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L’ANALOGIA GIURIDICA: UNINTRODUZIONEPROF. RAIMONDO NOCERINO

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Università Telematica Pegaso L’analogia giuridica: un’introduzione

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 INTRODUZIONE ALL’ANALOGIA GIURIDICA -------------------------------------------------------------------- 3

2 L’ART. 12 COMMA 2 DELLE PRELEGGI: ANALOGIA ED “INTEGRAZIONE” --------------------------- 8

3 IL PROBLEMA DELLE “LACUNE” ------------------------------------------------------------------------------------ 10

3.1 LACUNE NORMATIVE ------------------------------------------------------------------------------------------------------------10 3.2 LE LACUNE TECNICHE -----------------------------------------------------------------------------------------------------------12 3.3 LE LACUNE IDEOLOGICHE -------------------------------------------------------------------------------------------------------12

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Introduzione all’analogia giuridica Per avviare un discorso compiuto sull’analogia – istituto, peraltro, oggetto di assai ampia

trattazione scientifica non soltanto ad opera degli studiosi di teoria generale del diritto e

dell’interpretazione – converrà prendere le mosse da alcune constatazioni, riconducibili, per così

dire, al senso comune e suffragate da esperienze empiriche. Anzitutto, è noto che:

i. L’avvocato cui il cliente si rivolge onde lo assista tecnicamente nella proposizione di

una domanda giudiziale volta a tutelare una propria situazione soggettiva che si

assume lesa, non sempre ritraccia, nel codice civile, la “precisa disposizione” in

grado di astrattamente governare il caso concreto sottopostogli dal cliente.

ii. Del pari, il Giudice, al quale viene sottoposto la controversia, assai raramente

rinviene nelle legislazione e nei codici una disposizione che “precisamente” gli

consenta di trovare una soluzione per dirimere la controversia.

Fin qui, il senso comune.

Sfogliando poi i massimari di giurisprudenza, numerosi sono gli esempi in cui gli organi

giurisdizionali ricorrono all’applicazione analogica di una certa disposizione normativa per decidere

il caso loro sottoposto.

Vediamo degli esempi per meglio comprendere.

i) Gli art. 1362 e ss. del c.c. fissano i cd. criteri legali di interpretazione del contratto. I

criteri letterale, sistematico etc. sono cioè quelli che il legislatore italiano ha stabilito debbano

essere osservati allorché l’interprete – in genere – ed il Giudice – in specie – debba individuare

“l’esatta portata” della volontà dei contraenti. L’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice

civile, rubricato “interpretazione della legge”, pure pone una disposizione normativa

sull’interpretazione, stavolta riguardante la legge, laddove stabilisce che “nell'applicare la legge

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non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole

secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. Intuitivamente, ciò che distingue

i criteri legali di interpretazione rispettivamente posti dall’art. 1362 e ss. c.c. e quelli dall’art. 12

delle preleggi è l’oggetto: nell’un caso il contratto; nell’altro la legge. A questo punto la domanda:

ma come si interpreta il testamento? O un atto amministrativo? O, ancora, un avviso di

accertamento tributario? In questi casi, qual è il criterio di interpretazione che il legislatore ha

fissato? E se non si rinviene tale criterio – così come infatti è – nel diritto vigente, come si

interpretano questi atti?

La risposta che, fin qui, possiamo dare è che il diritto vigente non stabilisce una disposizione

“precisa” che regoli l’interpretazione di questi atti. E possiamo aggiungere pure che, a stretto rigore,

ogni interpretazione che voglia “forzare” il dato letterale o sistematico delle citate disposizioni onde

ricomprendere – fra gli atti che ne possano legittimamente formare oggetto – anche atti diversi

(l’atto amministrativo, il testamento etc.) sarebbe poco sostenibile per la ragione che legge o il

contratto non sono un testamento o un atto amministrativo. Che dire, ancora, delle sentenze o degli

altri provvedimenti giurisdizionali? Anche questi documenti, infatti, possono – e spessissimo sono –

oggetto di interpretazione. Nel caso della cassazione della sentenza del Giudice di appello,

esemplificativamente, il giudice del rinvio, per decidere il caso a lui sottoposto, deve interpretare la

sentenza della Suprema Corte di Cassazione per comprendere la portata del cd. principio di diritto

ivi affermato e, in conseguenza, farne applicazione nella fattispecie concreta. Non rari sono i casi

nei quali un’ordinanza istruttoria debba essere interpretata onde stabilire quali siano i documenti e/o

testimoni ammessi dal Giudice che l’ha pronunciata.

