, come creati e redenti,possano contemplare Dio in eterno.

PARLAVA DEL TEMPIO DEL SUO CORPO

XXXII domenica del tempo ordinario -Dedicazione della Basilica Lateranense 9 novembre

1 Re 8,22-23.27-30; Sal 94; 1 Pt 2,4-9; Gv 4,19-24

1. Verso il 324 Costantino il Grande eres-se nel palazzo dei Laterani una basilica. Erala chiesa del Papa. Per secoli la memoria ditale erezione venne festeggiata solo dalla co-munità cristiana di Roma. Nella riforma delcalendario liturgico del 1565 la festa venneestesa a tutte le comunità cattoliche di rito la-tino di tutto il mondo. Il motivo di tale esten-sione è molto semplice: la basilica lateranen-se è stata da sempre vista come la “madre ditutte le chiese” di Roma e del mondo. Poichéla basilica lateranense è stata fin dagli inizi lachiesa del Papa perché lì il pontefice avevala sua cattedra, la festa assume oggi un valo-re di amore, di unione e di fedeltà a “Pietro eai suoi successori”. Accanto a questa dimen-sione non va dimenticato il tema dell’onoreda dare alla chiesa-edificio. L’edificio-chiesain sé non è importante, basterebbe infatti un“luogo decoroso che sia degno di un cosìgrande mistero” come l’Eucaristia (n. 253).L’edificio-chiesa diventa, invece, importantea livello teologico perché “segno e simbolodelle realtà celesti” e come “segno dellaChiesa spirituale” (comunità storica ed esca-tologica di credenti).

La parola di Dio celebrata

Page 72: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

72 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

Nei Principi e norme per l’uso del Mes-sale Romano si afferma che “i luoghi sacri ele cose che servono al culto siano davverodegne, belle, segni e simboli delle realtà ce-lesti” (n. 253). Poco più avanti si dice chiara-mente: “I fedeli, poi, tengano nel dovutoonore la chiesa cattedrale della loro diocesi ela propria chiesa parrocchiale; e considerinol’una e l’altra segno di quella Chiesa spiri-tuale alla cui edificazione e sviluppo sonochiamati dalla loro professione cristiana” (n. 255).

2. Il testo del vangelo, Gv 4,19-24, è laparte finale del lungo dialogo tra Gesù e laSamaritana (Gv 4,7-26). La liturgia modificaalquanto l’incipit ( testo originale: “Gli re-plicò la donna:”; testo liturgico: “In queltempo la donna Samaritana disse a Gesù:”) eespunge dalla proclamazione i vv. 25-26 (ri-velazione messianica di Gesù) che costitui-scono la naturale conclusione del brano.

Liturgicamente, dunque, la tensione teo-logica non sfocia nella messianicità di Gesù,ma sulla caratteristica del nuovo culto: “Dioè spirito, e quelli che lo adorano devono ado-rarlo in spirito e verità”. Il taglio del brano li-turgico, dunque, concentra l’attenzione del-l’ascoltatore sul tema del luogo di culto: Diosi adora sul Garizim o a Gerusalemme? Larisposta di Gesù supera il dualismo e si col-loca su un piano più alto: si adora Dio “inSpirito e verità”.

3. Il testo di Gv 4,19-24 inizia con la don-na che interpella Gesù come profeta circa illuogo dell’adorazione: questo monte (Gari-zim), luogo praticato dai Samaritani, o Geru-salemme, luogo praticato dagli Ebrei (“voidite che è Gerusalemme”)?

Il testo evangelico è concentrato sulla ri-sposta di Gesù. Sotto il profilo stilistico l’e-

spressione “è giunto il momento” divide iltesto in due parti strutturalmente uguali: lanegazione del “luogo specifico” come condi-zione del culto (vv. 21-22) e la condizionevera per il culto (vv. 23-24).

a. Dopo l’esilio babilonese, attraverso va-rie vicissitudini, si sono costituiti in Palestinadue santuari di Yhwh. Uno, erede diretto delgrande tempio di Salomone, continuava latradizione biblica a Gerusalemme. Un secon-do, costruito probabilmente come sostitutivotemporaneo, ma divenuto in seguito santua-rio permanente, rappresentava il luogo diculto dei Samaritani. In ambedue venivaadorato Yhwh.

In un momento storico in cui il “luogo”del culto aveva ancora una grande forza teo-logica, era evidente che la donna cercasse dal

Roma, S. Giovanni in Laterano, abside e cattedra

Page 73: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 73

“profeta” una risposta. La risposta di Gesùinizia con una radicale negazione dell’impor-tanza del luogo. Non si tratta di una negazio-ne di disprezzo. Gesù, infatti, sottolinea che“è giunto il momento”, momento che primadi Gesù non c’era. Si tratta, dunque, di unanegazione di trapasso: fino a ora il luogo eraimportante, ma da ora in poi non più.

La motivazione data da Gesù, invece, ap-parentemente sembra sottolineare l’impor-tanza di Gerusalemme su quella data al Gari-zim perché gli Ebrei sanno chi adorano,mentre i Samaritani non lo sanno. Di fatto, lamotivazione del v. 22 ha come finalità di af-fermare che la salvezza viene dai Giudei. Sitratta di un modo molto velato adoperato daGesù per indicare il valore salvifico della suapersona, vero tempio voluto da Dio (cfr Gv 2,20-22).

b. La ripresa dell’espressione “è giunto ilmomento” del v. 23 apre la seconda partedella risposta di Gesù. I veri adoratori hannouna fisionomia ben precisa: sono cercati dalPadre e adorano il Padre in spirito e verità.

Che Dio cerchi l’uomo è un dato strabi-liante che Gesù ha sottolineato in modoparticolare nella parabola della moneta per-duta (la donna “cerca” la moneta: cfr Lc15,8-10; per valore parallelo si veda anchela parabola della pecora perduta: Lc 15,4-7).Dio, dunque, fa di coloro che hanno biso-gno di conversione i suoi adoratori in spiri-to e verità.

L’espressione “adorare in spirito e verità”è una endiadi e potrebbe, fra le varie inter-pretazioni, equivalere ad “adorare in Spiritodi verità” (semplificando, “adorazione spiri-tuale”). Ciò però non significa “adorazioneintimistica”. Significa “adorazione secondola legge dello Spirito Santo”. La legge delloSpirito è molto ampia, ma sappiamo che lo

Spirito creatore ha operato in modo partico-lare nella profezia, nell’Incarnazione e nellaRisurrezione di Cristo. L’atto di culto, per-ciò, deve rispondere in modo particolare alleleggi dell’incarnazione (Dio si fa uomo perfare l’uomo divino) e della profezia (lo Spiri-to, guidando alla verità tutt’intera, fa esperi-mentare Dio e la sua salvezza).

4. La liturgia a Gv 4,19-24 associa il testodi 1 Re 8,22-23.27-30. Si tratta di alcuni ver-setti della grande preghiera di Salomone perla consacrazione del tempio di Gerusalem-me. La teologia del testo è molto ricca per-ché il testo stesso è frutto di una sedimenta-zione di più strati letterari di diverse epoche.La liturgia ha scelto solo l’inizio della pre-ghiera e un brano che tocca il tema della pre-senza-assenza di Dio nel tempio: “Ecco i cie-li e i cieli dei cieli non possono contenerti,tanto meno questa casa che io ho costruita!”(1Re 8,27). Sembra che questi due brevistralci si possano far risalire a una teologiamatura ed elaborata, databile vicino all’esi-lio.

Dio non può abitare il tempio, ma lì hascelto di far abitare il suo nome. Ricordiamoche il nome di Dio, Yhwh, ha come signifi-cato di fondo la vicinanza di Dio con il suopopolo (“Colui che si trova tra gli uomini enella storia”). Il tempio è il segno del Dio vi-cino ai suoi fedeli. Per questo il credente chelì prega è ascoltato e perdonato.

5. Il Sal 94(95), con cui si apre quotidia-namente la Liturgia della ore, è classificatodalla maggioranza degli studiosi come unaesortazione profetica. I pochi versetti scelticome salmo responsoriale, Sal 94(95),1-2.3-5.6-7 sono un’esplosione di fede e di gioiaper Dio che ha creato il mondo (“suo è il ma-re, egli l’ha fatto, le sue mani hanno plasma-

La parola di Dio celebrata

Page 74: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

74 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

to la terra”) e che guida il suo popolo nellastoria con un patto di fedeltà e di alleanza(Egli è il nostro Dio, e noi il popolo del suopascolo, il gregge che egli conduce”).

6. Il testo della seconda lettura, 1 Pt 2,4-9,illustra in modo particolare l’identificazione(avvenuta con il Battesimo) del credente conCristo. Come Cristo, che è “pietra viva”, an-che i credenti diventano “pietre vive”, ado-perate dal Padre per la costruzione dell’ “edi-ficio spirituale” e per la costituzione del “sa-cerdozio santo”. Le tematiche sono ampie emolto delicate, ma il messaggio di fondo èchiaro. Il vero tempio è Cristo. A lui i fedelisono associati mediante il Battesimo e for-mano la comunità di Cristo, il suo corpo nel-la storia. Da questa visione dipende il fattoche il corpo del credente è tempio dello Spi-rito e che la comunità è il tempio di Dio.

7. Le due collette che la liturgia proponehanno un valore teologico molto grande, mahanno una sintonia diversa con la successivaLiturgia della Parola.

La prima colletta esprime nell’amplificazio-ne dell’invocazione il concetto di fondo cheverrà proclamato nella seconda lettura: il tem-pio della sua gloria, Dio lo prepara con pietrevive e scelte. La petizione e lo scopo sono unbellissimo colpo d’ala. Viene chiesto lo Spiritoperché edifichi il popolo e diventi fin da oggi,nella storia, il “luogo” dell’esperienza del futuroe del trascendente (“edifichi il popolo dei cre-denti che formerà la Gerusalemme del cielo”).

La seconda colletta, invece, offre comepunto di partenza il concetto di Chiesa uni-versale (“chiami la tua Chiesa la moltitudinedei credenti”). Questa Chiesa è capace diadorazione, di amore e di sequela (imitazio-ne di Cristo con il discepolato) in un pelle-grinaggio storico che sfocerà nell’eternità.

IL FIGLIO DELL’UOMO RIUNIRÀ I SUOIELETTI DAI QUATTRO VENTI

XXXIII domenica del tempo ordinario 16 novembre

Dn 12,1-3; Sal 15; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32

1. La conclusione dell’anno liturgico èprossima. Il lezionario presenta la tematicaclassica, ormai cara alla tradizione cristiana,della parusia di Gesù e della fine del mondo.Il ritorno ultimo di Gesù, Figlio dell’uomo egiudice, sarà salvezza per i suoi discepoli(Mc 13,24-32).

