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Prof. Andrea Ballabio Biografia ed interessi di ricerca Andrea Ballabio e’ nato a Napoli il 27 Gennaio del 1957. Laureato in Medicina nel 1981 presso l’Univesità di Napoli si è poi specializzato in Pediatria nel 1985 presso la stessa Università. Ha trascorso vari anni lavorando nel campo delle malattie genetiche prima in Italia, poi in Inghilterra ed infine per 6 anni negli Stati Uniti dove ha occupato la posizione “Associate Professor” di Genetica Molecolare e Co-direttore del Centro Genoma Umano del Baylor College of Medicine a Houston nel Texas. Nel 1994 ha fondato, per mandato della Fondazione Telethon, il TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina), di cui è direttore, inizialmente localizzato presso il Parco Scientifico San Raffaele di Milano, e dal 2000 a Napoli. Oggi l’Istituto ospita circa 150 persone. Attualmente egli è Professore Ordinario di Genetica Medica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università Federico II di Napoli. I principali interessi di ricerca del Prof. Ballabio sono lo studio, la prevenzione e la cura delle malattie genetiche e lo studio dei geni e dei genomi. Il Prof. Ballabio ha pubblicato oltre 200 articoli su prestigiose riviste scientifiche internazionali; ha inoltre pubblicato numerosi capitoli su prestigiosi libri internazionali, come ”Harrison's Principles of Internal Medicine” e “Molecular Bases of Inherited Disease”. E’ stato Presidente della Società Europea di Genetica Umana. Ha ricevuto numerosi premi, nazionali ed internazionali, per la ricerca e la cultura. E’ consigliere in molte commissioni di organismi internazionali per la valutazione di progetti di ricerca tra cui la Commissione Europea e il Progetto Genoma Canadese. E’ membro, inoltre, dei comitati editoriali di numerose riviste scientifiche internazionali, nonché di importanti società scientifiche internazionali quali la European Molecular Biology Organization, la European Society of Human Genetics, l’American Society of Human Genetics e molte altre. Tra i risultati più importanti raggiunti dal Prof. Ballabio, insieme ai suoi ricercatori, si annoverano l’identificazione dei geni responsabili di molte malattie genetiche tra cui malattie oculari, neurologiche e malformazioni congenite. Importante è stato anche il contributo del gruppo del Prof. Ballabio sullo studio del genoma umano. Le scoperte più recenti riguardano il cromosoma 21 e la sindrome di Down, e l’identificazione di un gene indispensabile per il funzionamento di enzimi chiamati solfatasi, pubblicate rispettivamente sulle prestigiose riviste internazionali “Nature” e “Cell”.

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Page 1: Prof. Andrea Ballabio · Prof. Andrea Ballabio Biografia ed interessi di ricerca Andrea Ballabio e’ nato a Napoli il 27 Gennaio del 1957. Laureato in Medicina nel 1981 presso l’Univesità

Prof. Andrea Ballabio

Biografia ed interessi di ricerca

Andrea Ballabio e’ nato a Napoli il 27 Gennaio del 1957. Laureato in Medicina nel 1981 presso l’Univesità di Napoli si è poi specializzato in Pediatria nel 1985 presso la stessa Università. Ha trascorso vari anni lavorando nel campo delle malattie genetiche prima in Italia, poi in Inghilterra ed infine per 6 anni negli Stati Uniti dove ha occupato la posizione “Associate Professor” di Genetica Molecolare e Co-direttore del Centro Genoma Umano del Baylor College of Medicine a Houston nel Texas. Nel 1994 ha fondato, per mandato della Fondazione Telethon, il TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina), di cui è direttore, inizialmente localizzato presso il Parco Scientifico San Raffaele di Milano, e dal 2000 a Napoli. Oggi l’Istituto ospita circa 150 persone. Attualmente egli è Professore Ordinario di Genetica Medica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università Federico II di Napoli.

I principali interessi di ricerca del Prof. Ballabio sono lo studio, la prevenzione e la cura delle malattie genetiche e lo studio dei geni e dei genomi. Il Prof. Ballabio ha pubblicato oltre 200 articoli su prestigiose riviste scientifiche internazionali; ha inoltre pubblicato numerosi capitoli su prestigiosi libri internazionali, come ”Harrison's Principles of Internal Medicine” e “Molecular Bases of Inherited Disease”. E’ stato Presidente della Società Europea di Genetica Umana. Ha ricevuto numerosi premi, nazionali ed internazionali, per la ricerca e la cultura. E’ consigliere in molte commissioni di organismi internazionali per la valutazione di progetti di ricerca tra cui la Commissione Europea e il Progetto Genoma Canadese. E’ membro, inoltre, dei comitati editoriali di numerose riviste scientifiche internazionali, nonché di importanti società scientifiche internazionali quali la European Molecular Biology Organization, la European Society of Human Genetics, l’American Society of Human Genetics e molte altre.

Tra i risultati più importanti raggiunti dal Prof. Ballabio, insieme ai suoi ricercatori, si annoverano l’identificazione dei geni responsabili di molte malattie genetiche tra cui malattie oculari, neurologiche e malformazioni congenite. Importante è stato anche il contributo del gruppo del Prof. Ballabio sullo studio del genoma umano. Le scoperte più recenti riguardano il cromosoma 21 e la sindrome di Down, e l’identificazione di un gene indispensabile per il funzionamento di enzimi chiamati solfatasi, pubblicate rispettivamente sulle prestigiose riviste internazionali “Nature” e “Cell”.

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II GENI, GENOMI E MALATTIE

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

L’IMPATTO DELLA “RIVOLUZIONE

GENOMICA” SULLA BIOLOGIA E SULLA

MEDICINA

Andrea Ballabio

Professore di Genetica Medica Università degli Studi di Napoli Federico II Direttore TIGEM (Istituto Telethon di Genetica e Medicina)

L’inizio di questo millennio è coinciso

con l’inizio di una nuova era della ricerca: la

genomica. E’ fuor di dubbio che questi che

stiamo vivendo sono gli anni d’oro della

ricerca genomica. Con la genomica si e’

potuto decifrare l’intero patrimonio genetico

dell’uomo. Per la prima volta si sono potuti

leggere i 3 miliardi e 500 milioni di “lettere”

(le basi A,T,G,C) che compongono il nostro

DNA, il nostro genoma. Abbiamo cioè

davanti a noi il “libro della vita” con tutti i

suoi volumi (i cromosomi) e con tutti i suoi

capitoli (i geni) e possiamo finalmente

cominciare a studiarlo ed interpretarlo. A

differenza dell’astronomia che ci guida

all’esplorazione dell’universo di cui facciamo

parte, la genomica ci permette di esplorare

l’universo che è dentro di noi e capire, per

esempio, quali istruzioni sono contenute nel

genoma che consentono di passare

dall’incontro di uno spermatozoo con un

oocita alla nascita di un individuo!