In estrema sintesi, anche la sentenza ed i provvedimenti giurisdizionali vanno interpretati e il

diritto vigente non stabilisce quale sia il criterio che l’interprete deve seguire nell’interpretarli. Il

fatto poi che la sentenza di un giudice sia un quid ontologicamente e funzionalmente diverso dalla

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legge o da un contratto preclude che dalla disposizioni normativa di cui all’art. 12 delle preleggi

ovvero dalla disposizione normativa dell’art. 1362 c.c. sia ricavabile, a seguito dell’interpretazione,

una norma che disciplini l’interpretazione della sentenza1.

L’esempio da ultimo citato non è certo casuale. In tema di interpretazione della sentenza e

degli altri provvedimenti giurisdizionali, la Suprema Corte di Cassazione si è fatta carico, a Sezioni

Unite, di risolvere un contrasto interpretativo, affermando che “ai fini dell'interpretazione di

provvedimenti giurisdizionali - nella specie del decreto di liquidazione dei compensi al C.T.U. - si

deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli art. 12 ss. disp.

prel. c.c., in ragione dell'assimilabilità per natura ed effetti agli atti normativi, secondo l'esegesi

delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), al pari del giudicato interno ed esterno e

della sentenza rescindente, in quanto dotati di vis imperativa e indisponibilità per le parti; ne

consegue che la predetta interpretazione si risolve nella ricerca del significato oggettivo della

regola o del comando di cui il provvedimento è portatore”2.

Sul presupposto che una sentenza non è né una legge, né un contratto, dunque, la Suprema

Corte di Cassazione è giunta alla conclusione di ritenere che, in assenza di “precisa disposizione”

che fissi i criteri legali di interpretazione del provvedimento giurisdizionale, l’attività ermeneutica

di tale ultimo atto debba soggiacere alle regole che presidiano l’interpretazione della legge (art. 12

delle preleggi) perché una sentenza è più “simile” alla legge che non al contratto.

ii) Secondo l’art. 1481 c.c. co. 1 “Il compratore può sospendere il pagamento del

prezzo, quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da

1 Come si vede, si presuppone la nota e acquisita distinzione tra norma e disposizione, su cui cfr. A. Punzi, diritto in.formazione,

Torino, 2014, pp. 26 e ss. “come in tutti i discorsi, anche nel diritto si possono distinguere tre profili: l’enunciazione (l’atto di colui

che parla), l’enunciato (l’insieme di segni attraverso i quali si indica ciò che egli dice) e il significato degli stessi…è proprio

quest’ultimo ad assumere un rilievo decisivo. Il diritto è sì un insieme di regole, ma intese come enunciati ai quali vengono attribuiti

certi significati. Si tratta di un passaggio di notevole rilievo, giacché l’attribuzione di significati agli enunciati normativi è opera

dell’interprete…in sintesi: l’interprete svolge un ruolo decisivo nel passaggio dall’enunciato (o disposizione) del legislatore al suo

significato (norma)…”

2 Cass. civile, sez. un., 09/05/2008, n. 11501.

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terzi [1460], salvo che il venditore presti idonea garanzia”. La disposizione richiamata si riferisce,

evidentemente, alla ipotesi in cui, tra le parti, sia già intervenuto un contratto di compravendita. Ma

se un analogo pericolo – come quello considerato dalla richiamata disposizione codicistica – si

presentasse non per chi ha già acquistato ma per chi intende acquistare e che ha già stipulato, tal

fine, un “mero” preliminare di compravendita, sarebbe il pericolo di rivendica del bene in qualche

modo rilevante? O meglio. Il promittente acquirente, verificandosi la situazione di pericolo

descritta, dovrebbe comunque concludere il contratto definitivo? Secondo la giurisprudenza della

Suprema Corte3, non vi sarebbe tenuto. Benché invero per il promissario acquirente non si riscontri

disposizione specifica che consenta di tutelarlo dal pericolo di rivendica del bene acquistando, la

giurisprudenza, proprio analogicamente, ha predicato l’applicabilità dell’artt. 1481 c.c. anche ad una

tale fattispecie.