Costoro, dunque, non devono angustiarsiin calcoli umani che guardano alla storia co-me a una realtà gestibile dall’uomo. I tempidella salvezza e il tempo della fine apparten-gono ai kairoi, ai tempi di Dio. Solo a luicompete determinarli con sovrana autorità.All’uomo spetta solo essere pronto ad acco-glierli, non a calcolarli. Quando il Figlio del-l’uomo verrà, i suoi discepoli risorgeranno esi troveranno scritti nel libro della vita per-ché hanno operato per la conversione propriae altrui (cfr la prima lettura: Dn 12,1-3). So-stenuti dalla fiducia, dall’atteggiamento diattesa accogliente e dalla speranza, essi gioi-ranno per sempre con il loro Signore (cfr. lacolletta propria). Si tratta, dunque, di una vi-sione ampia e serena dell’incontro finale conDio, che prenderà l’aspetto sia dell’incontropersonale sia dell’incontro universale finale(cfr. ancora la colletta propria). Il giudizioc’è, ma non va concepito con i parametri del-la semplice e pura esperienza umana. Si trat-ta del giudizio di Dio, giusto e misericordio-so.

2. Dal lungo discorso escatologico-apo-calittico di Mc 13,5-37 la liturgia ritaglia

Page 75: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 75

solo pochi versetti come lettura evangelica:Mc 13,24-32. Il testo è composto da duebrani: la venuta del Figlio dell’uomo (vv.24-27) e la certezza che l’evento è immi-nente (vv. 28-31). Il v. 32 è variamente giu-dicato. Alcuni studiosi pensano che sia laconclusione di Mc 13,28-31. Altri, invece,ritengono che sia l’introduzione del branosuccessivo, Mc 13,32-37 che tocca il temadell’incertezza del momento esatto. La li-turgia ha preferito la prima ipotesi e, quindi,vede nel v. 32 una parte integrante alla pa-rabola del fico e la risposta di Gesù alla do-manda di Pietro, Giacomo, Giovanni e An-drea: “Dicci quando accadrà questo...” (Mc 13,4a). L’incipit, pur essendo essen-zialmente liturgico (“Disse Gesù ai suoi di-scepoli”), non fa altro che parafrasare il te-sto che sostituisce (“Gesù si mise a dire lo-ro”: Mc 13,5a).

3. Letterariamente il brano evangelico diMc 13,24-32 è suddivisibile in due pericopidi senso compiuto: la venuta del Figlio del-l’uomo e il raduno degli eletti (v. 24-27) e iltempo della fine, spiegato attraverso il para-gone del fico (vv. 28-32).

a. La venuta del Figlio dell’uomo e il ra-duno degli eletti (v. 24-27) sono introdotti dauna espressione tipica della letteratura profe-tica: “in quei giorni”. L’espressione biblicaindica sempre un tempo deciso da Dio. Nonsiamo, dunque, di fronte a un tempo dove gliuomini possono effettuare i loro calcoli. Sitratta del tempo ultimo che segue il tempodella “tribolazione”. Gesù, pertanto, intendepresentare ai suoi discepoli il tempo della fi-ne, che non è un tempo immediato, ma nep-pure molto lontano. Certamente è un tempo“improvviso” (cfr v. 36).

Attraverso citazioni e allusioni bibliche

veterotestamentarie (cfr. Is 13,10; 34,4; Gl 2,10-11; ecc.) l’evangelista descrive loscenario apocalittico nel quale comparirà ilFiglio dell’uomo. Il giorno ultimo sembra as-sumere il carattere di una implosione creati-va. Come all’inizio della Genesi (Gen 1,1-3)le tenebre precedettero la prima opera creata,cioè la luce, così la fine del mondo viene vi-sta come l’inverso della creazione: i fenome-ni cosmici pongono fine agli elementi che il-luminano l’universo (sole, luna, astri).

Gesù, che si autodefinisce “Figlio del-l’uomo”, ritorna per giudicare gli uomini. IlFiglio dell’uomo è Dio. Le espressioni di sa-pore veterotestamentario che manifestano ladivinità sono fondamentalmente due: “sullenubi” e “grande potenza e gloria”. In Mc 14,62, durante il giudizio subito dal som-mo sacerdote, Gesù identificherà se stessocon il Figlio dell’uomo “seduto alla destradel Padre” che viene con le nubi del cielo. Sitratta di Gesù Cristo che, allo stesso modocon cui se n’è andato in cielo (cfr. l’ascensio-ne in At 1,11), ritornerà.

Marco sfuma il tema del giudizio ed evi-denzia il ritorno del Figlio come venuta di sal-vezza per i credenti. Nessun eletto, ovunque sitrovi, verrà tralasciato nel grande raduno com-piuto dagli angeli del giudizio. Il testo, che èorientato verso una visione di giudizio di sal-vezza per i credenti nel Figlio, sembra influen-zato dal libro di Enoc dove si afferma che “inquel giorno i giusti e gli eletti sono salvati”.Sembrerebbe che Marco voglia fare del giudi-zio l’ultimo atto del progetto salvifico di Dio.

b. Il brano del tempo della fine e del para-gone del fico (vv. 28-32) costituisce la se-conda parte del testo evangelico proclamatodalla liturgia. Questa seconda parte della pe-ricope è letterariamente molto complessa. Ècomposta, infatti, di un paragone (fico e ac-

La parola di Dio celebrata

Page 76: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

76 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

cadimento di “queste cose”: vv. 28-29), daun detto apocalittico (v. 30), da un detto pro-fetico (v. 31) e da una risposta di tipo anti-apocalittico (v. 32). L’unione di queste for-mule era già stata fatta dalla tradizione, pri-ma che il materiale letterario diventasse parteintegrante del discorso apocalittico redattoda Marco.

Il paragone del fico (vv. 28-29) coinvolgegli ascoltatori obbligandoli ad attingere lacomprensione del paragone dalla propriaesperienza. La primavera in Palestina è mol-to breve. L’arrivo dell’estate, quindi, noncoincideva con i dati astronomici, ma venivacalcolata dalla gente e dai rabbini attraverso icambiamenti del fico. Si diceva che dalle pri-me foglie al fico tutto verde passavano 50giorni. Altrettanti passavano da questo mo-mento alla caduta delle gemme. Altri 50giorni erano necessari per avere i frutti matu-ri. Come, dunque, i segni di maturazione delfico annunciano l’imminenza dell’estate cosìquando accadranno “queste cose”, il Figliodell’uomo sta per venire. L’espressione“queste cose” sembrano indicare, dato il con-tenuto di tutto il discorso apocalittico, lacomparsa dell’anticristo. Di conseguenza lapresenza dell’anticristo annuncia la parusiadi Gesù che viene per il giudizio e per la sal-vezza dei cristiani.

Con il detto apocalittico del v. 30, intro-dotto solennemente dall’espressione “in ve-rità vi dico”, Gesù non intende stabilirequando avverrà la fine (al v. 32 si affermachiaramente che solo il Padre conosce il mo-mento della fine). Il detto, infatti, conservauna dicitura tipica del mondo profetico eapocalittico in cui la “prospettiva storica”(calcolo esatto del lasso di tempo tra la pro-nuncia della profezia e l’adempimento dellamedesima) veniva sostituita dalla “prospetti-va profetica” dove l’intervallo di tempo tra

l’annuncio della profezia e il suo adempi-mento non veniva evidenziato.

Il detto di Gesù conserva anche un mes-saggio di avvertimento. La totalità degli av-venimenti profetizzati dal Maestro ha un ini-zio e ha una fine. Inizia con la distruzione diGerusalemme, che in qualche modo contienein sé e riproduce, nel limite di un luogo geo-grafico e di un tempo breve, gli avvenimentiche capiteranno a livello cosmico alla finedel mondo (prospettiva apocalittica). La tota-lità si conclude con il ritorno del Figlio del-l’uomo. L’inizio di questa totalità, che inqualche modo anticipa tutta la totalità, non èmolto lontana.

Il detto del v. 31 ha una fisionomia profe-tica e sembra risalire in modo diretto - senzaelaborazioni - al Gesù storico. Esso intendein qualche modo sostituire la torah-sapienzacon le parole stesse di Gesù. Nella teologiagiudaica di lingua greca (cfr Bar 4,1; Sap 18,4) si era, infatti, profondamente con-vinti che la legge doveva “essere concessa almondo” e la legge-sapienza, che “è il librodei decreti di Dio”, doveva sussistere “neisecoli”. Queste parole di Gesù, che vanno ol-tre il cosmo e il tempo, non sono altro che leparole in base alle quali l’uomo verrà giudi-cato: “Chi si vergognerà di me e delle mieparole davanti a questa generazione adulterae peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si ver-gognerà di lui, quando verrà nella gloria delpadre suo con gli angeli santi” (Mc 8,38).

Sembra che Marco abbia voluto collocarequesto detto profetico tra il v. 30 (vicinanzacronologica dell’inizio della fine) e il v. 32(ignoranza che il Figlio ha circa il giorno el’ora) per dare autorità e certezza ad ambe-due. Se, infatti, da una parte c’è una preoccu-pazione di Gesù perché la comunità cristianasi tenga sempre pronta a questo incontro conil Figlio salvatore, dall’altra c’è la preoccu-

Page 77: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 77

pazione di non avvilire a meschina questionedi calendario l’incontro con colui che giudicae salva. La risposta di tipo apocalittico (v. 32) ha proprio questa funzione: non ri-spondere all’iniziale domanda dei discepoli(Mc 13,4: “Dicci, quando accadrà que-sto...”), ma affermare la signoria di Dio nellastoria dell’uomo, che sola stabilisce sovrana-mente i tempi della storia della salvezza.

4. La liturgia associa a Mc 13,24-32 ilbrano apocalittico, Dn 12,1-3. Questa brevepericope fa parte di un testo un po’ più am-pio, Dn 12,1-13. La liturgia ha preferito rita-gliare i vv. 1-3 perché il contesto successivoè troppo legato alla figura di Daniele e allasituazione storica vissuta dal redattore del li-bro veterotestamentario. Sono presenti glielementi dell’apocalittica classica: la figuradell’angelo Michele, protettore del popolo diDio, i tempi difficili e il libro. È anche pre-sente una novità assoluta per il pensieroebraico: la risurrezione individuale (molti“che dormono nella polvere della terra” si ri-sveglieranno). Tra le tematiche rilevanti, duemeritano la nostra attenzione: il libro e la ri-surrezione di molti.