Che impatto avrà sulla nostra vita questa

sensazionale impresa, che è stata definita il

più grande avanzamento di conoscenze mai

avvenuto nella storia dell’umanità? Come

potremo trasformare la conoscenza

strutturale dei geni in utilità per la nostra

specie? Questa è la principale sfida

dell’odierna ricerca biomedica. Innanzitutto

dovremo analizzare, sistematicamente, la

funzione di tutti i circa 30.000 geni

contenuti nel genoma umano. Questo

aspetto della genomica, conosciuto anche

come genomica funzionale, utilizza una

varietà di approcci alla base dei quali vi

sono la bioinformatica e l’automazione. Un

altro importante obiettivo sarà quello di

studiare a fondo le variazioni del genoma

nella popolazione e di correlare queste

variazioni alle predisposizioni di ciascun

individuo ai vari tipi di malattia. Infatti,

ognuno di noi possiede un genoma che si

differenzia da quello di ciascun altro

individuo in media per lo 0.1%. In queste

piccolissime differenze si nascondono non

solo i caratteri che rendono ciascuno di noi

unico, ma anche e soprattutto i fattori

genetici che causano o predispongono alle

malattie.

In medicina, la genomica aprirà una

nuova era nei campi della diagnosi e della

terapia, basata sulla conoscenza individuale

del profilo genetico e quindi sulle esigenze

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del singolo individuo. L’identificazione di un

numero quanto più ampio di variazioni tra

individui permetterà di stabilire associazioni

sempre più precise tra variazioni genetiche

e predisposizione all’insorgenza di malattie.

Non solo quindi saranno identificati tutti i

geni responsabili della insorgenza di una

malattia, ma sarà possibile attribuire a

ciascuna sequenza genica uno "score" o

impatto percentuale sulla predisposizione a

tale malattia. Questa conoscenza porterà a

raffinare enormemente i nostri strumenti di

diagnosi. Inoltre, nel campo della

prevenzione, la conoscenza del rischio

genetico per varie infermità permetterà di

intervenire più sul singolo individuo che in

maniera indiscriminata sulla popolazione. I

benefici ricadranno non solo sulla nostra

abilità di curare malattie come i tumori, i

disordini metabolici, le patologie

neurologiche, ma potranno soprattutto

influire sulla razionalizzazione dei sistemi

sanitari e sulla loro efficienza.

L'impatto della rivoluzione genomica

nel campo della terapia sarà più tardivo

rispetto a quello sulla prevenzione, ma

altrettanto dirompente. E' senz'altro la

terapia genica la branca su cui sono riposte

le speranze maggiori. La prospettiva che i

medici del futuro useranno i geni

direttamente come strumenti di terapia,

così come oggi il chirurgo usa il bisturi ed il

clinico somministra il farmaco, appare

ancora lontana. Ciononostante non c'è

dubbio che si arriverà presto a dei risultati

di grande rilevanza su patologie importanti,

come il cancro e le malattie genetiche.

Inoltre, l'individuazione di nuovi bersagli

terapeutici permetterà l’identificazione di

composti organici capaci di interferire su

specifiche funzioni. Questi composti

costituiranno i prototipi di nuove classi di

farmaci. Si prevede una vera e propria

esplosione in questo campo anche a seguito

della stretta sinergia tra biologia, chimica

farmaceutica anche attraverso l’uso della

chimica combinatoriale e la bioinformatica e

mediante l’utilizzo di sofisticate predizioni di

struttura-funzione. Tutto questo creerà

nuove opportunità di lavoro e stimolerà lo

sviluppo di un tessuto industriale

biotecnologico. C’è infine da sottolineare

che, a fronte degli innegabili vantaggi, la

rivoluzione genomica ci fronteggerà con

nuove problematiche nel campo della

bioetica, dell’organizzazione sociale e della

riqualificazione della forza lavoro.

Il nostro paese deve assolutamente

prepararsi, attraverso progetti concertati,

programmi di formazione, e fondi di

investimento, a queste grandi sfide ed allo

sfruttamento di queste enormi opportunità.

In questa direzione è auspicabile la

collaborazione di istituzioni pubbliche con

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quelle private (sia profit che non profit).

Infatti solo attraverso la creazione di queste

sinergie potremo fare in modo che l’Italia

non resti tagliata fuori da questa

meravigliosa avventura della conoscenza e

dalle importanti applicazioni che ne

deriveranno.

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GENI E MALATTIE

Enrico V. Avvedimento

Professore di Patologia Generale

Università degli Studi di Napoli Federico II

Nel 2001 sono state pubblicate le

prime pagine del libro della vita : la

sequenza del genoma (DNA) umano. Il

DNA, che costituisce I cromosomi, e’ stato

per la prima decifrato e letto nella sua

sequenza, una stringa di 4 lettere, lunga 3

miliardi e mezzo. In tutto sono due metri di

DNA che ognuno di noi porta in ogni sua

cellula, strettamente avvolti in 46 gomitoli

(i cromosomi). Essi sono stati “srotolati” e

"decodificati" cioè gli oltre tre miliardi di

lettere chimiche di cui sono composti, sono

state messe una dietro l’altra. La semplice

trascrizione della sequenza riempirebbe

350.000 pagine di una rivista (senza foto).

Una immensa frase che suonerebbe più o

meno così: ATGGGCACCMGCA……. in tutte

le pagine (le quattro lettere A, C, G, T, sono

le 4 molecole che in diversa combinazione

formano la catena).

Di questi 3 miliardi, il 5% codifica I

geni che dirigono la sintesi di RNA e

proteine (circa 30,000) e che danno le

informazioni per la costruzione, lo sviluppo

e la riproduzione del corpo (e della mente).

La lettura di questo libro, adesso

solo alle prime pagine, comincia a dirci le

prime parole e frasi sui piani di costruzione

del nostro corpo. Queste informazioni

cominceranno a chiarire questioni

fondamentali della nostra esistenza : a. chi

siamo; b. da dove veniamo; c. dove

andiamo; d. come ci ammaliamo.

Infatti, cominciamo a scoprire : 1. Geni che

venivano espressi in animali evolutivamente

antecedenti a noi: 2. geni che sono nati

con noi; 3. geni morti e non piu funzionanti

(fossili). Man mano che si aprono le pagine

di questo libro (cromosoma per

cromosoma) si scoprono elementi che

raccontano la storia del DNA prima della

nascita dell’uomo. Ad esempio , la storia del

cromosoma Y e la nascita del sesso

maschile umano.