Le esemplificazioni che precedono consentono alcuni rilievi, che sinteticamente si

espongono.

Gli interpreti ricorrono all’applicazione analogica di una norma ad una certa

fattispecie, quando non riscontrano una “precisa disposizione” che sia atta a regolarla;

L’applicazione analogica di una norma è fenomeno “imparentato con

l’interpretazione”, ma diverso. Se interpretazione implica assegnazione di un significato alla

disposizione (dunque, ricavare una norma), ricavare una conseguenza giuridica per una

fattispecie da altra norma (nel che consiste l’analogia) è un quid di diverso

dall’interpretazione.

Il ricorso all’analogia è possibile se ed in quanto, a giudizio dell’interprete,

non vi sia una disposizione precisa, quando vi sia cioè un “vuoto di disciplina” o, ancora,

una “lacuna”.

3 Cassazione civile, sez. III, 28/06/2016, n. 13264.

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L’analogia è istituto di generale applicazione nel senso che riguarda sia

norme lato sensu “procedurali” (come nel caso iii) quanto norme sostanziali (come nel caso

iv).

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2 L’art. 12 comma 2 delle preleggi: analogia ed “integrazione”

Nel nostro sistema ordinamentale, l’analogia trova cittadinanza e positiva definizione

nell’art. 12 comma 2 delle disposizioni preliminare al codice civile, secondo cui “se una

controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle

disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si

decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato”. Non può sfuggire

che il richiamo testuale dell’art. 12 co. 2 delle preleggi permette di perimetrare il campo

d’indagine, identificando i profili salienti attorno ai quali una riflessione sull’analogia può

essere validamente ricostruita. In primo luogo, affermare, come fa l’art. 12 co. 2 citato, che, nel

decidere una controversia, è legittimo e doveroso il ricorso a “disposizioni che regolano casi

simili o materie analoghe”, significa, anzitutto, riconoscere l’importanza dell’istituto

dell’analogia (specie) per il Giudice. È questi, infatti, a decidere una controversia. Anzi, a ben

considerare, il disposto dell’art. 12 co. 2 presuppone il divieto, a carico del giudicante, di non

decidere (cd. non liquet) il caso sottoposto alla sua attenzione allorché non ne rinvenga la

disciplina in una precisa disposizione. A fortiori, inoltre, dire che al Giudice è inibito, nella

indicata ipotesi, di non decidere il caso concreto per la sola ragione che non si dà/darebbe,

nell’ordinamento, una precisa disposizione che ne definisca la disciplina, significa,

contestualmente, affermare che, di là dalla “precisa disposizione”, il Giudice può e deve

ricercare nell’ordinamento (complessivo) comunque la soluzione – rectius, la disciplina – del

caso concreto sottopostogli. Tali considerazioni, come è evidente, conducono anch’esse a dei

rilievi preliminari: i) un dato ordinamento giuridico, anche se difetta di una “precisa

disposizione” che regoli il caso concreto sottoposto al Giudicante, contiene comunque la

soluzione/disciplina di quel caso; ii) in ragione di ciò, il Giudicante, anche quando manchi una

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precisa disposizione volta a regolare quel caso, non può non decidere, perché, anzi, deve

individuarne la disciplina nell’ordinamento, che, come detto, certamente la contiene; l’analogia