Già in un testo arcaico veterotestamenta-rio si parla del “libro” (Es 32,32-33) dovenon sono scritti i peccatori. Al “libro” fa cen-no anche Isaia (Is 4,1), ma in forma positiva:quanti vi saranno iscritti, i santi, resterannoin vita e non moriranno per mano degli inva-sori. Il salmista (Sal 68,29), infine, riprendeil tema del libro di Dio per indicare il mede-simo concetto. Colui che vi è iscritto è giustoe vive. Chi non è iscritto è peccatore e muo-re.

Nel Nuovo Testamento Gesù allude al “li-bro”, senza nominarlo, quando ritornano isettantadue discepoli dalla missione di esor-cismo. Dice loro di rallegrarsi non perché i

demoni si sottomettono a loro, ma perché ilnome loro è scritto nei cieli (Lc 10,20). Infi-ne, in Ap 20,12 il tema del libro sembra ave-re il suo compimento: i morti verranno giudi-cati in base a ciò che è scritto sul libro dovesi trovano annotate le loro opere. Il libro,dunque, costituisce la testimonianza dellasantità del credente. Secondo il testo di Da-niele chi vi è iscritto è salvato. Nel libro,dunque, in qualche modo è segnata dalle suestesse opere buone la salvezza del credente.

Tale salvezza consiste nella risurrezione.In modo particolare verranno risorti i saggi(mashkilim), coloro cioè che si adoperanoper la conversione degli altri (masdiqe ha-rabbim = portare molti allo stato di giusti-zia). Per gli uni, dunque, la resurrezione è“vita eterna”, per gli altri - i non salvati - nonc’è “vita”, ma solo “infamia eterna” (che illibro di Henoc - cui si accoderà una certa li-nea teologico-popolare di dubbia serietà - siprenderà cura di descrivere come “grande tri-bolazione”, “oscurità”, “fuoco ardente”, con“grida, pianti e urla di dolore”). Merita atten-zione l’accostamento liturgico tra questo te-sto e il vangelo: i credenti in Cristo sono giu-dicati con un giudizio di salvezza (ciò sta aindicare che si sono adoperati per la conver-sione propria e altrui) che è preceduto dallarisurrezione ed è seguito dalla vita eterna. Sitratta della sintesi più semplice che la liturgiaoffre per donare al credente l’atteggiamentosereno e ampio della speranza.

5. Il Sal 15(16) è un salmo di fiducia.Viene pregato anche nella notte pasquale. Ipochi versetti che costituiscono il salmo re-sponsoriale, Sal 15,58;9-10;11, ritraduce inpreghiera diversi temi della lettura di Danie-le: la fede in Dio (v. 5), la fedeltà a Dio (v. 8), la risurrezione (v. 10). Alla serena esplendida speranza con cui le letture aprono

La parola di Dio celebrata

Page 78: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

78 Culmine e Fonte 5-2003

La parola di Dio celebrata

ai credenti le realtà escatologiche, il salmoaggiunge il tema della gioia: gioisce il miocuore, esulta la mia anima (v. 9), gioia pienanella tua presenza, dolcezza senza fine allatua destra (v. 11). L’incontro con il Figliodell’uomo che giudica è carico di salvezza edi gioia. Conseguentemente colui che è fede-le a Dio si prepara a tale incontro con la sere-na speranza (= certezza nell’attesa) di unagioia infinita. Il salmo, dunque, amplifica iltema della serenità, già presente nel vangelo.

6. La colletta generale (Sacr. Leonino n. 486), contiene sia nella petizione che nelfine della petizione il tema della gioia, sia es-sa vissuta nella dimensione storica (“Il tuoaiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuoservizio”), sia assaporata nella sua dimensio-ne escatologica (“perché solo nella dedizionea te, fonte di ogni bene, possiamo avere feli-cità piena e duratura”). Non si tratta di unagioia incosciente, ma consapevole del biso-gno dell’aiuto divino (“Il tuo aiuto, Signo-re,”) perché il credente mantenga la sua iden-tità integra e la consapevolezza ricca di spe-ranza secondo la quale solo Dio è “fonte diogni bene”.

La prima parte della colletta particolare èdominata dalle tematiche presenti nella pri-ma lettura: la cura divina per il suo popolo(ampliamento dell’invocazione: “O Dio, chevegli sulle sorti del tuo popolo,”) e la fedenella risurrezione (prima petizione: “accresciin noi la fede che quanti dormono nella pol-vere si risveglieranno”). La seconda parte,arricchita della domanda dello Spirito santo(“donaci il tuo Spirito”), protagonista dellastoria della salvezza dei credenti, sembra in-debolire la tensione dell’escatologia univer-sale presente nel vangelo. Il testo con l’e-spressione “ogni giorno” vuole infatti inglo-bare nel fine della petizione sia l’escatologia

personale, sia quella universale (“perchéoperosi nella carità attendiamo ogni giorno lamanifestazione gloriosa del tuo Figlio”).

7. La secondo lettura è costituita da Eb 10,11-14.18 che presenta il tema del sa-crificio di Cristo (vv. 11-18). I versetti man-canti, vv. 16-17, sono la citazione veterote-stamentaria adoperata dall’autore come pro-va scritturistica dell’argomentazione teologi-ca.

Nella lettura odierna il cuore dell’argo-mentazione si trova espresso in due versetti,il v. 14 e il v. 18. Con la sua “oblazione” Ge-sù Cristo ha “reso perfetti per sempre quelliche vengono santificati” (v. 14 ). Di conse-guenza, “dove c’è il perdono”, “non c’è piùbisogno di offerta per il peccato” (v. 18). Difronte a queste due affermazioni c’è solo dacapire che cosa s’intende per “oblazione” eche valore ha l’espressione “il perdono deipeccati” (si tratta di una piccola modifica“riassuntiva” del lezionario; nel testo greco enella traduzione della CEI si trova l’espres-sione “il perdono di queste cose”).

Per l’agiografo l’oblazione di Cristo, vi-sta la situazione in cui Cristo si trova dopo larisurrezione (“si è assiso alla destra del Pa-dre”), ha una validità completa e totale siacome oblazione redentiva (cfr. 9,12.26.28: lasalvezza e la cancellazione dei peccati sonototali), sia come realtà assoluta che soppiantale realtà relative, incapaci di ottenere il per-dono dei peccati (sacerdozio e culto veterote-stamentari).

Mentre il sacerdote ebreo “si presenta al-l’altare”, stando in piedi come lo schiavo,pronto a servire sempre perché “un” sacrifi-cio per i peccati non basta (poiché si peccacontinuamente, bisogna continuamente com-piere il sacrificio), Gesù, invece, è “assiso al-la destra del Padre” perché il suo sacrificio

Page 79: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 79

non ha bisogno di essere ripetuto. Peccato epeccatori (che tali vogliono restare) verrannoposti come “vinti” ai suoi piedi da Dio stes-so. Da qui è facile capire l’espressione “ilperdono dei peccati”. Si tratta del perdonoottenuto da Gesù: è assoluto e viene offerto atutti coloro che lo vogliono accogliere.

TU LO DICI, IO SONO RE

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Uni-verso 23 novembre

Dn 7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8; Gv 18,33-37

1. “Io sono re”: è l’affermazione fatta da Ge-sù davanti a Pilato. Il Vangelo (Gv 18,33-37)evidenzia la dimensione non “umana”, ma “se-condo lo Spirito” del regno di Gesù e identificaprimariamente Gesù-re come testimone-rivela-tore di Dio e delle cose di lassù. Agganciandosia questo aspetto (la dimensione “dall’alto”) iltesto della prima lettura, Dn 7,13-14, continualo svelamento dell’identità di Gesù come re:egli possiede un regno vittorioso e universale.Le caratteristiche della regalità di Gesù mostra-no come tale regalità sia aperta e accogliente,tanto da abbracciare anche coloro che lo trafis-sero (Ap 1,5-8).

La regalità di Gesù è stato un dono divinoall’umanità. Si tratta di un dono di perdono(a causa del suo sangue versato per l’uomo),di vita (a causa della sua risurrezione) e diadorazione al Padre (a causa del dono del sa-cerdozio fatto al suo popolo).

2. Il testo biblico-liturgico di Gv 18,33-37presenta due varianti rispetto al testo biblicooriginale: l’incipit variato e il taglio innatu-rale della pericope.

Mentre il testo originale recita “Pilato allorarientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e glidisse”, il lezionario sopprime i primi due ele-menti (“Pilato allora rientrò nel pretorio, fecechiamare Gesù e “) che nel progetto dell’evan-gelista intendevano evidenziare come Pilatofosse stato condizionato dal dialogo avuto con iGiudei che gli consegnavano Gesù (Gv 18,28-32). Ciò spiega, infatti, l’incredulaironia di Pilato racchiusa nel “tu” enfatico del-l’espressione “Tu sei re dei Giudei?” e l’ottu-sità con cui il procuratore romano pretende dinon saper niente circa Gesù all’infuori di quan-to gli è stato comunicato dai Giudei. La letturaliturgica inizia con una dicitura molto semplifi-cata: “In quel tempo, disse Pilato a Gesù: ...”.

Il taglio innaturale della pericope (18,32-37)è dato dal fatto che esegeticamente il branooriginale si dovrebbe chiudere in Gv 18,38a.

La parola di Dio celebrata

Cristo davanti a Pilato, Duccio,Siena, Museo dell’Opera del Duomo, sec XIII

Page 80: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

80 Culmine e Fonte 5-2003

Nella struttura narrativa giovannea del pro-cesso è scandita in sette scene.

Il testo di Gv 18,32-38a (dialogo tra Pila-to e Gesù sul tema della regalità) costituiscela seconda scena narrativa che ha come pen-dant il testo di Gv 19,9-11 (sesta scena: dia-logo tra Pilato e Gesù sul potere). La secon-da scena si chiude con una domanda di Pilato(“Che cos’è la verità?”). In questa domandaè racchiusa – secondo la logica giovannea –la tragedia di un uomo che non vuole aprirsialla verità. La grandezza e la tragedia rac-chiuse nel v.38a vengono soppresse. Il lezio-nario opera una scelta che preferisce chiude-re con il v. 37 dove si trova la luminosa auto-manifestazione di Gesù come re e profeta.