Storia di Y, il cromosoma maschile

I cromosomi X ed Y sono derivati da

una coppia di cromosomi autosomici (non

sessuali) durante l’evoluzione del sesso. Dal

momento che X poteva scambiare regioni di

cromosoma con l’altro cromosoma X

(ricombinazione meiotica), i geni sul

cromosoma X si sono mantenuti intatti e

funzionanti, perche’ lo scambio puo

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correggere eventuali errori. Y che non

poteva scambiare con nessun altro

cromosoma, ha perso a poco a poco tutti i

geni funzionanti ed ha mantenuto solo

quelli che specificano il sesso maschile (es.

quelli coinvolti nella spermatogenesi).

Questi geni sono stati conservati e

migliorati dalla evoluzione nel corso del

tempo. L’effetto pratico piu rilevante di

questa storia e’:1 la possibilita’ di

conoscere i geni importanti per la

spermatogenesi; 2. si possono adesso

identificare geni alterati in casi di sterilita’

ed impotenza; 3. la campionatura delle

sequenze di X e Y insieme permettera’ di

capire le differenze fondamentali e le

somiglianze tra uomo e donna.

Malattie dell’uomo : fotografie ad alta

risoluzione

Il catalogo delle pagine iniziali del

libro della vita si sta arricchendo di mese in

mese : sono state pubblicate le pagine del

cromosomi, 1, 6, 21, 22, X eY. La

possibilita’ di leggere le singole lettere del

DNA e di tutti I geni umani ha stimolato una

serie di rivoluzioni tecnologiche, tuttora in

corso, che danno la possibilita’ di scattare

fotografie ad alta risoluzione sia dei geni

presenti in un individuo sia di particolari

geni espressi. Questo e’ importante perche

I geni ereditati dal papà e dalla mamma

vengono selettivamente espressi nei

diversi tessuti (cervello, stomaco,

muscoli), nelle diverse eta’ (giovani e

vecchi), nelle diverse esperienze della

vita (alimentazione, esercizio fisico,

abitudini etc.) e nelle circa 8000 malattie

dell’uomo. Oggi si cominciano a fare

fotografie dell’insieme dei geni e dei loro

prodotti (RNA e proteine ) e queste foto

stanno cambiando radicalmente la

comprensione, la diagnosi e terapie di

malattie socialmente rilevanti. Le foto dei

geni si possono fare direttamente mediante

i SNP (snip), che sono delle lettere che

cambiano frequentemente tra un individuo

ed un altro oppure indirettamente

analizzando gli RNA o le proteine

sintetizzate da cellule dell’individuo. Gli SNP

sono dei marcatori lungo il DNA che

possono essere utilizzati per delimitare geni

che danno suscettibilita’ ad una

particolare malattia.

Malattie cardiovascolari

Abbiamo imparato che nella malattia

cardiovascolari monogeniche lo studio della

genomica ha fornito importanti informazioni

nelle ipercolesterolemia familiari, nella

cardiomiopatia ipertrofica familiare,

soprattutto per quanto riguarda la

patogenesi dell'ipertrofia miocardica, nella

sindrome del QT lungo familiare dove ha

permesso di capire i meccanismi della

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disfunzione dei canali ionici ed il nesso con

le aritmie, nel fattore V di Leiden legato alla

trombosi venosa.

Oggi si possono identificare

preventivamente individui portatori di

mutazioni in un gene espresso nel cuore

che quando alterato puo condurre alla

morte improvvisa (Q-T lungo). In questo

modo preventivamente, questi individui

possono essere seguiti e curati. Si puo fare

al stessa cosa con malattie tipo ipertrofie

del cuore dove si possono individuare le

alterazioni dei geni coinvolti e cosi ritardare

la comparsa della insufficienza cardiaca.

Cosi come sono stati identificati dei geni la

cui attivazione comporta una ipertrofia

benigna (esercizio fisico), mentre altri

portano alla ipertrofia maligna del cuore

(ipertensione e scompenso). E’ in fase

avanzata l’analisi di tutte le proteine che si

possono trovare nel siero di pazienti che

hanno subito o sono a rischio di infarto.

Questa analisi, detta proteomica,

consentirebbe se validata di identificare

marcatori predittivi sicuri di rischio.

Tumori

La diagnosi e la terapia dei tumori e’

stata rivoluzionata dalla conoscenza della

sequenza del genoma. Si fanno gia

fotografie ad alta risoluzione dei geni e dei

loro prodotti in vari tipi di tumori

(mammella,polmone, stomaco, prostata).

Anche se non sono stati trovati marcatori

specifici di tumori, comuni in diversi

individui, sono state identificati gruppi di

geni che indicano la aggressivita’ in termini

di metastasi e la sensibilita’ alla terapia del

tumore. Per esempio, nel caso di tumori

inizialmente poco diffusi che esprimono

questi geni, ci si orienta per trattamenti piu

radicali, evitando cosi inaspettate

complicanze a distanza.

Malattie metaboliche

Sono stati trovati nuovi geni per

vecchie malattie, tipo ittero (Crigler-Najiar)

degli amish e mennoniti in Pennsylvania

USA oppure vecchi geni per vecchie

malattie, quali il recettore dell’insulina per

alcune forma di diabete. In alcuni casi la

terapia genica, sostituzione del gene rotto

con una copia nuova, ha avuto successo

(immunodeficienze o ittero come sopra) in

altri invece ha riservato delle brutte

sorprese.

C’e’ un fermento di attivita’ sia nei

laboratori che nelle cliniche per la

identificazione di SNP che marcano

suscettibilita’ al diabete, ipertensione,

complicanze aterosclerosi o malattie

autoimmuni. In alcuni casi si procede alla

genotipizzazione di intere popolazioni, come

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nel caso dell’Islanda per scoprire geni

legate a patologie complesse.

Malattie neurodegenerative

Grossi progressi sono stati fatti nella

identificazione di geni responsabili della

malattie di Alzheimer, Parkinson, epilessia.

In molti casi, i geni sono stati identificati,

manca pero la possibilita’ immediate della

terapia sostitutiva, perche il cervello non si

presta a questa operazione.

Nell’immediato futuro sara’ possible fare la

mappa del genoma individuale con poca

spesa. La conoscenza di noi stessi

aumentera’ e forse anche la saggezza.

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GENI, DIETA E ARTERIOSCLEROSI: IL FUTURO È GIÀ ARRIVATO?

Gabriele Riccardi

Professore di Endocrinologia- Malattie del Metabolismo Università degli Studi di Napoli Federico II

Dopo la fine della seconda guerra

mondiale, il nostro paese (come molti altri

paesi europei) si è lasciato alle spalle fame

e stenti ed è andato incontro a un periodo

di sviluppo economico che ha cambiato in

maniera radicale le nostre abitudini di vita.

Il benessere ha consentito quasi a tutti

libero accesso al cibo e una notevole

riduzione della fatica fisica per

procurarselo; a distanza di alcuni decenni,

le malattie del benessere (obesità, diabete,

arteriosclerosi, cancro, ipercolesterolemia,

ipertensione, etc) si sono diffuse nella

popolazione in forma epidemica. Lo stesso

fenomeno si è manifestato, qualche decade

dopo, nei paesi in via di sviluppo, per i quali

la condizione sociale si era andata

modificando più tardi.