è lo strumento attraverso cui un certo ordinamento si completa e, dunque, tale strumento si

riconnette intimamente all’idea per la quale un certo ordinamento giuridico si auto-completa o

auto – integra, essendo esclusa la possibilità di farsi ricorso a fonti extra-ordinamentali per

rinvenirsi la disciplina del caso. Si osserva, al riguardo, che “l’analogia viene considerata un

mezzo di auto-integrazione dell’ordinamento giuridico, ossia un mezzo che consente

all’ordinamento giuridico di svilupparsi attraverso le proprie norme”4. Secondo una

prospettiva di indagine5 che si colloca nella cd. teoria scettica moderata, anzi, l’analogia

costituisce uno degli strumenti annoverabili nelle “attività integrative” (dunque, non

strettamente interpretative), riconducibili all’interpretazione giuridica e cioè quelle attività che

consistono non nella semplice attribuzione di un certo significato alla disposizione normativa,

ma che conducono “alla attribuzione di una conseguenza giuridica passando per la, ma non

limitandosi alla, determinazione, attribuzione di significato alla disposizione normativa”6.

4 V. Velluzzi, Osservazioni sull’analogia giuridica, p. 65, in Tra Teoria e dogmatica, sei studi intorno all’interpretazione, 2012. 5 Secondo P. Chiassoni, L’interpretazione dei documenti legislativi, in

http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/interpretazione_documenti_legislativi.htm,“L’accertamento, la creazione,

l’eliminazione, e l’integrazione delle lacune” costituiscono attività qualificabili come “interpretazione(-attività)” in senso lato , che

include, oltre all’interpretazione in senso stretto, ulteriori operazioni tipicamente compiute dagli interpreti dei documenti legislativi,

tra cui: 1) la (previa) identificazione dei documenti legislativi dai quali trarre la c.d. “norma del caso”; 2) la qualificazione delle

norme secondo tipologie presupposte – in termini, ad esempio, di norme imperative, norme supplettive, norme comuni, norme

speciali, norme eccezionali, norme penali, norme odiose, norme di risultato, princìpi fondamentali, princìpi generali, norme

programmatiche, ecc.; 3) l’accertamento, la creazione, l’eliminazione, e la risoluzione delle antinomie; 4) l’accertamento, la

creazione, l’eliminazione, e l’integrazione delle lacune; 5) l’elaborazione di sistemi, più o meno ampi, delle norme di un istituto, di

un sottosettore, o di un settore del diritto legislativo”. 6 Velluzzi, Osservazioni, op. cit., p. 65.

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3 Il problema delle “lacune” L’art. 12 co. 2 delle disposizioni preliminari al codice civile descrive il presupposto

necessario onde il Giudice – e, in genere, l’interprete – possa fare ricorso all’analogia: si tratta

dell’assenza di una precisa disposizione normativa attraverso la quale decidere la controversia.

Tale assenza o vuoto prende il nome di “lacuna”, a sua volta variamente definita, in campo

dottrinale, a seconda della prospettiva o angolo visuale da cui si prende le mosse per studiare il

fenomeno7. In particolare

8, le lacune costituiscono “comportamenti non qualificati” per chi ritiene

che “le norme giuridiche consistano in qualificazioni deontiche del comportamento”. Le lacune,

invece, sono “fattispecie a cui non sono connesse conseguenze giuridiche” per coloro che ritengono

che le norme giuridiche “sono enunciati che connettono fattispecie a conseguenze giuridiche”9.

Secondo l’ultima delle prospettive richiamate, peraltro, si evidenzia autorevolemente come sia

possibile distinguere tra lacune normative, lacune tecniche e lacune assiologiche.

3.1 Lacune normative

Il fenomeno delle lacune normative attiene sostanzialmente all’ipotesi in cui il legislatore,

pur disciplinando una serie di fattispecie, “ometta di disciplinare una o più delle loro combinazioni

possibili”10

. In particolare, il tema delle lacune normative può essere appieno compreso, solo ove si

tengano ben presenti alcuni distinguo che, di seguito, sinteticamente si riportano.

i) In primo luogo, la fattispecie o le fattispecie frutto della combinazione delle

fattispecie disciplinate espressamente dal legislatore deve dirsi “giuridicamente rilevante”. Cioè una

tale fattispecie, che abbiamo detto non essere disciplinata espressamente, deve pur essere

implicitamente rilevante – destinata cioè a produrre effetti giuridici – per l’ordinamento. In altri