3. Il dialogo di Gv 18,33-37 si intrecciasu due tematiche: la ricerca di colpevolezzada parte di Pilato nei confronti di Gesù (vv. 33-35) e la discussione sul regno di Ge-sù (vv.36-37). Questa divisione tematica èsostenuta anche dalla dimensione letteraria.In ogni singola parte il dialogo è compostoda tre interventi. Nel primo caso l’interventodi Gesù si colloca tra due interventi del pro-curatore. Nel secondo caso l’intervento delprocuratore si colloca tra due interventi diGesù. Questi dati, ovviamente, sono validicon la scelta liturgica della pericope. Il testobiblico originale non avrebbe questa possibi-lità per la diversa fisionomia letteraria.

a) La ricerca di colpevolezza (vv. 33-35) fat-ta da Pilato dimostra fin da subito come il roma-no non sia molto convinto che Gesù meriti ilprocesso. Fra le tante accuse (ricostruire il tem-pio in tre giorni, dirsi figlio di Dio, dirsi messia,ecc.) mosse a Gesù da parte dei responsabiliebrei, una in particolare ha colpito Pilato per lavalenza non certamente religiosa, bensì politica(v. 33: “Tu sei il re dei Giudei?”). Nelle parole

di Pilato si può vedere la preoccupazione politi-ca. L’espressione “re dei Giudei”, infatti, non èun titolo cristologico cristiano, e non è neppureun titolo messianico ebraico: gli Ebrei parlanopiuttosto di “re d’Israele”, come in Mc 15,32 eMt 27,42. L’espressione “re dei Giudei” nondovrebbe essere nemmeno una creazione gio-vannea (nonostante il termine “Giudei”) perchéall’evangelista interessa in questo momentopresentare il tema di Gesù-re e del regno. Un ti-tolo come “re d’Israele” poteva essere altrettan-to funzionale al suo scopo. Dietro, perciò, aquesto titolo si trova l’attenzione per il ricordostorico del processo (cfr. la pluralità delle testi-monianze: Mc 15,3; Lc 23,2). Sembrerebbe checi sia anche la preoccupazione della Chiesa pri-mitiva. Essa, infatti, può presentarsi davanti al-l’impero non come un’antagonista, ma comeuna realtà diversa e soprattutto libera dagli inte-ressi di potere di questo mondo. La risposta diGesù, in perfetto stile rabbinico, è una contro-domanda: Pilato è per davvero preoccupato delpossibile potere politico di Gesù oppure è ilsemplice portavoce di altri? Sembra che l’evan-gelista voglia ben chiarire, attraverso la doman-da provocatoria di Gesù, chi per davvero stiaprocessando il Maestro: Roma o i Giudei perbocca di Roma? Dietro a questa domanda diGesù si può intravedere la preoccupazione dichiarire come la morte di Gesù sia attribuibile,prima che al potere imperiale, ad alcuni uominidel potere ebraico di allora (non a tutti; non -per esempio - a Giuseppe d’Arimatea, membrodel sinedrio).

La risposta di Pilato (v. 35) manifestaprobabilmente il diplomatico disimpegno chevuol far ricadere sui sommi sacerdoti e suirappresentanti del popolo la colpa di tutto ciòche sta accadendo. A conclusione del suo in-tervento, Pilato riprende il suo ruolo di giudi-ce. Tuttavia egli è convinto che in Gesù nonc’è colpa alcuna (cfr. Gv 19,4.6)

La parola di Dio celebrata

Page 81: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

Culmine e Fonte 5-2003 81

b) La discussione sul regno (vv.36-37) chene segue è uno dei brani più intensi del proces-so. Gesù, infatti, non risponde all’ultima do-manda di Pilato (“cosa hai fatto ?”), ma allaprima (“Tu sei il re dei Giudei?”), volendo af-frontare subito non la difesa del suo titolo re-gale, ma l’identità del suo “regno”. L’articola-zione dell’intervento di Gesù si muove in per-fetto stile giovanneo (si tratta, dunque, di unacostruzione letteraria dell’evangelista su un te-ma più volte affrontato da Gesù). La risposta èarticolata in cinque stichi (1: Il mio regno nonè di questo mondo; 2: se il mio regno fosse diquesto mondo; 3: i miei servitori avrebberocombattuto; 4: perché non fossi consegnato aiGiudei; 5: ma il mio regno non è di quaggiù).Tra il primo e il quinto l’evangelista ha postouna inclusione (il mio regno non di questomondo / il mio regno non è di quaggiù).

L’inclusione colloca il regno di Gesù den-tro la storia, ma non secondo i criteri della sto-ria. Il Regno è nella storia, ma secondo i criteridi “lassù” (cfr. Agostino “Non ait: Nunc autemregnum non est hic, sed: non est hinc” = Eglinon dice: - Il mio regno non è qui - , ma: - nonè di qui). Il regno di Gesù non condivide néorigine, né funzione con i regni di questo mon-do. La dimostrazione di questa “superiorità”del Regno sta nel fatto che Gesù non ha i suoisoldati contro i soldati che lo maltrattavano.Dietro all’intervento di Gesù l’evangelista ria-scolta le parole del Maestro nell’ultima cena:essere “nel” mondo senza essere “del” mondo.È una tematica passata nel cristianesimo na-scente. Ne è testimonianza la lettera a Diogne-to che esprime la consapevolezza di una iden-tità cristiana che non ha in questo mondo unacittadinanza permanente.

Pilato riprende ancora la domanda iniziale(v. 37), che fornisce la possibilità all’evangeli-sta di esprimere non più l’identità del “regno”,ma del “re”. La risposta di Gesù raggiunge

una sintesi teologica che difficilmente può es-sere attribuibile al dialogo giuridico avuto conPilato. Oltre che ad accennare alla sua preesi-stenza e alla sua incarnazione, Gesù chiarisceche il suo compito è di rendere testimonianzaalla “verità”. Per il quarto evangelista Gesù èil “testimone-rivelatore” di Dio e delle cose dilassù. Ne consegue che solo un rapporto di fe-de-fiducia in Gesù fa sì che la sua testimo-nianza possa essere accolta. “Essere dalla ve-rità” equivale a scegliere di legarsi totalmentea lui. Senza tale scelta non è possibile acco-gliere la sua testimonianza.

Gesù, dunque, è re per tutti coloro che lo ac-colgono come testimone-rivelatore di Dio e del-le cose di lassù. Gesù è re ora, al presente, equesta verità condiziona, a livello di fede, il cre-dente che agisce nel tessuto sociale e storico.

4. A Gv 18,33-37 viene associato come pri-ma lettura il brano apocalittico Dn 7,13-14. Iltesto di Daniele fa parte di una pericope moltopiù ampia (Dan 7, 9-14) dove si presenta in unavisione il vero regno celeste in contrapposizioneai regni terrestri che sono destinati a morire(Dan 7,1-8). La scelta liturgica è stata tematica-mente felice perché negli ultimi due versetti (vv. 13-14) vengono presentati il figlio dell’uo-mo e il suo regno. In netta contrapposizione coni regni umani rappresentati da bestie, il regno diDio è rappresentato dall’uomo, immagine diDio, destinato a dominare sulle bestie. È ovvioil messaggio. Lungo il tempo la figura del Fi-glio dell’uomo venne identificata con il popolodi Dio e successivamente (Henoc) con un indi-viduo. Il cristianesimo accoglie questi passaggie nel Figlio dell’uomo di Daniele identifica,spinto dall’uso che ne ha fatto Gesù, Gesù stes-so. Il testo di Daniele viene perciò presentatodalla liturgia con l’interpretazione cristiana: sitratta di Gesù uomo-Dio (appare “sulle nubi”come Dio) e del suo regno divino (‘potere e

La parola di Dio celebrata

Page 82: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

82 Culmine e Fonte 5-2003

gloria”), universale e salvifico. Il salmo respon-soriale (Sal 92,1ab; 1c-2; 5) diventa da salmooriginariamente regale una specie di confessio-ne di fede in cui l’assemblea riconosce in Cristoil “Signore che regna”. La sua regalità “rendesaldo il mondo” perché il mondo “è stato fattoper mezzo di lui e senza di lui niente è stato fat-to di tutto ciò che esiste” (cfr. Gv 1,3). Gli inse-gnamenti del Signore-re sono “spirito e vita”:cielo e terra passeranno, ma le sue parole rimar-ranno in eterno (cfr Mc 13,31).

5. Dal Sal 92(93), salmo che proclamaYhwh Re, vengono presi alcuni versetti, Sal92(93),1.2.5, per costruire il salmo responso-riale. Con parole cariche di quella forza tipi-ca della poesia ebraica, l’assemblea procla-ma la regalità di Dio, la saldezza del Regno ela santità. Da Yhwh Re promanano gli inse-gnamenti che, fatti propri dal credente, lorenderanno pienamente partecipe del Regno.

6. La seconda lettura, Ap 1,5-8, associa fe-licemente i temi della pericope di Daniele coni temi presenti nella lettura evangelica. Il testoappartiene al brano iniziale dell’Apocalisse. Iltaglio letterario scelto dal lezionario fa scom-parire dal testo il saluto trinitario (Ap 1,4-5) econ l’aggiunta del verbo essere (“è”) trasfor-ma il saluto in un’affermazione: “Gesù Cristoè il testimone fedele...”. In questo modo l’a-scoltatore è immediatamente posto di fronteallo stesso tema affrontato da Gesù nel dialo-go con Pilato. Il testo apocalittico cerca inqualche modo di “concretizzare” la testimo-nianza-rivelazione (cfr. il vangelo) di Gesùche non può identificarsi solo con ciò che ilMaestro ha detto, ma deve ampliarsi in ciòche ha vissuto: la sua morte (“ci ha liberati dainostri peccati con il suo sangue”), la sua risur-rezione (“primogenito dei morti”) e la forma-zione di un popolo sacerdotale. La sua testi-

monianza “verace” proseguirà fino alla finedella storia quando tornerà come giudice (cfr.la prima lettura) liberatore per i peccatori (“sibatteranno il petto per lui”) e di salvezza per icredenti che proclameranno la loro dossolo-gia: Sì. Amen. Dietro all’ampio orizzonte delRegno di Gesù si colloca il Padre - colui cheè, che era e che viene, l’Onnipotente - a cuiGesù consegnerà il Regno alla fine dei tempi(cfr. 1 Cor 15,24), quando anche la morte, ul-timo nemico, sarà totalmente annientata.

7. La colletta generale (cfr. M.R. n. 785)nell’ampliamento dell’invocazione descrivel’opera salvifica del Padre in Cristo, Re del-l’universo (“O Dio onnipotente ed eterno, chehai voluto rinnovare tutte le cose in Cristo tuoFiglio, Re dell’universo”). Chiede, poi, ilcompimento della fine del mondo e allude aun passaggio impercettibile dalla storia all’e-ternità, presentando un servizio e una lode delcredente che non si interrompono mai (“fa’che ogni creatura, libera dalla schiavitù delpeccato, ti serva e ti lodi senza fine”).