Per queste malattie, la cui origine è

strettamente connessa alle abitudini di vita,

la genetica non è priva di importanza,

anche se in un contesto “multifattoriale”

(non c’è una sola causa, ma più cause

concomitanti); questo spiega perché alcuni

individui si mantengono perfettamente sani

nonostante la vita sedentaria e

un’alimentazione ricca ed abbondante,

mentre altri sviluppano alterazioni

metaboliche anche per minime deviazioni

da un sano stile di vita. La “nutrigenomica”

è quella nuova branca della genetica che si

interessa degli effetti combinati di geni e

fattori nutrizionali sullo sviluppo di malattie.

In pochi anni i progressi di questa disciplina

sono stati enormi e maggiori traguardi sono

raggiungibili nei prossimi anni.

E’ noto che alcuni geni sono presenti

nella popolazione in forma “polimorfica”,

ossia con un’elevata variabilità tra gli

individui che non comporta, però, di per se,

conseguenze rilevanti sullo stato di salute

(è questo il caso, ad esempio, dei geni che

regolano i gruppi sanguigni). Anche il gene

dell’Apo E, che regola la sintesi di una

proteina che partecipa al trasporto di

colesterolo nel sangue, è polimorfico: esso

ha tre varianti (chiamate rispettivamente

Apo E 2, 3 e 4) che condizionano un diverso

impatto della dieta sul rischio di

arteriosclerosi; in particolare, la variante

Apo E 4 si associa con una spiccata

sensibilità a sviluppare livelli elevati di

colesterolo in presenza di un’alimentazione

ricca in colesterolo e, quindi, predispone

allo sviluppo di arteriosclerosi in individui

sottoposti alla dieta tipica dei paesi ricchi. Il

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risvolto della medaglia è che questi

individui, proprio perché più sensibili alla

dieta, ottengono risultati più marcati

quando modificano le loro abitudini

alimentari riducendo i grassi e il colesterolo

della dieta.

L’aumentata suscettibilità alla dieta

dei portatori di Apo E 4 si manifesta anche

in relazione alla glicemia e, quindi, al

diabete, anch’esso associato ad aumentato

rischio di arteriosclerosi; infatti, se

sviluppano obesità, le persone con questa

variante vedono aumentare la loro glicemia

molto di più di coloro che hanno le altre

varianti polimorfiche di questo gene (Apo E

2 e 3). D’altra parte, se riescono a perdere

peso (modificando opportunamente le loro

abitudini di vita), ottengono una riduzione

più marcata della glicemia.

Anche lo sviluppo della malattia di

Alzheimer, caratterizzata da gravi disturbi

della memoria e, più in generale, da declino

cognitivo, è più frequente nei portatori di

Apo E 4, particolarmente se sono presenti

valori elevati della pressione arteriosa;

ancora una volta, però, l’eccesso di rischio

è completamente azzerato se il controllo

della pressione è ottimale.

Ci sono, quindi, sufficienti motivi per

proporre una valutazione dei polimorfismi

del gene dell’Apo E negli individui ad alto

rischio per arteriosclerosi. Questo

consentirebbe di individuare coloro che

potrebbero massimamente beneficiare di un

intervento preventivo basato su modifiche

dello stile di vita; d’altra parte, la

consapevolezza di avere una specifica

suscettibilità genetica ai fattori nutrizionali

avrebbe sicuramente un impatto positivo

sulla motivazione a intraprendere una dieta

che, indubbiamente, richiede costanza e

determinazione.

L’evidenza di questo intreccio tra

geni e nutrizione si sta allargando anche ad

altre malattie metaboliche; questo ci

consentirà, in un futuro non lontano, un

approccio personalizzato alla prevenzione e

alla cura delle malattie mediante interventi

nutrizionali.

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IL GENOMA NON E’ SOLO L’INSIEME

DEI GENI

Luigi Lania

Professore di Genetica Università degli Studi di Napoli Federico II

Sono passati solo cinquanta anni

dalla scoperta della struttura del DNA e

circa lo stesso tempo dalla determinazione

del numero dei cromosomi dell’uomo. Oggi

il patrimonio genetico dell’uomo è noto, è

stata decifrata la sequenza del DNA di tutti i

cromosomi umani. La sfida adesso è la

comprensione della lingua, che significa

scoprirne le regole della grammatica e della

sintassi. La situazione della biologia, oggi,

ricorda quella della chimica del XIX secolo. I

geni umani rappresentano nella ricerca

biologica gli elementi della ‘tavola periodica

della biologia’; così come la chimica usa la

tavola periodica degli elementi per capire la

natura dei composti chimici, la biologia

dovrà utilizzare la conoscenza di un genoma

per individuare i geni responsabili di un

dato processo biologico. La determinazione

di circa 3 miliardi di lettere (nucleotidi) del

nostro genoma è quindi stata archiviata..

Vanno ora individuate e sviluppate le

strategie culturali e metodologiche per

sfruttare in maniera ottimale l’enorme mole

di dati in nostro possesso. La genetica del

XX secolo ha sancito il ruolo fondamentale

del gene, definito come un elemento

discreto del genoma in grado di istruire in

maniera non ambigua la formazione di una

catena proteica e quindi di una funzione.

Tuttavia solo una piccola parte del genoma

umano è costituito da geni identificabili, si

rende opportuno quindi un progetto

culturale in grado di spiegare come con

circa 20.000 – 40.000 geni e con tanto DNA

non codificante si possa modellare una

struttura complessa come l’uomo. Una

caratteristica del genoma umano è il

‘paesaggio’ complessivo, in cui si alternano

regioni ricche di geni ad altre che ne sono

quasi sprovviste. Come spiega uno dei padri

della genomica, F. S. Collins, ci sono regioni

simili a grandi metropoli, con grattacieli di

geni ammassati uno sull’altro, e poi vasti

deserti dove non sembra esserci nulla. Una

domanda basilare della biologia moderna è

se il genoma di una specie è la semplice

somma dei geni che lo compongono.