7 Per una ottima bibliografia sul punto, cfr. Ibidem, pp. 66 e ss., in particolare sub note 3 e 10. 8 R. Guastini, Interpretare ed argomentare, Milano, 2011, p. 127, nota 1. 9 Tale ultimo, per esempio, è il punto di vista di R. Guastini, Interpretare, op. cit. e Velluzzi, Tra Teoria e dogmatica, op. cit., cui si

devono stringenti approfondimenti in punto di analogia giuridica. 10 R. Guastini, Interpretare, op. cit., p. 128, dove viene riportato un convincente esempio relativo alla materia tributaria.

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termini, essa non deve cadere in quello che viene definito spazio giuridico vuoto11

che segna ciò

che, per l’ordinamento, è privo di rilevanza: ricadendo nello spazio giuridico vuoto, infatti, la

fattispecie non disciplinata, porrebbe un problema più propriamente descrivibile quale lacuna

assiologia e non normativa.

ii) In secondo luogo, viene avvertito12

, una lacuna normativa va tenuta distinta tanto

dalla “lacuna di riconoscimento” quanto dalla “lacuna di conoscenza”. La lacuna di riconoscimento,

infatti, riguarda l’ipotesi in cui, a cagione della indeterminatezza del linguaggio di formulazione

normativa, non risulti “decidibile” la conseguenza giuridica riconnessa ad una certa fattispecie. La

lacuna di conoscenza, per converso, concerne i casi in cui, difettando più precisi dettagli in ordine al

caso concreto, si dubita se quest’ultimo possa/debba essere sussunto in una certa fattispecie astratta

ovvero in altra fattispecie astratta.

iii) In terzo luogo, il fenomeno della lacuna normativa non anticipa ma segue

l’interpretazione e, secondo l’autorevole dottrina in commento, in una certa misura è provocato

proprio dall’interprete. Il punto va meglio approfondito. Che, invero, le fattispecie previste dal

legislatore non si prestino a regolare una ulteriore fattispecie, frutto delle combinazione tra le prime,

è cosa che può dirsi solo dopo e non prima dell’interpretazione di una certa disposizione normativa.

L’interprete, come sopra si è visto, nell’assegnare ad una disposizione normativa (enunciato) un

determinato significato (norma), si accorgerà che le norme ricavate, per via interpretativa, non di

prestano a disciplinare la combinazione di fattispecie di cui cerca la disciplina ed allora riconoscerà

una lacuna normativa. Peraltro, verificatasi siffatta ipotesi, l’interprete ha due possibilità: o ritornare

al testo della disposizione normativa e, attraverso l’interpretazione, trarne ulteriori significati

(norme), in tesi, capaci di disciplinare il caso non regolato ovvero prendere atto della

insostenibilità/inutilità di una tale reinterpretazione (perché non porta a nuovi significati, rectius

11 S. Romano, Osservazioni sulla completezza dell'ordinamento statale, Modena, 1925. 12 Ibidem, pp. 128 nota 3, nonché pp. 129 e 130 nota 6.

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norme). Ciò che mette conto rilevare è, dunque, che, quanto appena osservato, conferma due aspetti

e cioè: da un lato, che l’interpretazione è logicamente un prius del riconoscimento della lacuna

normativa; dall’altro che, se la lacuna normativa è il prodotto dell’interpretazione, l’interpretazione

non può essa stessa colmarla. Per colmare una lacuna normativa, infatti, si pone la necessità di

integrare il diritto e non di interpretarlo: e ciò viene fatto – sebbene non esclusivamente – con il

ricorso all’analogia. Analogia che, come detto in apertura, costituisce, secondo la teoria scettica

moderata, il principale strumento di integrazione dell’ordinamento, annoverabile tra le attività

integrative e non strettamente interpretative.