La colletta particolare associa il tema delsacerdozio regale (II lettura) con il tema delservizio. In un gioco letterario felice tra ampli-ficazione dell’invocazione e fine della petizio-ne possiamo trovare il dialogo fra i due temievidenziati: “O Dio, fonte di ogni paternità,che hai mandato il tuo Figlio per farci partecipidel suo sacerdozio regale, illumina il nostrospirito, perché comprendiamo che servire è re-gnare”. Nella seconda parte del testo l’eucolo-gia passa dalla dimensione teologica alla di-mensione testimoniale. La comunità, compo-sta da “coloro che sono dalla verità” confessa-no la loro fede nel mistero pasquale di Gesùattraverso la testimonianza del servizio: “e conla vita donata ai fratelli confessiamo la nostrafedeltà al Cristo primogenito dei morti e domi-natore di tutti i potenti della terra”.

La parola di Dio celebrata

Page 83: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 83

L’Eucaristia richiama il Vangelo, che richiama Gesù.Come il Vangelo non è soltanto un messaggio, così l’Eucaristia non è soltanto un“pezzo di pane”. L’Eucaristia è come il Vangelo: prima di essere un messaggio, o un pezzodi pane, è una Persona, la Persona di Gesù. L’Eucaristia, quindi, non è solo quello che Gesù ci vuoi dire o dare, ma so-prattutto manifesta che Egli è, uomo- Dio. Se il Vangelo è Gesù, l’Eucaristia è Gesù-Dio che ama totalmente l’uomo,che si è fatto uomo, che prende il suo corpo, il suo linguaggio, la sua quo-tidianità. Gesù si fa Eucaristia perché vuoi entrare nei bisogni dell’uomo. Il pane e ilvino sono alimenti di cui ognuno conosce la fondamentale importanza:attorno al pane si fa’ amicizia, si forma la famiglia, si fa’ condivisione, sifa’ unità. L’Eucaristia è, dunque, il culmine della Parola scritta, è la rivelazione diquell’amore che si fa mangiare.

Se mangiare significa vivere, vuoi dire che non si può vivere senza mangiare, ese ciò che mangio è dono d’amore, allora il mangiare non solo significa vivere,ma è vivere la persona amata, cioè diventare colui che si ama, fare uno con lui. Come non è stato possibile per Dio amare l’uomo se non diventando Lui stesso uo-mo, così l’uomo non può pretendere di amare Dio, se non diventando “come Lui”. Non si può adorare Dio se non entrando nel mistero della sua divinità e nel segnodella sua umanità “trasformata”: prese del pane e disse: questo è il mio corpo. Poiprese del vino e disse; questo è il mio sangue. Tutto questo segna l’alleanza fra Dioe l’ultimo degli uomini che si allontanerà a causa del peccato.

In queste parole c’è tutto Dio, c’è tutta la rivelazione, c’è tutto quello che Diopuò fare per rendere all’umanità non solo la sua la libertà, compromessa dal pecca-to, ma anche la sua bellezza. Come il Vangelo è veramente Vangelo, soltanto se losi assume nella sua integrità, così è dell’Eucaristia. L’Eucaristia diventa la risposta di Dio all’uomo di tutti i tempi e questo avviene at-traverso il Cristo. Il Vangelo, nell’Eucaristia, risponde alla domanda dell’uomo: chi è Dio? Gesù ne dàla risposta. Quando Gesù chiede agli apostoli: “Voi chi dite che io sia ?” Pietro, forse a nome di tutti, risponde: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt16,15-16).

Riflessioni davanti all’Eucaristia(Con il Vangelo in mano)

di don Luigi Oropallo

Preghiamo

Page 84: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

84 Culmine e Fonte 5-2003

Pietro afferma che Gesù è davvero colui che dice chi sia Dio, colui al quale si puòdare pienamente fiducia.

Adorare è lasciarsi interrogare da questo avvenimento e dare la nostra persona-le risposta. È necessario che sia veramente la mia parola che esprima la radice del mio essere. Occorre vincere l’espressione impersonale “si dice”, per arrivare a poter dire “io cre-do”. Ogni adorazione mi spinge ad essere me stesso, perché Dio lo si vive come esperien-za dell’attimo presente. Solo l’attimo può esprimere l’eternità, solo nell’attimo tu avverti l’infinito della Sua

presenza. Già gli istanti della mia vita racchiudono l’eternità: in quello che sembragià passato io costruisco ciò che sarà eterno.

In ogni incontro con l’Eucaristia, Gesù mi rivela il Padre. Il Figlio, chene è la Sua immagine, esprime Dio in gesti umani, in parole umane, in at-teggiamenti umani. La rivelazione più straordinaria di Dio, Gesù la dona all’uomo in un segnodi povertà e di sconfitta. Nel Vangelo vengono riportati fatti che siamo soliti chiamare miracoli, ma

Dio non si è mai legato ad essi, perché l’uomo arrivasse a credere.

L’Eucaristia è il miracolo più grande, ma è anche vero che racchiude la povertàdel segno che la rappresenta, quello del pane, che deve essere mangiato, consuma-to, masticato, che finisce in una forma di boccone. Questo “segno, grande e piccolo allo stesso tempo”, manifesta l’umiltà di Dio, rac-chiude l’assenza totale di ogni potenza e, al tempo stesso, esprime tutta la sua quo-tidianità.

Il Vangelo presenta l’inizio della vita pubblica di Gesù con l’assenza del miracolonel deserto, quando il demonio gli propone una delle cose più legittime per unoche ha fame: trasformare le pietre in un gustoso pezzo di pane. Il Signore risponde“non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt4,4) e la sua vita terrena termina sul calvario senza scendere dalla croce nel silenzioassoluto del Padre. Tra i due “non miracoli” avviene l’Eucaristia che tutto ricapitola. “Il pane che non si può ottenere dalle pietre”, “il pane che nasce nel cuore di un’a-micizia anche se poi verrà tradita”, “il pane che non fa spettacolo per essere credu-to”, “il pane che tutti conoscono così bene che non sanno più dire grazie quando loricevono”, è il vero miracolo: allora è il “non miracolo”. È questa l’umiltà che Dio ci chiede per accogliere il dono che ci fa di se stesso. Signore, non sono degno... non è questione di virtù e meriti, ma di umiltà interiore. Sì, Dio non può donare che se stesso. Egli è tutto, e colui che è tutto e non ha nulla.Egli non è altro che amore.

Preghiamo

Page 85: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 85

Infatti Egli dona se stesso, in Gesù, per restituire all’umanità la sua vera pienezzadivino-umana. Ciò è opera dello Spirito Santo che ha dato a noi il“potere di diventare figli di Dio”(Gv 1,12). Dio non vuole altro che gli assomigliamo: Siate imitatori di Dio!

Adorare è orientarsi verso questa verità: diventare liberi di amare Dio, come Dioama, di essere divini, come Egli è. È questo che Gesù richiede nell’ultima cena: “Come io vi ho amato, così amatevi an-che voi gli uni gli altri ” (Gv 13,34). Sì, Gesù ci dice che Dio è amore e comunione, eche la nostra vocazione è proprio quella di amare come Lui. Solo così siamo cristia-ni. L’amore non è un sentimento, ma volontà e azione. Volontà di donarsie atto di donare se stessi. È impossibile amare senza amare Dio, è impossi-bile amare in verità, in volontà e in atto, quando non si ama Dio.

L’amore di Dio è reale non di parole e sentimenti. La tentazione del tempo presente è pretendere di amare gli uomini, sen-za amare Dio. Padre de Lubac, un giorno ha detto: Senza l’amore di Dio, l’amore degli uo-mini rischia fortemente di essere soltanto una estensione dell’amore di sé.Non riusciamo ad amare con purezza gli altri, se ogni giorno non moriamo alnostro egoismo. Questa è la grande speranza che abbiamo. Sfogliando il Vangelo, vieneda porsi una domanda: come è possibile amare? Se adorare non vuol dire guardare, maimitare, come possiamo imitare questo amore donato da Gesù-Eucaristia? Che cosadobbiamo ricercare da questa adorazione, da questo incontro con Dio? La risposta è fa-cile. La felicità. E qual è la felicità? Il cristianesimo risponde con chiarezza: essere felicedella beatitudine stessa di Dio che consiste nell’amare e non nell’essere sazio. Tutte lepagine del Vangelo sono pervase da questo unico desiderio di Gesù: Siate nella gioia,siate beati. Sì, adorare è provare la gioia del cuore libero.

Per questo si impone la mia fede. Vivere il Vangelo è vivere di fede, è vivere la gioia. Gesù, quando incontra la gente, chiede sempre la fede. Stare davanti a Lui è imposto dalla fede. Egli non dice mai: Io ti ho salvato; ma La tua fede ti ha salvato. Così si rivolge nonsolo ai credenti, ma anche ai pagani. Oggi lo dice anche a noi, come lo ha detto al centurione, alla cananea, all’emorois-sa, al cieco nato. Siamo salvati nella fede e per mezzo della fede in Gesù Cristo.Davvero, quanto è grande il rispetto che Dio ha nei nostri confronti! Amen.

Preghiamo

Testo tratto dal libro “Vogliamo vedere Gesù” di Luigi Oropallo, Edizioni AdP

Page 86: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

86 Culmine e Fonte 5-2003

più recondite impurità vocali. Se 40persone le sanno cantare in perfet-ta intonazione unisonica, possonotranquillamente affrontare ognisorta di polifonia.

- Dopo la cura dell’unisono, passareallo studio dell’accordalità, pren-dendo un facile corale, dalle armo-nie essenziali a dai valori lunghi.Mettendo insieme le varie sezionibalzeranno agli orecchi le varie ar-monie: il maestro le ascolti e lecontrolli, ma soprattutto le ascolti-no i coristi e non si ritengano sod-disfatti finché non avranno la sen-sazione della pienezza, della perfe-zione, con il conseguente godi-mento di essa. In altre parole i cori-sti devono essere introdotti nell’ar-monia “de auditu”, e devono ad-destrarsi ad “edificarla” con parte-cipazione, con la giusta e adeguataintonazione, l’armonia perfetta è ilrisultato e nello stesso tempo ilmezzo per controllare la giusta in-tonazione tra le parti del coro.

Cause che possono comprometterel’intonazione interna del coro:

- La diseducazione vocale in primoluogo, il non saper respirare e ilnon atteggiare la voce secondo lenorme date; ma anche il non con-trollo critico del proprio suono, illasciarsi andare come chi canta per

Seguiamo la lectio donelliana, sul-l’intonazione, fusione ed equilibriodelle voci.

Elenchiamo un certo numero dimezzi che dovrebbero assi-curare l’intonazione internadel coro:

- I coristi, tutti indistinta-mente, devono sforzarsi diattuare le norme della buo-na respirazione e della cor-retta impostazione della vo-

ce. Di più, è bene che si abituino a“farsi” il suono, a sentirselo den-tro, a controllarlo con senso critico,a costruirlo volta per volta con lamassima cura, senza mai lasciarsiandare neppure quando conosco-no la parte a memoria.