Sappiamo che i geni umani sono

molto simili a quelli della scimmia o del

topo: l’unicità di una specie non è

imputabile ai geni di per se, ma a come gli

stessi geni sono regolati e organizzati nel

genoma. In altre parole, è il loro

programma di funzionamento che

determina il risultato finale. In estrema

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

sintesi il genoma è composto da due tipi di

geni, quelli che codificano per una proteina,

e quelli che ne regolano il livello di

espressione, nel tempo e nello spazio. A

questo network di geni bisogna aggiungere

altri livelli di controllo, la recente scoperta

di piccoli RNA (microRNA) in grado di

regolare l’espressione di geni in risposta a

stimoli ambientali. Questi geni erano

sfuggiti al rilevamento perché i programmi

bioinformatici per l’analisi delle sequenze

genomiche non erano stati istruiti per la

ricerca di questo insolito tipo di gene, il cui

prodotto finale è un RNA anziché una

proteina. Infine è da considerare il ruolo del

livello ‘epigenetico’ di controllo. I segnali

epigenetici non alterano il DNA, pur tuttavia

influenzano drasticamente le caratteristiche

di un organismo. Resta da decifrare i

meccanismi attraverso cui questi segnali

interagiscono con il genoma stesso. In base

alle nostre conoscenze appare più

opportuno considerare il genoma come dato

primario e i geni come elementi costituenti

il genoma stesso. In altre parole per quanto

riguarda la specificità di specie è

certamente più adeguato parlare di un

genoma umano, ma non di geni

propriamente umani. Secondo Collins i

ricercatori dovranno ripensare la biologia

considerando il genoma come un tutt’uno,

ad esempio studiando l’espressione in una

cellula di tutti i geni contemporaneamente.

E così anche le proteine, i prodotti dei geni,

sviluppando la cosiddetta proteomica, un

nuovo campo di ricerca oggi in grande

sviluppo. La proteomica studierà le

proprietà delle proteine su larga scala, per

ottenere il loro profilo nei processi biologici

normali e patologici.

Lo studio di un processo biologico nell’era

post-genomica richiede l’interazione di varie

competenze scientifiche . Assisteremo alla

cooperazione tra ricercatori di campi

scientifici diversi: biologi, chimici,

informatici, fisici e matematici. Solo

l’interazione tra diversi sapere potrà dare

delle risposte significative alla ricerca

biologica. La preparazione della prossima

generazione di biologi richiederà una

riforma significativa nel tipo ed approccio

metodologico dell’insegnamento della

biologia moderna.

Lo studio del genoma risponderà a tutte le

nostre domande? Quasi certamente no.

L’ambiente, inteso anche come somma

delle esperienze individuali, come nel

passato anche nell’era post-genomica

ricoprirà un ruolo fondamentale. C.

Venders, lo scienziato che ha diretto la

ricerca privata del genoma umano,

suggerisce che il messaggio forte che

emerge dalla genomica e dalla proteomica è

che i geni non sono poi programmati in

maniera estremamente rigida, ma la loro

azione si ‘adatta’ all’ambiente. Chi cercava

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spiegazioni deterministiche per ogni minimo

evento della vita di un organismo ne resterà

deluso, e ancor più quelli che speravano

che il genoma assolvesse l’essere umano

dalle sue responsabilità personali.

Resta immutato l’insegnamento di Darwin,

l’indissolubile legame tra geni (oggi

genoma) ed ambiente, come base e motore

dello sviluppo ed evoluzione di tutti gli

organismi viventi.

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GENOMA, NATURA, TERAPIA GENICA: DOMANDE BIOETICHE

Giuseppe Acocella

Professore di Etica sociale Università di Napoli Federico II

La scoperta del codice genetico ha

sicuramente aperto nuovi sentieri alla

ricerca, ed il Progetto Genoma rende ora

possibile la conoscenza del cosiddetto

patrimonio genetico di ogni individuo, con i

vantaggi che ciò comporta a fini di cura. Il

problema etico che immediatamente però si

è posto (trascurando in questa sede le

questioni relative alla riservatezza e alla

privacy, che inevitabilmente insorgono

quando la ricerca smuove capitali ingenti e

giri di affari colossali) riguarda gli

interrogativi che investono la sua

applicazione “terapeutica”, che coinvolgono

aspetti filosofici rilevanti. E’ stato

giustamente scritto che <<non vi è dubbio

che la comprensione della natura dell’uomo,

della sua origine e del suo futuro, trarrà

molto vantaggio da questo genere di

studi>> (P. Vezzosi – A. Frattini – S.

Faranda, Dieci anni di progetto Genoma, in

<<Le Scienze Quaderni>>, marzo 1998,

pp. 3-12), ma il problema sta proprio nel

rischio di fraintendimento del significato di

conoscenza della natura umana, da cui

deriverebbe la conclusione che l’unico

discorso possibile sull’uomo (e quindi anche

l’unica etica) sarebbe quello che comporta

la capacità della scienza di ottenere

risultati, quali che siano, tanto più che il

peso inevitabile degli interessi economici

tenderebbe tanto più ad escludere ogni

turbativa proveniente dai dilemmi etici.

Come è stato notato, <<soltanto

qualora si intendesse il termine natura

umana in un’accezione biologica potremmo

dire che con la scoperta del DNA abbiamo

aperto nuove conoscenze sulla natura

umana>>, ma ciò significherebbe che

proprio chi affermasse che <<tutto quanto

possiamo sapere sull’uomo (cioè sulla sua

natura) passa attraverso le conoscenze

biologiche>> (A. Pessina, L’uomo

sperimentale, Milano, B. Mondatori, 1999),

chiarirebbe la sua evidente opzione per una

filosofia positivista, deterministica, che

finirebbe - restringendo in ambiti assai

angusti la portata filosofica del problema –

per negare sia il superamento delle

concezioni arcaiche della natura, quanto la

moderna acquisizione di quello che Pietro

Piovani definiva “giusnaturalismo moderno

senza natura” (G. Acocella, Elementi di

bioetica sociale, Napoli, ESI, 1998). Su

queste premesse occorre fondare la

valutazione delle terapie geniche: l’obiettivo

di risanare le infermità ha indotto la scienza

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ad intervenire sulla natura biologica

dell’uomo, malata, alterata, imperfetta.

Ogni azione destinata a ripristinare la salute

compromessa, in vista della dignità

dell’esistere, va valutata come eticamente

positiva, a patto che non comporti pratiche

in grado di comprometterne la stessa

finalità.

Infatti va tenuta costantemente

presente l’insidia che si cela nella terapia

genica, la quale deve necessariamente

operare avendo presente il modello di

natura, o addirittura di perfezione, che si

intende ripristinare. Ma a quale modello ci

si riferirà, su quale limite verrà fissata la

soglia della sanità o anche del desiderio

della perfezione (che può sconfinare nella

mera vanità), giudicando imperfetti, tarati,

coloro che fossero al di sotto di quella

soglia stabilita? E poi, stabilita con

precisione da chi ? Se l’eugenetica non può

fare a meno di ipotizzare un modello di

natura umana (la razza ariana, per

esempio, o la popolazione di “tipo A” della

socialdemocrazia svedese dopo il 1935 ?),

come è storicamente accaduto, il rischio è

che la libera ricerca, privata di interrogativi

etici, finisca per accreditare tutto ciò che

viene sperimentato (anche quando la

ricerca non sia libera da condizionamenti

politici o economici). La <<comprensione

della natura dell’uomo>> sarebbe così

sostituita dalla sua manipolazione, perché

la scienza finirebbe per imporre una propria

idea dell’uomo e della sua natura, non

tenendo conto nemmeno del “principio di

precauzione”. Una repubblica “platonica” in

cui comandassero, invece che i filosofi, gli

scienziati, e questi fossero insofferenti alle

domande etiche che impone la tutela della

condizione umana (alla quale anche la

scienza è soggetta, come ogni azione

terapeutica), liquiderebbe l’ansia di verità

che motiva la ricerca veramente libera, la

quale non può mai disattendere il rispetto

della dignità e della vita umana.