3.2 Le lacune tecniche

Le lacune tecniche, invece, si prestano a descrive la diversa ipotesi in cui a mancare sia una

norma la cui esistenza rappresenti la condizione necessaria per l’efficacia di un’altra norma. Le

esemplificazioni classiche che vengono fatte per descrive le lacune tecniche rimontano, grosso

modo, all’ipotesi in cui: i) posta la norma che fonda l’istituzione di un organo elettivo, difetti,

viceversa, la norma che stabilisca il procedimento elettorale dell’organo; posta la norma che

sancisca l’obbligo di periodica convocazione di un tale organo, difetti la norma che preveda da chi

quell’organo debba essere convocato.

3.3 Le lacune ideologiche

Si definiscono ideologiche, inoltre, quelle lacune in cui si riscontra non già l’assenza di una

norma che riconnetta effetti giuridici da una fattispecie (nel che, come detto, consiste la lacuna

normativa in senso stretto e proprio), ma una sorta di divaricazione tra il diritto vigente e quello che,

nella prospettiva dell’interprete, dovrebbe dirsi giusto. Supponiamo che da una certa disposizione

normativa – per esempio un regolamento comunale - sia ricavabile, per via interpretativa, una

norma che assegni al solo cittadino residente una esenzione da pagamento di una tassa (per

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esempio, comunale: la TARI già TARSU). La mancata previsione della medesima esenzione può

apparire irragionevole all’interprete in relazione alla condizione dello straniero che sia residente nel

Comune. In un caso del genere, evidentemente, si dà una lacuna ideologica, per la ragione che,

secondo l’interprete, difetta una disposizione che ci “dovrebbe” essere ovvero che è giusto vi fosse.

Il fenomeno della lacune ideologiche è stato, tra gli altri, preso in considerazione da Kelsen,

facendo ricorso alla “differenza fra il diritto positivo e un ordinamento ritenuto migliore, più giusto,

più esatto”13

. La correlazione tra lacuna ideologica e norma che “dovrebbe esserci”, porta illustri

autori ad evidenziare che il supporre l’esistenza di “l’ordinamento di una lacuna assiologica è non

un giudizio di fatto, ma un giudizio di valore”14

. Del pari, si distinguono due tipologie di lacuna

ideologica. La prima ricorre quando una “fattispecie sia, sì, disciplinata da una norma, ma … tale

disciplina appaia all’interprete insoddisfacente, sicché, a suo giudizio, manca nell’ordinamento

(non una norma qualsivoglia, ma) una norma “giusta”: la norma che sarebbe richiesta dal suo

senso di giustizia”15

. La seconda tipologia è invece riconoscibile quando “una fattispecie, sia sì,

disciplinata da una norma, ma … tale disciplina non sia conforme a quanto richiesto da un’altra

norma positiva: in particolare, da una norma materialmente o assiologicamente superiore”16

.

In relazione a tale ultima tipologia di lacuna ideologica, si soggiunge perspicuamente17

, se

ne rinvengono “esempi paradigmatici” allorché l’interprete assuma violato il principio di

eguaglianza ex art. 3 co. 1 Cost. nel duplice senso di ritenere:

a) irragionevolmente trattate allo stesso modo situazioni diverse: nel qual caso, si

lamenta l’assenza di una norma “differenziatrice” quelle situazioni;

13 H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 1953, pag. 127 e ss. 14 R. Guastini, Interpretare, op. cit. p. 134. 15 Ibidem, pag. 134 16 Ibidem, p. 135. 17 Ibidem, p. 136.

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Università Telematica Pegaso L’analogia giuridica: un’introduzione

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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b) irragionevolmente non trattate allo stesso modo situazioni uguali: nel qual caso, si

lamenta l’assenza di una norma “uguagliatrice” di quelle situazioni.

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(L. 22.04.1941/n. 633)

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Bibliografia Chiassoni P., L’interpretazione dei documenti legislativi, in

http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/interpretazione_documenti_legislativi.

htm;

Guastini R., Interpretare ed argomentare, Milano, 2011.

Kelsen H., Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 1953.

S. Romano, Osservazioni sulla completezza dell'ordinamento statale, Modena, 1925.

Punzi A., Diritto in.formazione, Torino, 2014.

V. Velluzzi, Tra Teoria e dogmatica, sei studi intorno all’interpretazione, 2012.