- Si facciano degli esercizi su melodiesemplicissime, da eseguire all’uniso-no dapprima con le sezioni “aequa-les” (Tenori-Bassi, oppure Soprani-Contralti) poi con sezioni “inaequa-les” (Tenori-Soprani, oppure Bassi-Contralti), infine con tutto il coro. Enon si desista finché da parte di tut-ti non si avverta il più puro uniso-no, senza battimenti, e la più “giu-sta” ottava (trattandosi di voci mi-ste). Ottime e di efficacia sicura so-no certe melodie gregoriane, disar-manti per la loro semplicità e perciòcapaci di mettere a nudo anche le

Intonazione, fusione ed equilibrio delle voci di don Daniele Albanese

Pregarcantando

Page 87: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 87

le strade (…). È sempre il coristacon la sua ininterrotta attenzione epresenza, a dover fornire responsa-bilmente un suono accettabile.

- La stanchezza fisica dei coristi, lostato psicologico di apprensione odi insicurezza. Sono due cause bendiverse, ma con l’identico effetto disbilanciare il coro. Analogamentela fiacchezza o la non convinzionedel maestro, l’atteggiamento diquest’ultimo, qualunque possa es-sere, si trasmette immancabilmen-te, per “simpatia”, al coro; quindianche l’esuberanza, magari con ilrisultato di far crescere quelli che silasciano prendere dalla foga esage-rata. Responsabile del dissesto to-nale può essere talvolta anche lalentezza dell’esecuzione.

- La cattiva acustica dell’ambiente, iltroppo riverbero, quindi il sovrap-porsi caotico di suoni; oppure l’ec-cessiva secchezza che impedisce aicantori di sentirsi reciprocamente,costretti pertanto a procedere cia-scuno per proprio conto.

- Influssi atmosferici vari, in partico-lare l’umidità dell’ambiente; sonoinflussi difficilmente spiegabili eancor più difficilmente neutralizza-bili. In certe giornate “nere” nonc’è nulla da fare: bisogna mollare easpettare il giorno dopo.

- Il cromatismo, gli intervalli difficili,gli scontri armonici e le dissonanzedovute a linee melodiche partico-larmente “non cantabili”. E a que-sto proposito non sottovalutare la

subdola insidia (dal punto di vistadell’intonazione) che possono rap-presentare intervalli apparente-mente innocenti come la sestamaggiore e la quarta eccedente(tritono, diabolus) che gli antichimaestri proibivano; c’è la ragione:la sesta maggiore per esempio ten-de ad essere intonata calante.Qualcosa di analogo può avvenireper la terza maggiore.

Assicurata la pulizia inter-na del coro, si ha la condizio-ne per una buona tenuta an-che “esterna”. Se il coro cala(più frequentemente) o crescevuol dire che qualcuna delleprecauzioni sopra elencatenon è stata presa o che ha in-terferito qualcuna delle cause denuncia-te. Le ragioni sono sempre le medesime.

Comunque il difetto (o il fenomenoperché a volte succede inspiegabil-mente) per cui un coro nel suo insiemecala o cresce di intonazione va consi-derato senza drammatizzare, la cosapuò avvenire insensibilmente, senzache venga compromessa l’armoniositàdel tutto; solo che al termine del pez-zo ci si ritrova mezzo tono sotto o so-pra, nessuno se ne accorge, perfino l’e-sperto per un controllo è costretto a ri-correre al diapason. Dicevamo, non è ilcaso di preoccuparsene più di tanto, sidirebbe che è quasi naturale, almenoin certe occasioni e condizioni. Non losarebbe più se il salto toccasse un tonoo due toni: si entra nel patologico e al-lora se ne accorgono perfino i sordi, inquanto in simili casi anche all’internodel coro le cose cominciano a non fun-

Pregarcantando

Page 88: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

88 Culmine e Fonte 5-2003

zionare più. Ancora più tragico se siperdesse l’intonazione calando o cre-scendo nonostante l’accompagnamen-to di uno strumento; il suono fisso del-lo strumento - come quello del pia-noforte o dell’organo - non sopporte-rebbe la pur minima sbavatura tonalenel coro e la metterebbe inevitabil-mente a nudo.

Il raggiungimento dell’intonazione(in tutti i suoi aspetti) è untraguardo indubbiamenteragguardevole, prioritario equalificante nello stesso tem-po per un coro (…); ma è unrimanere ancora su un pianofisico; al piano più propria-mente musicale, espressivo e

artistico, si perviene con la perfetta emorbida fusione delle voci e con unduttile equilibrio di tutte le parti. Dut-tile nel senso che il direttore deve po-ter “squilibrare” a piacimento (per ra-gioni espressive naturalmente) i varipesi contrapposti del coro.

Fusione delle singole sezioni anzitut-to: che i bassi ad esempio si esprimanocome un solo strumento, senza che alcu-na voce “fori”, né per il timbro, né perforza. Così i Tenori, così i Soprani, ecc.

Fusione delle varie sezioni e studiodei loro possibili e reciproci equilibri:bassi con tenori, soprani con bassi, …e via dicendo, fino ad impiegare tuttee quattro le sezioni dell’organico vo-cale ideale. Si prenda un accordo diquattro suoni e lo si faccia cantare(con una vocale). Bisogna che si perce-pisca un’unica realtà sonora; se unavoce (…) risultasse in evidenza o alcontrario risuonasse debole da provo-care un vuoto, non ci sarebbe fusionené equilibrio.

Esercizi per mettere in evidenzauna parte, partendo dal medesimo ac-cordo a quattro parti provare ad evi-denziare (intensificando il suono) que-sta o quella parte (ad es. il contralto oil tenore) al cenno del direttore.

Duttilità e prontezza, dunque, a“giocare” nell’insieme. Le voci sonocome i registri dell’organo, con la dif-ferenza che nel coro non è solo il di-rettore a comandarle ma esse stesse, isingoli coristi, che con personalità epartecipazione interloquiscono fon-dendosi in unità e differenziando ilcontributo a seconda delle esigenzeartistiche.

Pregarcantando

Coro di Angeli musicanti (part.), S. Giovanni Valdarno (FI),

Museo della Basilica, sec. XV

Page 89: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 89

A ll’inizio di ottobre, mese mis-sionario e dedicato alla Vergi-ne del rosario, troviamo nel

calendario liturgico la figura di santaTeresa di Gesù Bambino (1873-1897),detta comunemente “Teresina”. Il di-minutivo del nome si direbbe a lei at-tribuito per la “piccolezza” che carat-terizza il corso della sua vita più che auna riduzione della sua figura moralee della sua dottrina. Anche l’uso fre-quente di un vocabolario preferenzia-le per il diminutivo ben si adatta almessaggio di Teresa, purché si com-prenda il senso accrescitivo della dimi-nuzione1; come ci spiega il branoevangelico proposto per la messa del-la memoria (Mt 18,1-4).

Santa Teresa, infatti, entra a soli 15anni nel Carmelo di Lisieux (9 aprile1888), ove riceve l’abito dell’Ordinedella Vergine il 10 gennaio dell’annoseguente ed emette la sua professio-ne religiosa l’8 settembre del 1890. In-traprende un rapido cammino sulleorme tracciate dalla Madre Fondatri-ce, santa Teresa di Gesù, e nel solcodella spiritualità di san Giovanni dellaCroce, offrendosi vittima di olocaustoall’Amore misericordioso di Dio nellafesta della Santissima Trinità dell’anno1895. Nell’anno successivo iniziano leprime manifestazioni della malattiache la condurrà alla morte il 30 set-tembre 1897, a soli 24 anni di età.

Dietro la sua giovane età si nascon-de una maturità di fede testimoniatanella notte oscura dell’anima. La suadottrina spirituale, indicata nei suoi

scritti e sintetizzata nella “piccolavia”, va intesa nel senso evangelicodel termine per non correre il rischiodi rendere “leggera”, ossia meno im-pegnativa, la sequela esigente delMaestro che per amore si èincarnato (di Gesù Bambino)e che per la nostra salvezzaè stato crocifisso (del VoltoSanto).

La spiritualità di santa Te-resa sembra ben focalizzatanella lettura dell’Ufficio pro-posta dalla sapienza della li-turgia per la celebrazionedella sua memoria. La sintesi mirabile

Santa Teresa di Gesù Bambinoe del Volto Santo delle Clarisse Cappuccine

di Mercatello sul Metauro (PU)

I nostriamici

Page 90: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

90 Culmine e Fonte 5-2003

di una pagina autobiografica dellasanta, infatti, ci apre alla contempla-zione del percorso spirituale della gio-vane carmelitana. Proviamo a legger-ne alcuni passi:

“Siccome le mie immense aspira-zioni erano per me un martirio, mi ri-volsi alle lettere di san Paolo, trovan-dovi finalmente una risposta”.

Fin da queste prime parole possia-mo cogliere molti elementi caratteri-

stici. In primo luogo il desi-derio profondo che alberganel cuore di ogni uomo eche non si sazia fino a quan-do giunge alla pienezza del-la sua vocazione - la comu-nione con Dio - e che santaTeresa sa ascoltare e vuoleassecondare. Un invito ancheper noi, spesso propensi ad

accontentarci delle immediate soddi-sfazioni nei piaceri effimeri e nelle co-mode compensazioni, ad ascoltare lanostra innata esigenza di felicità sen-za arrenderci alle prime difficoltà.Inoltre, in un’epoca in cui la Bibbianon era di facile accesso, vediamo lafamiliarità della santa con la SacraScrittura, e in particolare il suo amoreagli scritti paolini, bramando diventa-re un apostolo del Vangelo come lui.Teresa desiderava ardentemente di es-sere missionaria e lo è stata al puntoda venir proclamata, insieme a sanFrancesco Saverio, Patrona delle Mis-sioni da papa Pio XI, nel 1927, pur nonavendo mai abbandonato la clausuradel Carmelo di Lisieux. Tale patrociniocosì veniva spiegato Giovanni Paolo II:“Si potrebbe dire che Teresa ha fattosua la singolare proiezione missiona-ria di Maria Santissima, la qualeanimò con la sua presenza orante e lasua perfetta carità la prima comunità

apostolica, affinché il dinamismo su-scitato dallo Spirito Santo nella Pente-coste spingesse l’annuncio del Vange-lo fino agli estremi confini dellaterra”2.