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PROTEINE: LE MOLECOLE PIU’ VERSATILI

Filiberto Cimino

Professore di Biochimica Università degli Studi di Napoli Federico II

Nella letteratura della Grecia antica si trova

traccia di un personaggio abbastanza

intrigante, Proteus. Era una divinità marina

con la capacità di assumere qualsiasi

forma: uomo, animale, pianta o anche

fuoco, acqua o terra. Un’immagine

particolarmente adatta oggi a definire una

classe di molecole biologiche, la cui

caratteristica è proprio la versatilità e che,

non a caso, si chiamano Proteine. Si

trasformano, sanno fare di tutto e tutto

quello che fanno le nostre cellule non è

altro che il risultato di funzioni di specifiche

proteine.

Di dimensioni molto variabili, queste

macromolecole sono una sequenza,

apparentemente bizzarra, di centinaia e

centinaia di molecole più piccole, gli

aminoacidi. Le peculiarità chimiche degli

aminoacidi e dei legami che li tengono

insieme, ma soprattutto l’ordine con cui essi

si succedono l’uno dopo l’altro nella

macromolecola, determinano la forma

tridimensionale che ogni proteina assume.

Uno specifico DNA detta le “regole”: è da lì

infatti che la cellula attinge l’informazione

sull’ordine da dare ai singoli aminoacidi. Ed

è così che nelle nostre cellule esistono

decine di migliaia di proteine, ciascuna con

una propria forma (nonostante siano tutte

costruite con gli stessi venti tipi di

aminoacidi) che consente alla molecola di

svolgere una determinata funzione.

Proviamo a fare alcuni esempi.

Digeriamo gli alimenti, respiriamo

consumando l’ossigeno presente nell’aria,

ingrassiamo mangiando troppi dolci: tutto

ciò si verifica perché nelle nostre cellule

avvengono migliaia di reazioni chimiche,

ciascuna catalizzata da una specifica

proteina chiamata enzima. E, ancora, la

nostra capacità di “difenderci” da microbi o

da altri elementi nocivi dell’ambiente è

riconducibile anch’essa alle proteine: gli

anticorpi sono infatti proteine. Straordinaria

poi è la capacità delle proteine di cambiare

forma acquisendo in tal modo una funzione.

Un muscolo che si contrae infatti è la

conseguenza macroscopica del

cambiamento di forma di miliardi di

molecole di una proteina chiamata miosina,

disposte in maniera ordinata lungo l’asse

delle cellule del muscolo. Pensiamo inoltre a

quante molecole devono entrare e uscire

dalle nostre cellule: ciò avviene perchè

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un’infinità di proteine “trasportatrici”

cambiano forma, aprendosi e chiudendosi

come porte girevoli e facendo così passare

in maniera selettiva solo ciò per cui sono

state disegnate. L’elenco delle funzioni

svolte dalle proteine è lunghissimo. Oggi le

proteine che ancora non conosciamo o la

cui funzione non ci è ancora nota sono

probabilmente molto più numerose di quelle

di cui possiamo già ammirare l’abilità. Da

qualche tempo una nuova disciplina, la

proteomica, insieme alla genomica, sta

fornendo nuove e numerose conoscenze

non solo sulle funzioni svolte dalle proteine,

ma anche sulle loro alterazioni che sono alla

base di tante malattie.

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BIOMATEMATICA

Paolo Fergola

Professore di Fisica matematica Università degli Studi di Napoli Federico II

Per molto tempo la ricerca biologica

ha usato della matematica solo i metodi

statistici per il trattamento dei dati

sperimentali.

I modelli maltusiano, logistico e quello

preda-predatore di Vito Volterra sono i

prototipi dei modelli matematici della

dinamica delle popolazioni, che costituisce

un capitolo classico della moderna

biomatematica. Con il suo modello, che

rappresenta l’interazione tra due specie

delle quali l’una (la preda) costituisce il cibo

dell’altra (predatore), Volterra riuscì a

spiegare perché la diminuzione dell’attività

di pesca nell’Adriatico, nel periodo della

prima guerra mondiale, aveva modificato

l’equilibrio tra pesci preda e pesci predatore

a vantaggio di questi ultimi.

Da allora le modellizzazioni

matematiche sono applicate con successo

non solo alla dinamica delle popolazioni in

ecologia (ripopolamento territoriale dei lupi

e sopravvivenza dei cervi) ma anche alla

ecotossicologia (competizioni tra

microrganismi geneticamente modificati e

naturali in presenza di inquinanti esterni,

competizioni allelopatiche tra specie

batteriche o algali) alla epidemiologia

(diffusione geografica e controllo di malattie

come l’AIDS o la SARS) nonché a complessi

problemi di molte scienze biomediche (ciclo

del glucosio, formazione delle reti vascolari,

crescita e controllo dei tumori,

cicatrizzazione delle ferite).

Lungi dal descrivere compiutamente

i processi biologici, i modelli matematici

rappresentano un ulteriore strumento di

indagine che ne facilita la comprensione, sia

attraverso l’individuazione dei parametri e

delle variabili essenziali da usarsi nella

modellizzazione, sia nel fornire previsioni,

sia, infine, nel suggerire nuovi esperimenti

che ne confermino o ne smentiscano la

validità.

La natura del processo che

rappresenta ed il livello di approssimazione

prescelto determinano poi le caratteristiche

del modello che è spesso costituito da

sistemi di equazioni differenziali ordinarie,

alle derivate parziali o funzionali. Saranno

quindi i metodi propri dell’analisi

matematica, dell’analisi qualitativa (nella

quale gioca un ruolo rilevante la teoria della

stabilità di Liapunov) e delle tecniche di

simulazione numerica a consentirne uno

studio adeguato.

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La biomatematica appare oggi una

scienza interdisciplinare per eccellenza, in

cui la matematica trae nuove sfide e

sollecitazioni dalla fenomenologia biologica

e la biologia trae dalla matematica nuovi

spunti di sperimentazione e di

organizzazione logica delle proprie

conoscenze.

Closterium

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LA BIOINFORMATICA: UNA PROSPETTIVA INNOVATIVA NELLA RICERCA BIOLOGICA

Maria Luisa Chiusano

Ricercatore di Biologia molecolare Università degli Studi di Napoli Federico II

Con l’obiettivo di organizzare i dati

relativi a strutture molecolari prodotti in

gran quantità grazie allo sviluppo di

tecnologie sperimentali innovative e alla

realizzazione di progetti internazionali tesi

alla caratterizzazione dell’informazione

genetica e della sua espressione in molti

organismi, la Bioinformatica si occupa di

sviluppare banche dati informatizzate e

software idonei per l’analisi dei dati

biologici.

Attraverso analisi sui dati, in questo

settore della ricerca biologica si mira ad

evidenziare proprietà strutturali, funzionali

ed evolutive delle molecole e degli

organismi cui esse appartengono, rivelando

complessizzazioni non rilevabili dallo studio

dei singoli sistemi. Basandosi sull’ipotesi

che specifiche strutture presiedono a

specifiche funzioni, che strutture simili

presiedono a funzioni simili, che strutture

conservate nell’evoluzione presiedono a

funzionalità rilevanti, grazie al supporto di

analisi comparative si vuole comprendere

come genomi con i medesimi costituenti di

base determinino esseri viventi con

organizzazioni totalmente differenti, ad

esempio unicellulari o multicellulari, o come

cellule di uno stesso organismo, con lo

stesso genoma, possano presentarsi con

struttura e funzionalità diverse a seconda

del compartimento cellulare o dello stadio di

sviluppo, o, inoltre, come variazioni anche

di un singolo nucleotide nel genoma

possano causare patologie anche molto

serie.

La Bioinformatica, pertanto,

contribuisce alla ricerca Biologica con

metodologie adatte alla raccolta di

quantitativi enormi di dati, permettendo la

rappresentazione ed il riconoscimento di

relazioni note grazie alle caratteristiche

delle tecnologie utilizzate, ma, soprattutto,

per consentire l’interpretazione di

informazioni ancora sconosciute e la

formulazione di modelli per predizioni

strutturali e funzionali di sistemi biologici

complessi, come riferimento per

progettazioni sperimentali anche con

l’obiettivo ambizioso di simulare sistemi

viventi in silico.

In definitiva, la ricerca in

Bioinformatica, avvalendosi dei progressi

delle Scienze Computazionali e della

Biologia Sperimentale, si caratterizza per

contribuire al miglioramento delle

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conoscenze dei fenomeni biologici,

adeguandosi alle sfide attuali e

preparandosi a quelle future nell’ambito

della ricerca nelle Scienze della Vita.

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L’INNOVAZIONE DELLE TECNOLOGIE PER IMMAGINI DAL MACRO AL MICRO NELL’ERA POSTGENOMICA

Marcello Bracale

Professore di Bioingegneria, Università degli Studi di Napoli Federico II.

Le osservazioni morfologiche hanno

guidato il corso della Biologia fin da quando

il primo microscopio fu costruito nel lontano

16mo secolo. Oggi si parla di imaging

molecolare. Esso è una disciplina di ricerca

rapidamente crescente che estende quelle

osservazioni nei soggetti viventi ad una

dimensione molto più “microscopica” e di

gran lunga più significativa.Esso può essere

definito come una rappresentazione visiva,

una caratterizzazione ed una quantificazione

dei processi biologici a livello cellulare e

subcellulare negli organismi integri viventi.

Esso è un nuovo campo

multidisciplinare nel quale le immagini

prodotte riflettono i legami ed i percorsi

molecolari e cellulari ed i meccanismi in vivo

della patologia presente nel contesto degli

ambienti fisiologicamente autentici. Il

termine “imaging molecolare” significa la

convergenza di tecniche multiple di cattura

di immagini, di biologia cellulare e

molecolare attraverso conoscenze di

chimica, di medicina, di farmacologia,di

bioingegneria, di bioinformatica in nuovo

paradigma dell’imaging stesso.

Le attuali tecnologie per immagini

sono legate essenzialmente alla

visualizzazione di modificazioni

macroscopiche non specifiche, fisiche,

fisiologiche, metaboliche, che differenziano

il tessuto patologico da quello normale,

piuttosto che identificare gli eventi (cioè

l’espressione genetica) responsabili della

malattia. L’imaging molecolare invece

utilizza specifici “probes” molecolari come

sorgente per avere il contrasto di immagini.

Questo cambiamento da un

approccio non specifico ad uno “specifico”

rappresenta un salto diagnostico importante

e significativo, l’impatto del quale è che

l’imaging potrà fornire il potenziale per

comprendere l’integrazione biologica, per un

precoce rilievo e caratterizzazione della

malattia ed una valutazione del trattamento

terapeutico.L’imaging molecolare ha le sue

radici nella medicina nucleare, utilizzando

adeguati traccianti radioattivi in relazione

alle tecnologie di immagini impiegate.

Vengono in particolare utilizzate la PET e la

SPECT.

Ma anche altre tecnologie sono

impiegate, quali ad esempio la microscopia

a fluorescenza, gli ultrasuoni con l’utilizzo di

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opportuni mezzi contrastografici; la

Tomografia Computerizzata CT a raggi X

sempre più “monocromatici”, la Risonanza

Magnetica RM.Tutte queste terminologie

sono ben note anche al grande pubblico e

rappresentano tecnologie in continua

evoluzione per migliorare la risoluzione e la

efficacia diagnostica applicata ai macro

sistemi fisiopatologici. Gli obiettivi di questi

sforzi sono quelli non di ottenere immagini

fini a sè stesse, ma strettamente legate ai

quesiti ed ai problemi irrisolti biologici e

medici .In tutte le parti del mondo si stanno

effettuando grossi investimenti finanziari

per sviluppare programmi di ricerca nel

settore.

Numerose autorità politiche europee

e mondiali stanno mettendo in atto

programmi di ricerca internazionali nel

settore della biologia molecolare e della

genomica.Lo scorso anno anche importanti

aziende dell’imaging sono scese

pesantemente in campo come la General

Electric Healthcare, nata dalla acquisizione

per 9,5 miliardi di dollari della britannica

Amersharm Biosciences, leader storico di

reagenti e mezzi di contrasto, da parte della

General Electric Medical Systems (GEMS), il

gigante statunitense dell’imaging medicale.

La motivazione di tale operazione è

stata principalmente accesa dalla medesima

filosofia delle due Aziende su come è

destinata ad evolvere la Medicina.

Diagnostica e terapia saranno definite a

livello molecolare ed il peso della tecnologia

e della genomica è destinato a crescere in

tutto il mondo. Ma se questi sono gli sforzi

volti a “vedere” e studiare i meccanismi

delle microstrutture viventi, non vengono

affatto tralasciati quelli volti a studiare la

“funzionalità” di macrosistemi viventi e di

tutti gli organi, indagando su come la

patologia, anche a livello “iniziale”, ne

modifica la funzionalità.