Tutti gli scritti della santa sono per-vasi di Sacra Scrittura e lei stessa rac-conta che, a un certo punto della suavita, trovava nella parola di Dio l’uni-co nutrimento spirituale. L’esempio diTeresa diventa anche per noi stimoload accostarci con pazienza e amore al-la parola di Dio, in particolare al Van-gelo, lasciandoci pervadere dallo Spiri-to che l’ha ispirata, così sapremo affi-nare il nostro orecchio e il nostro cuo-re per coglierne la genuina freschezzacome fece lei. Santa Teresa non di-sprezza lo studio esegetico, anche se aquel tempo non poteva ricorrervi, eavrebbe volentieri impiegato le sueenergie intellettuali nello studio dellelingue originali pur di cogliere più inprofondità il messaggio evangelico fi-no a desiderare di parlare la stessa lin-gua di Gesù. Per tale motivo il SantoPadre nella lettera di proclamazionedi santa Teresa Dottore della Chiesa,nel centenario della sua morte, cosìesordiva: “La scienza dell’amore divi-no, che il Padre effonde mediante Ge-sù Cristo nello Spirito Santo, è un do-no, concesso ai piccoli e agli umili,perché conoscano e proclamino i se-greti del Regno, nascosti ai dotti e aisapienti” e in un altro passo rilevava:“Teresa è una donna che, nell’acco-starsi al Vangelo, ha saputo coglierericchezze nascoste con quella concre-tezza e profonda risonanza vitale esapienziale che è propria del geniofemminile. Ella emerge per la sua uni-versalità nella schiera delle donne san-te che risplendono per la sapienza delVangelo”3.

I nostriamici

Page 91: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 91

Dopo la lettura dei capitoli 12 e 13della prima lettera ai Corinzi, Teresacontinua: “…Una risposta certo chia-ra, ma non tale da appagare i miei de-sideri e di darmi pace. Continuai nellalettura e non mi perdetti d’animo”.

Con queste parole Teresa testimo-nia la sua capacità di lettura dellaScrittura quale strumento vitale per ri-spondere al progetto di Dio, con unadocilità allo Spirito che non si arrendequando l’obiettivo non è raggiuntoimmediatamente. La perseveranzanella lettura è indice di un tempera-mento audace e nello stesso tempo fi-ducioso nella potenza di Dio, la qualetutto opera con la sua Parola peramore dei suoi figli. La forza per nonscoraggiarsi mai Teresa l’attingevadalla lotta per conservarsi nell’infan-zia dello spirito in ogni occasione, co-me testimoniano le parole raccoltedalle sorelle negli ultimi mesi dellasua vita: “Essere piccoli vuol dire an-che non attribuire affatto a noi stessile virtù che pratichiamo, non credercicapaci di nulla, ma riconoscere cheDio misericordioso pone il tesoro dellavirtù in mano al suo bimbo, perchéquesti se ne serva quando ne ha biso-gno; ma il tesoro è sempre di Dio. Infi-ne, è non perdersi d’animo per le pro-prie mancanze, perché i bimbi cadonospesso, ma sono troppo piccini per far-si un male grosso”4.

In un’altra occasione palesa la fi-nezza del suo animo, che non si lasciaimpigliare nelle trappole dell’orgo-glio: “Lei non fa come me. Quando hocommesso una mancanza che mi rat-trista, so bene che quella tristezza è laconseguenza della mia infedeltà. Macrede lei che io mi fermi lì? Oh no,non sono così sciocca! Mi affretto a di-re al buon Dio: Dio mio, so che questa

tristezza me la sono meritata: ma per-mettetemi di offrirvela ugualmente,come una prova che voi mi mandateper amore. Deploro il mio peccato, masono contenta di avere questa soffe-renza da offrirvi”5.

In effetti, la grande fiducia in Diofaceva di Teresa una lottatrice infati-cabile per non arrendersi di fronte al-le difficoltà e, ricorrendo all’esempiodei santi, così si esprime: “Come Mad-dalena chinandosi sempresulla tomba vuota finì pertrovare ciò che cercava, così,abbassandomi fino alleprofondità del mio nulla,m’innalzai tanto in alto, cheriuscii a raggiungere il mioscopo”6.

“Trovai così una frase chemi diede sollievo: Aspirate aicarismi più grandi. E io vi mostreròuna via migliore di tutte… la carità èla via più perfetta che conduce con si-curezza a Dio. Avevo trovato final-mente la pace”.

Quante volte il nostro cuore in-quieto cerca riposo e non ne trova!Santa Teresa ci assicura che anche chicammina nella luce della fede conosceil travaglio della ricerca della meta,delle vie per arrivarvi. La ricerca dellecose sublimi può portare l’uomo a in-nalzarsi fino a sostituirsi a Dio; Teresa,invece, si lascia illuminare dalla Veritàdella Parola e istruire dall’esempio deisanti. La familiarità con i santi è unacomponente poco evidenziata dellasua spiritualità, mentre ne costituisceuno degli elementi fondanti. Lei stes-sa testimonia quanta fede aveva nellacomunione dei santi nelle parole rac-colte dalle sorelle in punto di morte.La sua confidenza nell’aiuto dei santiera tale da farvi ricorso molto spesso

I nostriamici

Page 92: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

92 Culmine e Fonte 5-2003

nella vita: sia scegliendo come guidaparticolare i fondatori del suo ordine,sia lasciandosi istruire dal loro esem-pio per essere interamente di Dio. Ilsuo amore per l’eroina della Francia(santa Giovanna d’Arco) ne è l’espres-sione. La stessa forza che lei attinsedalla comunione dei santi per vivere ilpellegrinaggio terreno le darà l’ardiredi pronunciare queste parole: “Se Diomisericordioso esaudisce i miei deside-

ri, il mio paradiso trascorreràsulla terra fino alla fine delmondo. Sì, voglio passare ilmio Cielo a fare del benesulla terra. Ciò non è impos-sibile; fino nel seno stessodella visione beatifica gli An-geli vegliano su di noi. Nonpotrò godere il mio riposofinché ci saranno anime da

salvare, ma quando l’Angelo avrà det-to: il tempo non è più!, Allora mi ripo-serò, potrò gioire, perché il numerodegli eletti sarà completo, e tutti sa-ranno entrati nella gioia e nel riposo.Il mio cuore trasale a questo pensie-ro…”7.

La testimonianza dei santi diventaper Teresa un trampolino per rilan-ciarla nell’amore di Dio. Lei stessa di-verrà questo trampolino per altri uo-mini decisi a seguire l’avventura mera-vigliosa del Vangelo. In questi ultimitempi ricordiamo, ad esempio, MadreTeresa di Calcutta che, rifacendosi al-l’espressione di santa Teresa (la qualeamava dipingere) che si definiva“pennello nelle mani di Dio”, scelse(avendo studiato da maestra) di essereuna “piccola matita nelle mani diDio”, lasciando che il Signore scrivesseuna nuova storia d’Amore per la bel-lezza della Chiesa di oggi.

“La carità mi offrì il cardine della

mia vocazione… solo l’amore spingeall’azione…compresi che l’amore ab-braccia tutte le vocazioni…”

Nel periodo storico in cui visse Te-resa si era molto diffusa la spiritualitàche valorizzava le piccole cose e le suesorelle fin dall’infanzia istruirono lasanta a compiere piccoli sacrifici perGesù. Lei stessa racconta di vari impe-gni assunti in preparazione alla primacomunione e tutti gli atti d’amore chefaceva per disporsi degnamente a ri-cevere l’Eucaristia. Troviamo similiesempi in molti scritti dei suoi con-temporanei, tuttavia Teresa riesce acogliere in profondità il valore dellapiccolezza evangelica e con semplicitàcosì si confidava alla sorella Celina nel1893: “In realtà, i direttori di spiritoportano avanti nella perfezione fa-cendo fare un gran numero di atti divirtù, e hanno ragione; ma il mio di-rettore, che è Gesù, non m’insegna acontare gli atti, m’insegna a fare tuttoper amore, a non rifiutargli nulla, adessere contenta quando mi da un’oc-casione di dimostrargli che lo amo, matutto questo nella pace, nell’abbando-no. È Gesù che fa tutto, io non faccioniente”8.

Teresa aveva ben compreso che so-lo per abituarsi a compiere degli atti ènecessario un esercizio di conteggioper stimolare e ricordare l’impegno,ma poi non si ferma a compiacersi diciò che fa o a valutare il suo operato esi lascia attirare dall’amato al di sopradi se stessa. La carità era per lei unmotore tanto potente da spingerla aogni cosa per amore di Dio e del pros-simo facendosi, come san Paolo, tuttaa tutti. In un’altra occasione, infatti,racconta alla sorella Celina come siatornata agli esercizi iniziali per aiutareuna novizia nel cammino: “…Sono

I nostriamici

Page 93: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 93

perfino costretta ad avere una coron-cina per i sacrifici. L’ho fatta per caritàad una delle mie compagne… Sonopresa dentro certe reti che non mivanno molto a genio, ma che mi sonoutilissime nella condizione d’anima incui mi trovo”9.

Le parole di san Paolo ai Corinzierano così per Teresa già presenti nelsuo vissuto quotidiano, ma, sotto l’im-pulso dello Spirito, acquistano nuovaluce dando pieno significato a tutta lasua vocazione.

“Allora con somma gioia ed estasidell’animo gridai: O Gesù mio amore,ho trovato finalmente la mia vocazio-ne. La mia vocazione è l’amore”.

Santa Teresa ha trovato la sua vo-cazione personale all’interno dellachiamata alla vita contemplativa: que-sto diventa per lei motivo di gaudio.Non modera i termini per esprimersi emanifestare tutta la sua compiacenzaper il dono ricevuto, ma il timore diappropriarsi di quanto Dio opera inlei, la porta subito dopo a precisare:“No, questa espressione non è giusta,è piuttosto la pace, la serenità del na-vigatore il quale scorge il faro del suoporto. Oh, faro luminoso dell’amore,so come arrivare a te…”10.

Il suo cammino di fede ci mostradove conduce la ricerca della verità: lapace del cuore nel suo duplice aspettodi essere appagato nel Bene e di po-terne godere perfettamente. Teresa,infatti, ormai da qualche tempo nonera più distolta da Dio, ma, solo tro-vando l’oggetto unificante la vocazio-ne - l’amore -, poté appagare il desi-derio profondo del suo cuore.

Le capacità intellettive e i doni diTeresa erano davvero grandi e lei losapeva bene, perciò, temendo di gua-stare l’opera divina, cercava di mante-

nersi nella verità del suo essere crea-tura impotente senza l’aiuto di Dio.Per natura sarebbe stata portata a farnotare i propri talenti e, sebbene inmodo molto raffinato, ad inorgoglirsi.Invece lei fino alla fine si ritenne pic-cola e strumento nelle mani di Dio ab-bandonandosi con fiducia a Lui: “Ilmerito non consiste nel fare o nel da-re molto, ma piuttosto nel ricevere,nell’amare molto… La perfezione con-siste nel fare la sua volontà,e l’anima che s’abbandonainteramente a lui è chiamatada Gesù stesso sua madre,sua sorella, e tutta la sua fa-miglia”11.