Da tutti questi sforzi congiunti che

vede uniti Biologi, Medici, Bioingegneri,

Biofisici, Biomatematici e tante altre

professionalità si ha motivo di ritenere che

in breve tempo il famoso homunculus di

Penfield e di Rasmussen, che si ritrova nei

testi di neuroanotomia funzionale,dovrà

essere ridisegnato e malattie terribili

derivanti dall’invecchiamento precoce

cellulare con le drammatiche evoluzioni

degenerative cellulari tipiche dell’Alzheimer

potranno essere inquadrate e diagnosticate

prima dell’insorgenza dei sintomi.La

medicina dei prossimi anni si accompagnerà

sempre di più a due aggettivi chiave:

preventiva e precoce.

Siamo forse già nell’era

“postgenomica”. Questa è la nostra

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speranza che deve alimentare con continuità la ricerca inter e multidisciplinare.

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RUSELLA 'E MAGGIO

Quanno staje fore a 'sta loggia,

sott'a stu bellu grillaggio,

fresca, accussí, leggia leggia,

si' na rusélla 'e m aggio.

Si è triste, 'o cielo, se schiara,

cchiù prufum ate só' 'e sciure,

ll'aucielle cantano a coro

m entr'io suspiro:

Rusélla 'e m aggio m ia,

rusélla 'e m aggio...

Tu si' caduta 'a cielo 'ncopp'a 'sta loggia...

Te vasa 'nfronte 'o sole cu 'o m eglio raggio...

Rusélla 'e m aggio m ia,

rusélla 'e m aggio!

II

Quanno po' cuse io m m e 'ncanto:

sti m m ane toje tengo m ente...

Pare che 'a sott'a sti punte,

proprio nu sciore sponta!

Tanno, 'a te voglio na cosa:

pe' m m e fá jí 'm paraviso:

ca nu ricam o cianciuso

m m e faje cu 'e vase...

Rusélla 'e m aggio m ia,

rusélla 'e m aggio...

....................

III

E si cantá po' te fanno,

'o viento passa e, sentenno,

com m 'a na radio, p''o m unno,

'sta bella voce spanne...

Corre p''e m onte e p''o m are

e, doce, va p'ògne core,

purtanno gioje e suspire

d''a prim m avera...

Rusélla 'e m aggio m ia,

rusélla 'e m aggio...

....................

(Trusiano – Cannio)

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MUSICA E SCIENZA

E’ ancora ammissibile il dubbio in merito alla relazione mente-corpo? E’ ancora legittimo (se lo è mai stato) nutrire qualche perplessità sull’azione di profondo condizionamento che la prima ha sul secondo? La risposta, appare ragionevolmente univoca: no. E non occorre certo essere scienziati per saperlo. E qual è, invece, il ruolo che la musica ha sull’animo dell’individuo sensibile? Chiedetelo ad un ragazzino, che nell’inferno blindato della propria stanza fa a cazzotti con se stesso, dopo una lite adolescenziale, fustigandosi con le chitarre distorte del rock più assordante. Chiedetelo a chi, col cuore infranto, si lascia andare al sentimentalismo lacrimevole di certi artisti più dolci delle meringhe (e passi pure, fino a una certa età va bene pure quello). Chiedetelo - in senso figurato, è ovvio - a Jack Kerouac, avrete la risposta sulle pagine del suo libro più famoso. E chiedetelo anche a chi, con gli anni, dopo urti e acciacchi vari si è un po’ indurito nella scorza, ma ancora va ai concerti quando il tempo lo permette.

Anche qui, la risposta si innalzerà a furor di popolo. La musica ci fa stare bene, ci fa stare male, alla musica ricorriamo quando stiamo bene, o quando stiamo male (o anche, come direbbe uno dei nostri pregiati cantanti, “quando siamo medi”). Arriviamoci quindi transitivamente: se la musica agisce con determinazione sugli stati d’animo, va da sé che ciò accada anche per l’organismo. Non a caso, i centri che praticano musicoterapia si moltiplicano rapidamente (che poi, per i fondi destinati allo spettacolo il discorso s’inverta, è un’altra storia...). Il jazz, dal canto suo, si pone come istanza particolarmente vicina all’uomo. Perché è una musica imperfetta, come l’uomo, perché non sta mai “al centro del beat” (e che Dio ce ne scampi...), ma sempre un po’ avanti, o un po’ indietro. Perché spesso è un po’ stonata, e va bene così, perché è “portatile”, improvvisata, e si autocita prendendosi in giro. E noi, ovviamente, siamo più disposti a farci coccolare da chi ci capisce, malandato come noi, da chi non aspira all’inumana perfezione, eppure è perfetto. Ci insegna, la musica afroamericana, che anche “sbagliando” si creano capolavori (qualcuno si azzardi a cambiare una sola nota del tema “sbagliato” di So What, in Kind Of Blue), e che le cose migliori escono fuori quando ci si accetta, quando anche sfidando i propri limiti, si inserisce l’inesattezza come variabile (o forse sarebbe meglio dire costante) nel computo totale. La componente aleatoria della musica sincopata - che tra le altre cose risente degli accidenti, e addirittura si modella in base a essi, agli sbalzi umorali e alla volubilità emotiva dei singoli - parlando quindi di genoma, si inserisce nella mappatura dell’idioma musicale come vizio perenne, incurabile e inalienabile.

Preclude, al jazz, una perfezione mai ricercata, rivestendolo al contempo della magnifica sembianza umana.

(Stefano Piedimonte) Programma musicale

ADAM’S APPLE (Wayne Shorter) BODY AND SOUL (Johnny Green) BUT NOT FOR ME (Ira & George Gershwin) EAST OF THE SUN (Brooks Bowman) ESTATE (B. Martino) GOOD MORNING HEARTACHE (Dan Fischer – Ervin Drake) I GOT RHYTHM (George Gershwin) MY FOOLISH HEART (V. Young – N. Washington) NIGHT AND DAY (Cole Porter) OUT OF NOWHERE (Green-Heyman) SO WHAT (M. Davis) SOLID (Sonny Rollins) STELLA BY STARLIGHT (Young)WHAT’S NEW (Haggart-Burke) EVERYTHING HAPPENS TO ME (Dennis-Adair) HOW INSENSITIVE (Jobim) WENDY (P. Desmond) ALL OF ME (Simons-Marks) ONE NOTE SAMBA (Jobim) A FOGGY DAY (George Gershwin) WHEN SUNNY GET’S BLUE (Fischer- Segal)

GIULIO MARTINO sax BRUNO ROTOLI sax FLAVIO GUIDOTTI pianoforte GIOVANNI ROMEO batteria MICHELE FIORE contrabbasso

Ospite BARBARA BUONAIUTO voce solista dell’orchestra italiana di Renzo Arbore