Teresa riesce così a impe-dire che l’orgoglio “faccianaufragare la nave già inporto”, come dicevano i Pa-dri della Chiesa.

“Sì ho trovato il mio posto nellaChiesa, e questo posto me lo hai datotu, o mio Dio.

Nel cuore della Chiesa, mia madre,io sarò l’amore ed in tal modo saròtutto e il mio desiderio si tradurrà inrealtà”.

La vocazione per Teresa non èqualcosa di astratto, ma un progettodella mente di Dio che si colloca neldisegno universale di salvezza. Solouna coscienza veramente purificata èin grado di guardare dentro di sé e dileggervi il progetto di Dio su di lei. Te-resa non ha cercato in altre persone larivelazione della sua vocazione, e nep-pure ha deciso autonomamente cosafare, ma si è lasciata guidare dalla lu-ce dello Spirito Santo che, in un cuorepurificato, ha fatto risplendere la Ve-rità della parola di Dio.

Come la fondatrice del suo Ordine,Teresa d’Avila, anche lei si riconosce

I nostriamici

Page 94: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

94 Culmine e Fonte 5-2003

figlia della Chiesa e, in seno a essa,cooperante al Divino progetto. La piùbella manifestazione dell’amore è didare la vita per l’Amato, così Teresaha trovato il modo di vivere ricono-scendosi nel cuore di un corpo - laChiesa -, come l’amore che dona ener-gia per il suo sostentamento.

L’amore non conosce confini ed èper questo che, al termine della vita,Teresa vuole continuare in cielo ad

amare e a comunicare aglialtri il segreto che ha datosenso e pienezza alla sua esi-stenza: “...sento che la miamissione sta per cominciare:la mia missione di fare ama-re Dio come io l’amo, e darealle anime la mia piccola via(...) è la via dell’infanzia spi-rituale, è il cammino della fi-

ducia e dell’abbandono totale”12 .

Santa Teresa, nella via della santitàraggiunta a soli 24 anni, rivela unaspiritualità tale da affiancarsi ai gran-di dottori e mistici della Chiesa; ciòpotrebbe lasciare adito al pensiero diuna speciale grazia celeste che abbiarapidamente innalzato questa creatu-ra. Senza togliere nulla alla sovrana li-beralità di Dio, un tale pensiero nonsarebbe in sintonia con la “piccolavia” che Teresa ha percorso e propo-sto come cammino per tutti. Teresanon ha disprezzato l’itinerario cristia-no additato dalla Chiesa fin dalle ori-gini, ma lo ha percorso interamenterilanciandone il suo valore più vero. Inrealtà qualcosa di eccezionale nellasua vita si trova considerando che, findalla tenera età, Teresa ha accolto gliinsegnamenti evangelici e si è impe-gnata a viverli quotidianamente, conuna radicalità e progressione che non

ha conosciuto tentennamenti nei tem-pi di prova.

Una speciale considerazione meritail tema della “Vita eterna” nella spiri-tualità di Teresa. Fin dall’infanzia, in-fatti, Teresa ebbe la grazia di esserepreparata alla conoscenza delle realtàUltime. La lettura poi di un libro ri-guardante la Vita eterna aprì intera-mente l’orizzonte del suo sguardo allabeatitudine della meta celeste. Taleprospettiva del futuro glorioso deisanti nel cielo impegnò il camminoterreno di Teresa con tale energia dafarle percorrere in breve tempo unastrada di testimonianza singolare delVangelo. In lei non ci fu spargimentodi sangue, ma quell’offerta silenziosaa ogni istante di tutta se stessa, quellepiccole rinunce ai propri gusti, deside-ri (anche leciti), pensieri, i quali, rac-colti nel sentiero dell’esistenza, sonostati offerti per amore al Santissimo,come piccoli fiori senza appariscenza.L’esaltante prospettiva della visionebeatifica come godimento partecipatodella gioia di ciascuno e condivisionedei beni di tutti i santi, alimentaronoin lei il desiderio di arrivare a questameta prefigurando quanto la Liturgiaci auspica nella celebrazione dei Santicon la benedizione solenne: “Possiategodere, con tutti i santi, la pace e lagioia di quella patria, nella quale laChiesa esulta in eterno per la comu-nione gloriosa di tutti i suoi figli”. Te-resa non prestò attenzione al contin-gente, ma fissò il suo sguardo sull’e-terno o su ciò che ne riflettesse la bel-lezza, per questo il suo passo nel pre-sente fu deciso e rapido.

L’educazione di Teresa in una fami-glia cristiana incise fortemente nel suoanimo, ma non la esonerò dalle fati-che della fede e dalle tentazioni. Tere-

I nostriamici

Page 95: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2003 95

sa era la quinta figlia della famigliaMartin (di cui sono state già ricono-sciute e proclamate le virtù eroichedei genitori il 26 marzo 1994); a soli 4anni perse la madre e si affidò alle cu-re della sorella maggiore Paolina. A 9anni una nuova separazione affettiva,quando Paolina entra nel Monasterodi Lisieux, causò una forte malattia al-la piccola Teresa. Nel suo racconto au-tobiografico è descritta la guarigionemiracolosa per opera della Madonnail 13 maggio 1883. Teresa ritornò a es-sere una bambina serena e, sotto lecure premurose della sorella Maria, sipreparò con entusiasmo al primo in-contro con Gesù, l’8 maggio 1884. Lasua fanciullezza fu avvolta dalle cureamorose del padre, delle sorelle, dellazia e delle cugine, intessendo unaprofonda amicizia con la sorella Celi-na, più vicina a lei per età. In un am-biente così saturo di religiosità e di af-fetti umani Teresa non fu risparmiatadalle purificazioni del cammino delpellegrino verso la Patria Celeste. In-fatti la formazione ricevuta, unita alsuo animo sensibile e raffinato, anzi-ché aprirle la strada verso l’amore el’abbandono, le provocarono scrupolida cui fu liberata dall’intervento divi-no nella notte di Natale del 1886, co-me lei stessa scrisse: “Gesù, il dolcebambinello, mutò la notte della miaanima in fiume di luce… Nella nottein cui si fece debole e sofferente perla mia anima, mi rese forte e corag-giosa. Mi rivestì delle sue armi, e daquella notte benedetta in poi, non fuivinta in alcuna battaglia, anzi, cammi-nai di vittoria in vittoria, e cominciai,per così dire, una corsa da gigante...ricevetti la grazia di uscire dall’infan-zia, in una parola la grazia della miaconversione completa”13 .

Teresa, a soli 14 anni, desideravaentrare al Carmelo dove già vivevanole sorelle Paolina e Maria, per donarsiinteramente a Gesù, per salvare ilmondo con lui attraverso la preghierae il sacrificio, e non per ritrovare gliaffetti familiari. La presenza delle so-relle nel monastero fu per lei motivodi continua lotta per vincere la pro-pria natura, tesa alla ricerca di appa-gamenti affettivi umani, e offrire inte-ramente se stessa allo SposoGesù. Anche il desiderio diavere con sé la compagnad’infanzia, la sorella Celina,fu mosso unicamente dallavolontà di condividere lastessa gioia di appartenereal Signore e di poterlo servi-re nella Sua Chiesa: “Celina,preghiamo per i sacerdoti. Sìpreghiamo per loro e consacriamo lo-ro la nostra vita. Gesù mi fa sentireogni giorno che vuole questo da noidue ”14. Questo desiderio si purificòdurante la lunga malattia del padre,cui Teresa era molto legata, che fumotivo d’intense sofferenze. In prossi-mità della Velazione, scrivendo allasorella Celina, Teresa parlò appunto diuna prova che il Signore le diede co-me una gemma preziosa per comple-tare il suo corredo: “Gesù ci ha inviatola croce più raffinata che potesseescogitare nel suo immensoamore…”15. Tutto per Teresa fu accol-to come dono di Dio, anche quandonon poté gioire della presenza delbabbo in un momento tanto impor-tante per la sua vita quale la sua pro-fessione, così confidò alla sorella: “ditanti doni, mi mancava senza dubbioun gioiello di bellezza incomparabile,e questo diamante prezioso Gesù mel’ha donato oggi… Celina, nel ricever-

I nostriamici

Page 96: Adoro te devote di mons. Marco Frisina N

ANIMAZIONE LITURGICA

96 Culmine e Fonte 5-2003

lo, gli occhi si sono gonfiati di lacrimee le lacrime colano ancora. Sarei ten-tata di rimproverarmele come se nonsapessi che esiste un amore il cui solopegno sono le lacrime”16.

Tutto il cammino nel monastero fuuna continuazione dell’opera dellagrazia, cui Teresa seppe corrisponderesenza renderla vana, facendo di leiuna testimone dell’Amore Eterno, co-me il Santo Padre ha voluto sottoli-neare: “Teresa possiede un’universa-lità singolare. La sua persona, il mes-saggio evangelico della piccola viadella fiducia e dell’infanzia spiritualehanno trovato e continuano a trovareun’accoglienza sorprendente, che havarcato ogni confine… La forza delsuo messaggio sta nella concreta illu-strazione di come tutte le promesse di

Gesù trovino piena attuazione nel cre-dente che sa con fiducia accoglierenella propria vita la presenza salvatri-ce del Redentore…”17.

Questa santa che ha vissuto inten-samente il Vangelo, pur nella sua bre-ve esistenza, diventa anche per noimodello avvincente per rafforzare ilpasso nel cammino verso la santamontagna: Cristo Signore.

“La sua è una vita nascosta chepossiede un’arcana fecondità per ladilatazione del Vangelo e riempie laChiesa e il mondo del buon odore diCristo...”18; con il Santo Padre siamochiamati anche noi a riscoprire ilprofondo legame tra l’interiorità e l’e-stensione del Regno, pieni di fiducianella comunione con santa Teresa, laquale “lavora” dal cielo per noi.

—————————————1 J. GUITTON, Il genio di Teresa di Lisieux, Società Editrice Internazionale, Torino 1995.2 GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’Angelus (19 ottobre 1997).3 GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Divini Amoris Scientia, (19.10.1997), 1-11.4 S. TERESA DI GESÙ BAMBINO, Gli scritti, Edizioni OCD, Roma, 1995, 354.5 Ibid., 326-327.6 Ibid., 237.7 Ibid., 338.8 Ibid., 583.9 Ibid., 588-589.10 Ibid., 238.11 Ibid., 581-582.12 Ibid., 338.13 Cfr. ibid., 138.14 Ibid., 521.15 Ibid., 520.16 Cfr. ibid., 535.17 GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Divini Amoris Scientia, (19.10.1997), 10.18 Ibid., 11.